Contro la violenza sulle donne
Il 25 novembre si celebra la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ricorrenza istituita dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1999. Nel preambolo della Dichiarazione sull’eliminazione della violenza contro le donne si riconosce la violenza contro le donne come una forma di sopruso di genere, perpetrato contro le donne in quanto tali.
La violenza contro le donne è una manifestazione delle relazioni di potere storicamente disuguali tra uomini e donne, che ha portato alla dominazione e alla discriminazione contro le donne da parte degli uomini e ha impedito il pieno avanzamento delle donne, e che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini. [1]
La definizione riportata pone l’attenzione sul genere come matrice storica, sociale e culturale della violenza, che viene individuata nel rapporto specifico che intercorre tra uomini e donne. La violenza di genere nelle società odierne è conseguenza di una lunga storia di disparità tra uomini e donne. La violenza è lo strumento attraverso cui gli uomini conservano o ripristinano oggi la diseguaglianza storica tra i sessi[2]. Il richiamo al passato è importante per sottolineare la lunga durata del fenomeno e la sua costante persistenza indipendentemente da caratteri temporali, culturali e geografici. La violenza maschile contro le donne ha assunto diverse forme ed è stata interpretata dalla società, dalla cultura giuridica e dalla politica in molteplici modi. Nei codici giuridici la donna è sempre stata considerata come moglie, madre e figlia, non come persona in sé ma sempre appartenente a qualcuno, padre o marito.
Solo alla fine degli anni Novanta in ambito giuridico, grazie ai movimenti femministi, la violenza sessuale viene riconosciuta nel Codice penale come delitto contro la persona e non più contro l’onore famigliare; contemporaneamente in ambito politico si inizia a utilizzare la declinazione “violenza maschile contro le donne”. In questo contesto vengono anche riconosciute come forme di violenza anche tutte quelle azioni o discriminazioni che non sono necessariamente fisiche o sessuali, ma che sono di carattere verbale, psicologico o economico[3]. Difatti al giorno d’oggi proprio le forme più subdole di violenza, quelle che non si manifestano con segni ben visibili, sono quelle più difficili da prevenire e reprimere.
Diana Russell nel 1922 conia l’espressione e la categoria politica di “femminicidio”; termine con il quale si indicano tutte le forme di violenza contro la donna in quanto donna, praticate attraverso diverse condotte misogine (maltrattamenti, abusi sessuali, violenza fisica o psicologica), che culminano nell’omicidio[4]. La maggior parte delle violenze non si consumano nei luoghi pubblici ma nell’ambito privato, negli ambienti domestici, sul posto di lavoro[5]. Il quarto rapporto Eures sui femminicidi in Italia nel 2016 rileva che il 76.7% di essi si sono consumati in ambito familiare e che tra questi il 64,3% all’interno della relazione di coppia[6].
Per molti anni il diritto ha contribuito a perpetuare la struttura gerarchica dei rapporti sociali di genere, tuttavia il diritto stesso può costituire uno strumento privilegiato per sviluppare nuove abitudini culturali prive di stereotipi e pregiudizi. La violenza contro le donne si è gradualmente posta al centro del dibattito internazionale. Un grosso passo in avanti è stato compiuto dal diritto internazionale con la Convenzione sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, che ha come obiettivo quello di contrastare la violenza di genere in tutte le sue forme e di prendere misure preventive per fermarla, proteggere le vittime in appositi centri antiviolenza e perseguire i colpevoli. Qui si sottolinea l’importanza fondamentale di elaborare programmi educativi o rieducativi con l’obiettivo di promuovere dei cambiamenti socio-culturali sia nella vita delle donne, che in quella degli uomini, eliminando così stereotipi di genere basati sull’idea dell’inferiorità della donna.[7] Inoltre nella Convenzione si esprime la necessità di sensibilizzare il vasto pubblico per aumentare la consapevolezza e la comprensione delle varie manifestazioni di tutte le forme di violenza.
La violenza di genere è un fenomeno di carattere globale che ha enormi ripercussioni sull’avanzamento stesso delle donne e dell’intera società. Non può esserci parità tra uomini e donne se le donne continuano a subire violenza e discriminazioni. Ogni donna (così come ogni uomo) in quanto essere razionale possiede un valore assoluto e incondizionato; per questo deve essere sempre stimata come fine, e mai essere considerata come mezzo, per rispetto della sua dignità umana.
NOTE
[1] https://www.esteri.it/mae/approfondimenti/20090827_allegato2_it.pdf
[2] Cfr. Simona Feci e Laura Schettini, La violenza contro le donne nella storia. Contesti, linguaggi, politiche del diritto (secoli XV-XXI), Roma: Viella, 2017, p. 8.
[3] Crf. ivi, p. 14.
[4] http://www.treccani.it/vocabolario/
[5] Cfr. S. Feci e L. Schettini, La violenza contro le donne nella storia, cit., p.180.
[7] Crf. Sara De Vido, Donne, violenza e diritto internazionale. La Convenzione di Istanbul del Consiglio d’Europa del 2011, Milano-Udine: Mimesis, 2016, p. 94.
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