La disciplina filosofica e gli indirizzi di pensiero che la caratterizzano hanno da sempre posseduto la qualità del profondo, spesso del misterioso e dell’impenetrabile (no, non si tratta solo di una leggenda): chi fa, studia o anche solamente pensa in qualche modo la filosofia non è abituato a soffermarsi sulla superficie.
Essa si aggancia all’esperienza e all’esercizio del singolo, che permettono riflessione critica e capacità di costruzione delle cosiddette memorie autentiche: niente a che vedere con un accumulo di vissuti istantanei limitati a “registrare” il momento. Purtroppo, è ciò che tendenzialmente accade oggi, nell’epoca moderna in cui la filosofia, e in genere il pensiero e la riflessione, entrano in rapporto con i nuovi media. Essi sono appunto spazi e/o oggetti naturali (gestualità, espressioni del viso) o artificiali (cinema, televisione, web) intermediari, creatori di connessioni e di dialoghi tra cose, persone, parole. La stragrande maggioranza dei media odierni è da definirsi artificiale, nata dalle mani dell’uomo: parliamo soprattutto di mezzi come la televisione e il Web. Il sacrificio contemporaneo della comprensione a favore della visione spinge in avanti l’immagine momentanea e impersonale a danno della riflessione, che si affanna dietro di lei.
Quanto spazio può rimanere per la filosofia? Considerando la crescente tendenza a rendere istantanea (vogliamo pensare anche al nome di uno dei più famosi social network, Instagram?) e multi-localizzata ogni informazione, immagine o semplicemente percezione, si capisce che per la profondità e la “lentezza” del pensiero filosofico (ma non solo) ne rimanga ben poco. Oggi vincono novità, ricambio, rinnovo, spettacolarità, esposizione e soprattutto disponibilità immediata, caratteristiche ben costruite e incorporate all’interno di tablet e smartphone. Riflessione, velatura ed esclusività, punti di forza del pensiero, vanno disperdendosi (irreparabilmente?).
Grazie alla rapidità del medium di oggi, l’immagine si abbandona all’essere schiava del clic, che sia quello di un display o di una reflex poco importa. È già tutto tra le nostre mani prima ancora di rendercene conto: dal concetto all’immagine in poco tempo e in poco spazio. Tuttavia, pensando allo storico legame tra arte e filosofia, particolarmente rivolgendosi alla pittura, sarà facile veder nascere un contrasto nei confronti di questa linea di pensiero, forse troppo severa nei confronti dell’immagine. Ma esiste qui uno scarto che merita di essere evidenziato: la pittura, come la filosofia, necessita di un lungo periodo di apprendimento, di un tirocinio che rassicuri il gesto e l’inventiva. La pittura necessita di rimaneggiamenti, ripensamenti, di tempistiche ben distese e non incalzanti: proprio quelle che permettono al pensiero di intrufolarsi tra le pennellate, senza tuttavia mai possederne definitivamente i contenuti, sempre reinterpretabili. Chiaro esempio invece del possesso istantaneo dell’immagine è la fotografia, alleata dello sguardo d’insieme, della spiegazione rapida e conclusiva. Di certo si può discutere e soffermarsi davanti ad una fotografia, ma fare veramente filosofia, a mio parere, no.
Credo che il medium d’oggi, la piega che sta prendendo, il suo farsi sempre meno concetto e sempre più esposizione, si stia sempre più allontanando dalla riflessione filosofica: essa non suscita più fascino e curiosità della scoperta. È ormai oscurata quasi del tutto dalla magia e dallo stupore dell’istantaneo e dell’immediato.
Presto Zuckerberg verrà insegnato prima di Kant?
FONTI
Benjamin W., L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica (1935), trad. it. di M. Baldi, Donzelli Editore, Roma 2012.
Benjamin W., Su alcuni motivi in Baudelaire (1939), in A. Pinotti e A. Somaini (a cura di), Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, Einaudi, Torino 2012.
Coccia E., La vita sensibile, Il Mulino, Bologna 2011.
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