Forse vi sarà capitato di sentirlo, forse di studiarlo a liceo…
Il sillogismo è una di quelle paroline che quando conosciamo classifichiamo come “filosofica” e poi archiviamo.
Possiamo parlare di sillogismo come di uno strumento aristotelico che a prima vista potrebbe sembrare uno di quei “ragionamenti assurdi” da filosofi mai applicabili nella vita reale e quotidiana.
In realtà il sillogismo è sopravvissuto nelle menti, nel linguaggio e nei libri per secoli e secoli, proprio perché è quella parte logica che, se applicata correttamente alle strutture del linguaggio e del pensiero, garantisce ottimi risultati a livello dialettico.
Ma, come ci ricorda Mario Mignucci, Aristotele non parla mai di sillogismo nei termini in cui lo pensiamo noi oggi: συλλογισμός (sillogismos) significa “deduzione”, pertanto non potremmo mai avere una “definizione generale” di questo nucleo della logica. (1)
Vediamo più da vicino di cosa stiamo parlando.
Il sillogismo è una deduzione che presenta caratteristiche e regole specifiche:
ogni cane è un animale
ogni bassotto è un cane
_____________________________
ogni bassotto è un animale
I termini che compongono questa deduzione sono
cane animale bassotto
di questi tre, “cane” è l’unico a non comparire nella conclusione ed è pertanto chiamato “termine medio”. “Animale” e “bassotto” portano il nome di “estremi” (maggiore e minore).
Questi tre valori sono poi associabili in “figure”, che per Aristotele erano solo tre, ma per i medievali diventarono quattro.
Cosa sono le figure?
A seconda della relazione che il termine medio intrattiene con gli estremi nelle premesse i sillogismi sono raggruppati in tre gruppi o classi, che Aristotele distingue per la figura (2)
La variazione delle figure dipende dalla posizione del termine medio, che assume significato di predicato o soggetto dei vari estremi. Queste figure sono poi composte da “modi” a cui sempre i medievali affiancarono nomi propri per una migliore memorizzazione.
Non entriamo nello specifico: qui e ora ci basterà sapere che i sillogismi della prima figura sono i “sillogismi perfetti” secondo Aristotele. L’esempio di cui sopra è un sillogismo di prima figura, poiché contiene il termine medio come soggetto dell’estremo maggiore e come predicato dell’estremo minore.
Sì ma cosa NON è un sillogismo?
Questo, che vi potrebbe apparire tra i risultati della ricerca di “cos’è un sillogismo” su Google, non è certamente un sillogismo.
Tra i vari motivi per cui questa catena di frasi, apparentemente logica, non è un sillogismo possiamo includere il fatto per cui le premesse non esprimono un concetto di identità e la conclusione non è né vera, né tantomeno logica! In questo caso è infatti impossibile che due premesse indicanti un POSSESSO (“ha un cane”) creino una conclusione di IDENTITÀ (“Mario è Sabrina”).
Mario e Sabrina non sono certamente Tyler Durden di Fight Club, e se anche lo fossero, non potrebbero esserlo come conseguenza dell’avere un cane: lo sarebbero indipendentemente piuttosto.
La fallacia di un sillogismo, è sempre un concetto labile e in casi non palesemente errati (come quello sopra) anche modificabile in una forma corretta. L’importante, tuttavia, rimane la struttura logica del discorso.
E a cosa serve in pratica saper utilizzare un sillogismo?
Saper utilizzare le strutture logiche di Aristotele ci permette di cogliere tante piccole sfumature nel linguaggio, che generalmente non coglieremmo. Magari non così evidenti come quella dell’esempio qui sopra, ma la logica – che non a caso è invenzione di Aristotele – è un ottimo strumento per mantenere un allenamento e un’elasticità mentale che siano sempre adeguate all’interlocutore o all’interlocutrice con cui ci interfacciamo.
Anche l’esposizione delle nostre idee risulterà molto più scorrevole e immediata se esposta e funzionante come sillogismo.
Per quanto possa sembrare estremamente filosofico ed elitario, saper strutturare un sillogismo offre un rigore discorsivo e logico che, soprattutto oggi, non può e non deve essere perso, bensì rafforzato.
(1) Mignucci Mario, “Logica” in Berti Enrico (a cura di),Guida ad Aristotele, p. 76, 1997, Laterza, Roma-Bari.
(2) Ivi, p.77.
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