Gli enigmi della realtà: De Chirico e Schopenhauer
«Nell’apparente normalità delle cose rappresentate, appartenenti alla realtà quotidiana, si nasconde la carica esplosiva della Metafisica.»
(Giorgio De Chirico)
1917, nasce la pittura metafisica.
De Chirico si trova di fronte al monumento di Dante in piazza Santa Croce, a Firenze. È autunno, un venticello soffia leggero e le prime foglie giallastre ricoprono lo spiazzo. Seduto sulla panchina, contempla la statua.
I pensieri piano piano scorrono, come sempre. Ma questa volta c’è qualcosa di diverso: «Quelle enormi ombre…», pensa.
Capisce che in quel momento si è rivelato un mistero: quelle ombre proiettate dal monumento gli hanno suscitato il dubbio che la realtà stessa non sia altro che l’ombra di qualcosa di più profondo.
Tale mistero prende vita in un quadro: Enigma di un pomeriggio di autunno (1910): «la composizione del dipinto si rivelò all’occhio della mia mente», rivela l’artista.
Da allora il pittore realizza un’arte diversa, nuova: «la pittura deve smettere di riprodurre la realtà nella sua pura apparenza, ma deve indagare […]».
Un pittore-filosofo, De Chirico. E come può non esser considerato tale, giacché frequenti le sue continue citazioni a due grandi filosofi: Schopenhauer e Nietzsche.
Ogni quadro, scultura, schizzo, acquerello rimanda a qualcosa di trascendente, non percepibile.
Con De Chirico siamo di fronte alla dimostrazione che la filosofia è dinamicità, in grado di mostrarsi sotto un’altra forma, più comunicativa, più efficace, più sublime. La filosofia utilizza l’arte per esprimersi (o anche viceversa).
Il tutto è già visibile nei suoi autoritratti: «Et quid amabo nisi quod rerum metaphysica est?» (E che cosa amerò, se non ciò che è la metafisica delle cose?).
Presente nel dipinto Autoritratto del 1919, il motto riprende un’epigrafe di Nietzsche, dove al posto dell’espressionererum metaphysica troviamo aenigma. (Approfondirò il rapporto tra De Chirico e Nietzsche in un prossimo articolo).
Questo versetto sul tema dell’enigma, riferibile al mito di Edipo e la Sfinge, può essere visto come una dichiarazione dell’autore di voler spiegare la direzione delle sue ricerche, che lo porteranno alla pittura metafisica.
L’enigma di cui si parla è l’eterno mistero della vita e dell’arte, la ricerca di un senso e di uno scopo dell’esistenza.
La difficoltà o l’incapacità di trovare soluzioni e risposte esaurienti diventa la causa del senso di profonda frustrazione che attanaglia l’autore e che lo porta alla malinconia.
Ed ecco il desiderio del pittore: trasformarsi nell’Edipo dell’arte di fronte a una Realtà–Sfinge.
De Chirico vuol risolvere l’indovinello posto dal “mostro-reale” e ambire a diventare Re del metafisico.
Simile è il desiderio di Schopenhauer: squarciare il “velo di Maya” e ritrovare la realtà in sé delle cose.
Bisogna distaccarsi dal mondo fenomenico, il mondo delle cose rappresentate, perché non esiste se non grazie a un soggetto rappresentante, «cioè sempre e soltanto in relazione con un altro essere, con il percipiente, con lui medesimo».
Infatti, così come il filosofo utilizza le forme a priori per costruire le rappresentazioni della realtà, così lo stesso De Chirico le applica nella rappresentazione dei suoi quadri. Il tempo è la relazione di successione in cui tutti i fenomeni vengono a connettersi; lo spazio è la posizione che ciascuna cosa occupa in relazione alle altre.
Tempo e spazio sono il principium individuationis, tipico della specificità di ogni uomo, motivo per cui ogni raffigurazione è unica e individuale, diversa dalle altre. Le stesse opere del pittore sono frutto del suo principio di individuazione che rende la realtà snaturata, asimmetrica, irripetibile.
Ma ciò che differenzia l’artista da Schopenhauer risiede nel principio di causalità: se per il filosofo esso è importante perché rappresenta la capacità delle cose di riprodurre effetti sulle altre, per il pittore invece le ambientazioni irreali e gli oggetti alterati evidenziano la rottura con questo principio.
De Chirico vuole evidenziare come lo spacco con la realtà, spoglia della causalità, assuma un carattere misterioso, profondo, oscuro, intrigante;
capace di trasmettere all’osservatore, al soggetto rappresentante, allo stesso artista un senso di alienazione e solitudine, di inquietudine di fronte la difficoltà di riconoscere una realtà abituale.
Quindi, inizialmente, nei suoi quadri sono rintracciabili il tempo e lo spazio in una rappresentazione soggettiva che alla fine, però, sfugge alle logiche dello stesso artista e si sottrae alla causa-effetto del suo pennello, facendo sprofondare tutto nell’abisso.
Ma nascosto dietro il mondo fenomenico, che è illusione, vi è il mondo noumenico, la realtà dell’essenza delle cose, costituita da una forza cieca e irrazionale: la Volontà.
Per il filosofo la strada che conduce all’essenza nascosta del mondo passa per il corpo: è infatti attraverso il nostro corpo che possiamo avvertire la presenza del cieco impulso della volontà.
Proprio quest’ultimo può aprirci la via verso il noumeno, a patto di non considerarlo come rappresentazione, ma cogliere con immediatezza ciò che in esso avviene e cioè una vita oscura e profonda, un tumulto di desideri, uno sforzo e una tensione irriducibili alla sola realtà, la volontà, appunto. Essa differisce così in maniera assoluta dal mondo fenomenico, svincolata da tempo, spazio, causalità.
È la stessa volontà dell’artista nel volere cogliere il sé del tutto con i suoi quadri.
Una volontà che si manifesta attraverso il suo corpo, un corpo che disegna, dipinge la realtà che deve condurre alla sua essenza, presente in maniera più incisiva in uno dei soggetti più ricorrenti dei suoi quadri: il manichino.
Un corpo puro, privo di soggettivazione. Un fantoccio, che potrebbe mostrarci la via che conduce verso un altro mondo, in grado di mediare tra la volontà dell’osservatore di vedere oltre quel quadro e il mondo tanto irraggiungibile e desiderabile.
Il manichino di De Chirico è un modello plastico.
La sua struttura è complessa ed elementare, fatta di squadre e corazze, templi e statue. È una macchina ma è anche un essere soprannaturale, una specie di androgino o, ancor meglio, un essere senza genere.
Ha qualcosa di solenne e di conturbante.
De Chirico infatti lo ricompone in varie forme, in varie volontà. Li mette uno a fianco all’altro, li separa, li articola fornendo loro nuovi attributi, regala loro un nome: Ettore e Andromaca, Il Trovatore, Il Poeta, Il Pittore, Il Filosofo, L’Archeologo, Le Muse Inquietanti.
Sitografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Pittura_metafisica
http://www.gothicnetwork.org/articoli/giorgio-de-chirico-naturale-metafisica-dellinvisibile
Bibliografia:
— M. De Bartolomeo – V. Magni, Storia della filosofia 4/ Filosofie contemporanee, 2012, Istituto Italiano Edizioni Atlas, pp. 23-26.
foto di copertina di Giorgio De Chirico: This work is from the Carl Van Vechten Photographs collection at the Library of Congress. According to the library, there are no known copyright restrictions on the use of this work. The photograph has been taken by Carl Van Vechten (born 17 june 1880 died 21 december 1964).
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