Abitare la menzogna

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Io sono il tuo padre; e di te
posso fare quel che m’aggrada,
perché tu mi sei come il bue
della mia stalla, come il badile 
e la vanga.(1)

Abitare la menzogna. Infanzia infelice è un libro della Dottora Antonella Lia, sociologa, psicologa, psicoterapeuta e docente di Filosofia, che ha l’obiettivo di analizzare un tabù millenario, che non conosce confini geografici né limiti storici, ovvero la violenza domestica sui bambini.

L’aspetto paradossale è che questa violenza, che può essere sia di natura fisica che psicologica, viene utilizzata e accettata universalmente come metodo correttivo e educativo dalle comunità, ma non viene considerata come una forma di abuso.

Lo stesso termine “abuso” significa nella lingua italiana “uso eccessivo di qualcosa”, nei confronti di un minore viene riferito in genere alla violazione in ambito sessuale, ma non include i maltrattamenti e la violenza fisica.

«Il linguaggio è lo specchio del pensiero»(2) afferma l’autrice in merito. In Italia infatti, le percosse e i maltrattamenti sono vietati nell’ambiente scolastico ma non vi è nessuna legge che li impedisca in ambito famigliare. Questa forma di violenza educativa viene definita dagli studiosi pedagogia nera come metodo di correzione e di condizionamento precoce per rendere i bambini obbedienti e dipendenti dalle figure genitoriali. 

Antonella Lia afferma che la pedagogia nera non è l’unica causa dell’abuso sui figli, bisogna anche considerare la mancanza di affetto e attenzione, ma soprattutto è necessario prendere coscienza del disamore, un’ideologia perversa che traveste da educazione l’ostilità verso il bambino.

Un infante vittima del disamore è un figlio rifiutato, non accettato nella sua stessa esistenza e perciò identificato come il motivo del fallimento della vita dell’adulto, «adoperato come “vittima sacrificale” di tutte le frustrazioni genitoriali».(3)

La violenza domestica può essere presente in tutte le classi sociali, è indipendente dal livello culturale degli individui e perciò non è solo individuabile negli ambienti emarginati e di bassa estrazione sociale, come invece si è soliti pensare. I genitori maltrattanti sono persone “normali”, pienamente accettate e stimate dalla comunità, ma che utilizzano in maniera non sempre visibile all’esterno un metodo educativo autoritario e repressivo nei confronti dei figli.

Il tabù della violenza domestica è strettamente connesso a un’altra ferrea convinzione sociale: che il comportamento del genitore verso i figli sia sempre espressione del suo incondizionato amore.

Le percosse e i maltrattamenti in questo contesto assumono quindi ipocritamente un valore positivo, sono “un gesto d’amore” compiuto per il bene del bambino. L’autrice confuta, capitolo dopo capitolo, quell’immagine sacrale ma menzognera della “famiglia perfetta”, della famiglia come luogo incontestato dell’amore genitoriale verso i propri figli, come oasi felice in cui trovare rifugio e protezione.

Antonella Lia, che per anni ha lavorato nelle unità socio-psico-pedagogiche del Provveditorato agli Studi di Napoli per la prevenzione del disagio in età scolare, afferma in tutta la sua drammaticità che la causa principale della sofferenza e del malessere giovanile risiede proprio nel contesto famigliare.

Il rapporto che intercorre tra genitori e bambini è del tutto asimmetrico «da configurarsi come la forma più violenta di dominio»(4) su un individuo completamente indifeso e dipendente dalle figure di riferimento.

L’autrice afferma che l’utilizzo della violenza da parte del genitore spesso è dovuta a un’incomprensione del proprio sé e delle proprie emozioni, in particolare quelle negative come la rabbia, la frustrazione e la sofferenza, le quali sono state represse o non correttamente comprese durante il periodo dell’infanzia.

La vivacità, l’agitazione e la curiosità, caratteristiche proprie del bambino, possono quindi suscitare nel genitore frustrato antiche emozioni rimosse pronte a sfociare in gesti violenti.

La violenza, come si è già in precedenza affermato, non è sono solo di natura fisica, ma anche psicologica, realtà molto più subdola perché è invisibile, e ha il fine di mortificare il bambino, renderlo insicuro, umiliarlo, denigrandolo nella sua dignità umana e nella sua individualità, per renderlo docile, obbediente e dipendente dall’adulto.

L’autrice riprende il termine peste emozionale da Wilhelm Reich per descrivere questa condizione di repressione delle espressioni vitali del bambino.

I bambini che provano per i genitori un amore talmente forte rispetto a qualsiasi altra passione che possono provare nel corso della loro vita(5) verranno totalmente segnati dal comportamento violento dell’adulto.

I traumi provocati e le conseguenti emozioni negative verranno traslate dalla parte conscia a quella inconscia come unico mezzo di difesa posseduto dall’infante. Le sofferenze e i gli abusi subiti vengono rimossi ma non cancellati nella psiche, causando gravi problemi nella costruzione del proprio sé e incapacità di controllare le proprie emozioni, specialmente quelle negative.

La pedagogia nera e il disamore possono causare anche gravi danni alla collettività quando l’individuo sfoga frustrazione e rabbia verso gli altri. La violenza educativa è destinata infatti a perpetuarsi in una catena del trauma e del male che attraversa generazione dopo generazione. 

È possibile spezzare questa “catena invisibile del veleno”?

Quando riusciremo a educare i bambini in maniera rispettosa nei confronti della loro dignità umana?

Con questo libro Antonella Lia afferma l’importanza di liberarsi da tutte le menzogne sulla retorica della famiglia perfetta, e di iniziare a compiere un viaggio interiore di presa di coscienza sulle conseguenze nefaste della pedagogia nera e del disamore, ma soprattutto di comprensione e di controllo delle proprie emozioni, in particolare quelle negative. Ogni bambino deve essere rispettato e stimato in quanto essere umano. Necessita quindi di cure, amore, comprensione e gentilezza per un corretto sviluppo delle sue potenzialità intellettive ed emotive. «Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo».(6)

Antonella Lia,  Abitare la menzogna. Infanzia infelice. La retorica della famiglia perfetta e la rabbia giovanile. Da vittime a carnefici, Stampa Alternativa, Viterbo, 2013.

(1) Gabriele D’Annunzio, a cura di Giovanna Antonucci, La figlia di Iorio, in Tutto il teatro I, Newton & Compton, Roma, 1995, in Antonella Lia, Abitare la menzogna. Infanzia infelice. La retorica della famiglia perfetta e la rabbia giovanile. Da vittime a carnefici, Stampa Alternativa, Viterbo, 2013.
(2) Antonella  Lia, Abitare la menzogna. Infanzia infelice. La retorica della famiglia perfetta e la rabbia giovanile. Da vittime a carnefici, cit., p. 176.
(3) Ivi, cit. 68.
(4) Silvia Vegetti Finzi, Il bambino della notte. Diventare donna divenire madre, Mondadori, Milano, 1990, p. 252, in Ivi, cit, p. 22.
(5) Cfr, ivi, p. 23.
(6) Maria Montessori, Educazione per un mondo nuovo, Garzanti, Milano, 1970, in Ivi, cit, p. 172.