C’è un momento memorabile nella storia del rock e dell’heavy metal.
È il 1992, siamo allo storico Reading Festival, in Inghilterra, e sul palco si stanno per esibire i Nirvana e Nick Cave davanti a migliaia di persone. C’è una band che sta suonando prima di loro, un gruppo di sole donne con trucco pesante, capelli lunghi, arruffati e colorati e strumenti alle ginocchia. Stanno ruggendo una delle loro hit più famose e aggressive, Fast and Frightening, mentre in reggiseno, anfibi e pantaloni stracciati infuriano il palco. A un certo punto gli amplificatori si spengono nel bel mezzo della canzone, c’è un guasto tecnico. Il pubblico prende il fango da terra e inizia a scagliarlo sul palco, colpendo le ragazze con ancora gli strumenti in mano. La cantante, una donna magnifica e terrorizzante allo stesso tempo, si sfila il tampone mestruale e ridendo al microfono: “Alright, I’ve got a little present for y’all! Eat my used tampon, fuckers!” lo lancia addosso al pubblico. [1]
Lei era Donita Sparks, e la band erano le L7, e sono considerate a pieno titolo uno dei gruppi riot per eccellenza.
Credo che questo possa essere considerato legittimamente uno dei gesti più potenti e più emblematici del movimento riot grrrl che si siano mai visti: utilizzare come arma un tampone intriso di sangue mestruale, sangue mestruale che è tutt’oggi considerato un enorme tabù e una cosa di cui vergognarsi dalla società (ricordiamo solo la censura che fece Instagram a una foto di una poetessa con i pantaloni macchiati di sangue nel 2015), è uno schiaffo alla mentalità che vuole la donna bella, virginale, dolce, pulita, debole, perfettamente aderente agli standard di una società patriarcale ed eteronormativa.
Donita invece in quel momento diventò l’emblema della cattiva ragazza, della donna che si ribella e che dall’alto del palco mostra il femminile che deve essere nascosto, il sangue portatore di vita ma che provoca disgusto, non solo lo mostra ma lo scaraventa con violenza in faccia alla platea che la stava offendendo.
Ma facciamo un passo indietro: chi sono le riot grrrl?
Il movimento riot è pienamente inserito all’interno della terza ondata femminista, iniziata negli Stati Uniti all’inizio degli anni ’90 nello stato di Washington. Si formò come un movimento punk femminista in cui non solo le donne iniziarono ad imbracciare chitarre e bacchette ed esprimersi come gli uomini musicisti avevano fatto fino ad allora, ma nei testi e nelle fanzine si affrontavano questioni cruciali come lo stupro, l’aborto, la cultura maschilista, l’abuso domestico, la sessualità, il razzismo, il patriarcato e la disuguaglianza di genere.
Il termine “riot grrrl” diventa così un ringhio di sommossa e di ribellione in cui finalmente le ragazze diventavano coscienti del loro corpo, del loro diritto al sesso, del loro diritto a non essere inquadrate e castrate secondo criteri maschilisti ed eteronormativi, e che tutto ciò che facevano i ragazzi potevano benissimo farlo anche loro. La cultura DIY anti-consumistica (do it yourself) presa dal punk attraverso le fanzine, le band e i collettivi auto-gestiti, l’attivismo politico, l’emancipazione contro una società misogina e la presa di coscienza di essere femmine forti ed indipendenti sono i nuclei centrali del movimento riot. La musica è la forma di espressione centrale, in cui sono esplose band come le Bikini Kill, le Bratmobile, le L7, le Babes in Toyland, le 7 Year Bitch, Lunachicks, Sleater-Kinney, le Heavens to Betsy, le Excuse 17, le Huggy Bear, e molte altre, in una scena underground ancora dominata dalle band completamente maschili in cui le ragazze erano relegate al ruolo di groupies, non certo ad essere le protagoniste del palcoscenico, cantando di femminismo e rivendicando i propri diritti.
