In questi giorni si sta svolgendo a Torino il Salone Internazionale del Libro, evento fondamentale nel mondo dell’editoria italiana e non solo.
Quest’anno, tuttavia, la manifestazione sta attirando l’attenzione di giornalisti e lettori a causa di una polemica che, sebbene in questo caso specifico sia connessa al mondo della carta stampata, è al tempo stesso piuttosto rappresentativa del clima politico e culturale che si respira negli ultimi anni.
I fatti (in breve) sono questi:
la presenza di una casa editrice di ispirazione esplicitamente neo-fascista sta spingendo nomi noti e meno noti della cultura italiana a disertare l’evento, in un vero e proprio boicottaggio che si espande a macchia d’olio e che si diffonde sempre più sui social con hashtag come #iononvadoatorino e #boicottailSalonedelLibro.
Tra i grandi assenti annunciati anche Zerocalcare, Carlo Ginzburg e il collettivo bolognese Wu Ming.
Accanto a chi boicotta il Salone, c’è anche chi vi si reca a maggior ragione per non lasciare libero a queste idee politiche che si rifanno con nostalgia ad un passato decisamente buio del nostro paese, glorificandolo e auspicandone un ritorno. Seppur con approcci diversi, per molti è chiaro che è giunto il momento di non tollerare più certe manifestazioni ideologiche, intrinsecamente in antitesi con tutto ciò che questo evento dovrebbe rappresentare come luogo di cultura e di libero pensiero.
Parallelamente a tale posizione però non mancano coloro che difendono questa presenza ingombrante, appellandosi proprio alla democrazia e al rispetto della pluralità.
Chi ama la libertà di parola e pensiero peccherebbe secondo alcuni di incoerenza nel voler censurare l’espressione di chi si richiama esplicitamente all’ideologia fascista, perché anche questa sarebbe protetta, come ogni altra, dagli ideali di libertà e pluralismo.
Chi predica la tolleranza, in sostanza, dovrebbe essere disposto a tollerare proprio tutto, anche ideologie come quella fascista, di per sé intrinsecamente intolleranti.
La questione non è in realtà nuova.
In proposito si era già pronunciato, in tempi in cui il problema del fascismo era decisamente molto pressante, il filosofo Karl Popper, nel suo La società aperta e i suoi nemici.
In quella sede (volume I, capitolo VII, nota 4), il pensatore espone quello che egli stesso battezza “paradosso della tolleranza”:
La tolleranza illimitata deve portare alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro l’attacco degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti, e la tolleranza con essi.
Si tratta per l’appunto di un paradosso:
la tolleranza, per sopravvivere, non può essere totale.
Deve infatti essere limitata a quelle ideologie (filosofiche, politiche, religiose) che la includono, altrimenti finirà per essere vittima di se stessa.
In sostanza, per essere veramente tolleranti è necessario anche essere un po’ intolleranti.
Questo principio condivisibile in teoria pone tuttavia il problema di come applicare la “tolleranza misurata” in pratica.
In quanto caso, ad esempio, molti si scagliano contro gli organizzatori del Salone Internazionale del Libro, affermando che chi si fa portatore di un’ideologia fascista e antidemocratica non può e non dovrebbe essere ammesso all’interno di una manifestazione come questa.
Altri, al contrario, ritengono che queste posizioni non vadano censurate, ma combattute attivamente con il dialogo e con dimostrazioni attive di antifascismo.
A questo proposito, un ritorno al testo popperiano può forse essere utile.
Il filosofo procede infatti occupandosi brevemente dei provvedimenti pratici da adottare in casi analoghi a quello odierno:
In questa formulazione, io non implico, per esempio, che si debbano sempre sopprimere le manifestazioni delle filosofie intolleranti; finché possiamo contrastarle con argomentazioni razionali e farle tenere sotto controllo dall’opinione pubblica, la soppressione sarebbe certamente la meno saggia delle decisioni. Ma dobbiamo proclamare il diritto di sopprimerle, se necessario, anche con la forza; perché può facilmente avvenire che esse non siano disposte a incontrarci a livello dell’argomentazione razionale, ma pretendano di ripudiare ogni argomentazione; esse possono vietare ai loro seguaci di prestare ascolto all’argomentazione razionale, perché considerata ingannevole, e invitarli a rispondere agli argomenti con l’uso dei pugni o delle pistole.
Di conseguenza, la censura non dovrebbe forse essere la prima strada, o quella immediatamente percorsa, perché in certi casi Popper ritiene che sia possibile combattere razionalmente l’intolleranza, e perciò non sia necessario l’intervento della censura.
Tuttavia, scrivendo durante un periodo in cui questi problemi erano di pressante attualità (1), il filosofo conosce bene l’inclinazione di queste ideologie a rifiutare il dialogo e l’argomentazione razionale, sostituita spesso dalla violenza e dalla sordità selettiva.
In quel caso, e in mancanza di alternative razionali, per proteggere la tolleranza si rende inevitabilmente necessario, secondo Popper, esercitare una certa dose di intolleranza.
Lo strumento idoneo tuttavia, non è la violenza, ma la legge.
Noi dovremmo quindi proclamare, in nome della tolleranza, il diritto di non tollerare gli intolleranti. Dovremmo insomma proclamare che ogni movimento che predica l’intolleranza si pone fuori legge e dovremmo considerare come crimini l’incitamento all’intolleranza e alla persecuzione, allo stesso modo che consideriamo un crimine l’incitamento all’assassinio, al ratto o al ripristino del commercio degli schiavi. (2)
In Italia, l’Apologia del fascismo è un reato previsto dall’art. 4 della legge Scelba attuativa della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione.
(1) Non è un caso che La società aperta e i suoi nemici sia stato pubblicato per la prima volta nel 1945.
(2) Tutte le citazioni sono tratte da Karl R. Popper, La società aperta e i suoi nemici, Volume I: Platone Totalitario, a c. di Dario Antiseri, Armando Editore, Roma, 2014.
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