20 marzo: la giornata dedicata alla felicità
Cosa significa essere felici oggi?
Essere liberi? Essere soddisfatti di se stessi e della propria realizzazione? Essere amati?
Ognuno interpreta la felicità a seconda della propria indole, delle proprie ambizioni e della propria sensibilità.
Per chi ancora non lo sapesse, esiste un’intera giornata dedicata proprio a questo scopo importantissimo di ricerca umana.
Ebbene sì, oggi è la Giornata internazionale della Felicità, voluta e ufficialmente proclamata tale nel 2012 dall’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, e da tutte queste pienamente riconosciuta (e festeggiata!).
Fu il consigliere speciale dell’Onu Jayme Illien a scegliere la data, che ricadde sul 20 marzo per l’equinozio di primavera: un appuntamento fortemente sentito da gran parte delle popolazioni della terra.
Trentadue anni prima di istituire la Giornata internazionale della Felicità, Jayme Illien era un orfano salvato dalle strade di Calcutta dalle Missionarie della Carità di Madre Teresa. Proprio in prossimità del 20 marzo venne adottato da una 45enne americana single: iniziò in quel momento il suo personale percorso verso la felicità.
Ma vediamo più da vicino qual è la storia dell’idea di felicità…
Il pensiero filosofico abbonda di pensieri, trattati, dispute sul tema della felicità, da sempre considerata concetto umano e mondano.
Nasce così nell’Antica Grecia, dove Talete ritiene felice colui che abbia un corpo sano, abbondante fortuna e un’anima ben educata. Questi gli aspetti che sono rimasti più rilevanti per la considerazione che l’uomo ha di sé nel mondo e fra gli altri uomini.
Spesso, felicità e piacere si trovano congiunti nelle idee di alcuni pensatori come Democrito, il quale considera la prima come la misura del piacere e la capacità di tenersi lontani dal difetto e dall’eccesso.
Al contrario, Platone nega che la felicità consista nel piacere, e la ritiene invece strettamente connessa alla virtù: «I felici sono felici per il possesso della giustizia e della temperanza» (1), sostiene nel Gorgia. Sono detti felici «coloro che posseggono bontà e bellezza» (2), rincara nel Convito. Ma giustizia e temperanza sono virtù, e possedere bontà e bellezza significa ancora essere virtuosi: quindi la virtù, per Platone, non è altro se non la capacità dell’anima di perseguire il proprio compito al meglio, ossia di condurre l’uomo nel migliore dei modi.
Aristotele insiste invece sul carattere contemplativo della felicità, portandola fino al grado della beatitudine; ha tuttavia esteso la sua definizione sostenendo che essa sia «una certa attività dell’anima svolta conformemente a virtù» (3), includendo quindi la soddisfazione di bisogni e aspirazioni puramente mondane. Quindi chi è felice deve possedere beni esterni, corporei e dell’anima.
Sarà poi con l’Umanesimo che la nozione di felicità si legherà ancora più strettamente a quella di piacere: nel De Voluptate di Lorenzo Valla questa connessione raggiunge la sua massima espressione.
Con Hume, la felicità come piacere o, ancora meglio, come sistema di piaceri si sposa poi con un significato sociale: la felicità diventa piacere diffondibile, piacere del maggior numero.
Kant la vede invece come la condizione di quell’essere razionale al quale, durante l’intero corso della sua vita, «tutto avvenga secondo il suo desiderio e la sua volontà» (4), come recita nella Critica della Ragion Pratica. L’uomo non trae quindi dai propri istinti e dalla propria “animalità” la condizione di essere felice, ma la assume in maniere sempre mutevoli durante la propria vita. Ritiene che la felicità faccia parte del sommo bene, il quale è per l’uomo la sintesi di virtù e felicità stessa: non essendo il sommo bene realizzabile nel mondo naturale, così anche la felicità non sarà possibile in esso. Viene quindi rinviata ad un mondo intellegibile che è il regno della grazia, sostiene nella Critica della Ragion Pura.
Ogni anno, la Giornata della Felicità viene accompagnata dalla pubblicazione del “World Happiness Report”, una ricerca che incorona il paese più felice al mondo: lo scorso anno il primo premio è spettato alla Finlandia, mentre il nostro stivale è riuscito a strappare un 47º posto ben poco soddisfacente. (5)
Una cosa è certa: essere felici è la più grande ambizione di ogni essere umano, e ognuno di noi deve poter compiere questo percorso spontaneamente e incondizionatamente.
La Costituzione degli Stati Uniti d’America ha incluso, per esempio, fra i diritti naturali e inalienabili dell’uomo, la ricerca della felicità.
Il diritto a questo bene considerato ormai inalienabile, nasce in realtà in Italia, dal pensiero del filosofo illuminista Gaetano Filangieri: fu proprio dal rapporto personale tra il filosofo partenopeo e Benjamin Franklin che quest’ultimo decise di inserire, nel 1787, il diritto alla felicità all’interno della Costituzione.
A questa tradizione settecentesca si collega il pensiero di Bertrand Russell, che il secolo successivo vi aggiunge un’importante riflessione: la felicità finisce col combaciare con una condizione di eliminazione di egocentrismo, chiusura in se stessi e nelle proprie passioni. Russell ci insegna oggi a moltiplicare i nostri interessi, ad aprirci al rapporto con l’altro e con le cose del mondo, ad imparare a trovare la nostra strada senza mai voltare le spalle all’ambiente che ci circonda. Che la nostra felicità possa sempre provenire da una condizione che leghi la nostra soddisfazione a quella dell’altro.
HAPPY HAPPINESS DAY!
FONTI
(1) Abbagnano N., Dizionario di filosofia, p. 467, Utet, Torino 2001.
(2) Ibidem.
(3) Ibidem.
(4) Ivi, p. 468.
(5) https://www.agi.it/cronaca/giornata_della_felicita_20_marzo-3647619/news/2018-03-20/
Boni L. (a cura di), Enciclopedia Garzanti di filosofia, Milano 1985.
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