Si legge su un flyer delle Bikini Kill:
“Because we girls want to create mediums that speak to US. We are tired of boy band after boy band, boy zine after boy zine, boy punk after boy punk after boy… Because we need to talk to each other. Communication and inclusion are key. We will never know if we don’t break the code of silence… Because in every form of media we see ourselves slapped, decapitated, laughed at, objectified, raped, trivialized, pushed, ignored, stereotyped, kicked, scorned, molested, silenced, invalidated, knifed, shot, choked and killed. Because a safe space needs to be created for girls where we can open our eyes and reach out to each other without being threatened by this sexist society and our day to day bullshit.” [2]
Molly Neuman delle Bratmobile disse: “Non siamo anti-maschi, siamo pro-ragazze” [3], esemplificando il fatto che c’erano pure uomini che suonavano dei gruppi riot e che molti artisti come Kurt Cobain, Dave Grohl ed Alec Empire si sono espressi totalmente sostenitori della scena musicale riot.
I concerti dei gruppi riot grrrl costituivano un rifugio sicuro per le donne e spesso affrontavano questioni come stupro, violenza domestica, sessualità ed emancipazione femminile, chiamando direttamente sul palco le ragazze dal pubblico. Un esempio perfetto è Do not Need You” in cui le Bikini Kill cantano: “don’t need you to say we’re cute/don’t need you to say we’re alright/don’t need your protection/don’t need your kiss goodnight” rifiutando esplicitamente le stereotipate dinamiche relazionali eterosessuali in cui la donna ha perennemente il ruolo passivo. Inoltre, la riappropriazione di offese misogine quali slut, dyke, whore, bitch per disprezzare la sessualità delle ragazze diventa un ulteriore passo verso l’autocoscienza e il recupero di una sessualità libera e disinvolta, mostrata attraverso la musica e le scritte sui corpi.
Sono passati anni da quando le Bikini Kill urlarono per la prima volta Revolution Grrrl Style Now!, ma ritengo essenziale per l’evoluzione di ogni ragazza entrare in contatto, accogliere ed amare la parte riot, la parte ribelle che non accetta compromessi, che non vuole sottomettersi agli stereotipi maschilisti riguardo la definizione stessa di cosa significhi essere donna, essere una femmina. È fondamentale, per ogni ragazza, diventare cosciente del potere insito nel suo corpo, nella sua mente, e che c’è ancora tanta strada da fare per combattere la misoginia e il maschilismo ancora infido e strisciante. Bisogna partire da giovani a rifiutare ciò, a pretendere il diritto di autogestire la propria vita senza essere dipendenti da una convalida paternalista che ancora ritiene la logica della chiave e della serratura, verità assoluta che ancora ragiona attraverso una colpevolizzazione della vittima e non dello stupratore, che tassa beni essenziali come gli assorbenti, che premia le donne quando assolvono esclusivamente il ruolo di madri e che riserva differenti paghe tra lavoratori maschi e femmine, che vede le mestruazioni come ancora un tabù da nascondere e di cui vergognarsi.
Urlate, ringhiate, fate vedere i denti, siate disobbedienti e fate esplodere la vostra energia combattendo per i vostri diritti e per quelli degli altri, siate coscienti di ciò che succede nel mondo e attivatevi per cambiarlo.
Ecco perché ogni ragazza dovrebbe essere una riot grrrl, non solo a 15 o 20 anni, ma anche a 30, 40, 50 e oltre.
Siate sempre fiere della vostra femminilità, la femminilità vera, non quella imposta per secoli dalla mentalità etero-patriarcale, la femminilità che sa difendersi, che non si vergogna, che è attiva, che pretende e che sa attuare gesti di ribellione, che è cosciente del suo valore e che all’occorrenza sa anche lanciare un tampone usato dal palco. Poiché proprio come cantano le L7 nella canzone citata all’inizio, una riot grrrl “got so much clit she don’t need no balls”.
FONTI
[1] https://www.youtube.com/watch?v=uLVjwUModIQ
[2] Darms L., The Riot Grrrl Collection, Feminist Press (CUNY), p. 168.
[3] https://mic.com/articles/45845/7-awesome-riot-grrrls-of-the-90s
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