«Perché non voglio pensare troppo.»
«A cosa?»
«A tutto.»
Tempo d’estate, tempo di vacanze, di ferie e di riposo, desiderio di cambiare le abitudini quotidiane e la solita routine, ma soprattutto tanta voglia di evasione e di divertimento.
A volte il dolce far niente è una delle maggiori ambizioni per gli uomini: il fascino del divano, della sdraio, del bagnasciuga, il luccichio delle bollicine dei cocktails al tramonto, la seduzione del relax assoluto, tutti elementi che trovano voce anche nelle canzonette estive. Si va alla ricerca di un tempo non lavorativo, non alienato dai ritmi produttivi.
Il concetto di evasione è fra gli stereotipi più diffusi nell’età contemporanea, affermatosi con il diffondersi della cultura di massa.
Infatti, fu proprio nella società moderna industrializzata che la produzione in serie dei beni di consumo consentì a molti una maggiore quantità di tempo libero, inteso come una sorta di intervallo per produrre di più nel lavoro.
Nella contemporaneità , invece, il tempo libero si presenta in tutta la sua “ambiguità”, si tratta di una dimensione temporale ambivalente, in quanto può essere occasione di crescita personale e di partecipazione sociale, ma anche di alienazione e di spreco.
“L‘evaso” è colui che è fuggito dal carcere, così l’evasione è la fuga, l’allontanamento dai problemi incombenti della quotidianità, corsa affannosa verso nuovi spazi sia pure transitori in cui sperimentare altre possibilità. Una sorta di evasione globale da ogni situazione che appare come assillante e pesante e che rende provvisoria la prospettiva del domani.
Dunque il tempo libero come tempo liberato (dal lavoro), tempo di non lavoro e tempo per sé si caratterizza per una ricerca sfrenata di divertimento, tanto più gradito quanto più smodato, poiché mette tra parentesi tutte le inquietudini, diventando condizione metafisica dell’uomo contemporaneo.
La concezione di divertimento del filosofo Pascal è molto vicina alla nostra situazione storica, il grande pensatore usa l’espressione divertissement, in senso etimologico “distrazione” e, poi, “divertimento”, per indicare una sorta di stordimento personale, di fuga da sé. Tale divertissement si concretizza attraverso la dedizione alle più svariate attività quotidiane per esorcizzare l’angoscia che deriverebbe dal meditare sul proprio limite creaturale e sulla propria condizione di precarietà esistenziale.
Emblematiche le parole dello stesso Pascal: «Gli uomini, non avendo potuto guarire la morte, la miseria, l’ignoranza, hanno risolto, per vivere felici, di non pensarci».
Diversa la concezione del tempo libero per i greci. Aristotele considerava il tempo libero quale dimensione essenziale da investire in attività intellettuali e, in questo senso, privilegio degli uomini liberi, riconoscendo agli schiavi esclusivamente la necessità del riposo per ristabilire le forze fisiche dissipate dal lavoro.
Per Aristotele il tempo libero procurava felicità e godimento della vita, in quanto esso poteva trovarsi solo nell’attività contemplativa, l’unica che riusciva a procurare piacere. Le altre attività erano considerate inferiori e non potevano soddisfare l’uomo virtuoso in quanto essere razionale.
I romani, dal canto loro, opponevano nettamente l’otium al negotium, cioè l’ozio al lavoro, il secondo era faticosamente necessario per ottenere il primo.
Dunque l’otium latino, non era il semplice far niente e la pigrizia sterile, ma era contemplazione dell’anima, utile alla propria interiorità e all’intera società.
Da Seneca, fino a Cicerone il dolce far niente diventa una sorta di slancio intellettuale verso una vita piena e socialmente attiva. Lo studio e l’impegno teorico per le maggiori arti liberali sono nella prospettiva del pensatore latino gli elementi fondamentali dell’oziare, e diventano propedeutici per l’autentico cives, il quale deve impegnarsi, civilmente e politicamente.
Differente la concezione cristiana: l’ozio si manifesta dentro il negozio, il lavoro è mezzo di salvezza, è partecipazione alla grandezza di Dio.
Proprio la Costituzione Pastorale del Concilio Vaticano II° Gaudium et Spes, promulgata dal papa il 7 dicembre 1965, ha sottolineato la dignità del lavoro dell’uomo in quanto immagine e somiglianza del Dio creatore. In altre parole, l’uomo è lavoratore, perché Dio si è rivelato come gioioso lavoratore: «E Dio vide che era cosa buona» (Gen 1,12.18.21.25).
Nella nostra società, invece, non si parla più di ozio ma di tempo libero. Che cosa determina questo cambiamento lessicale?
Per Jürgen Habermas, il tempo libero è il tempo in cui si consuma la cultura, al contrario, l’ozio è il tempo che crea la cultura. Per Habermas il tempo libero delle moderne società è completamente al servizio del lavoro, in quanto inteso quale periodo necessario alla ripresa delle energie consumate, cioè un tempo per poter rigenerare nuove forze per il lavoro stesso.
Il tempo libero, invece, dovrebbe significare compensazione dell’impegno profuso, prevedendo che l’individuo rinunci al lavoro per dedicarsi ad attività altre, non lavorative.
Dunque non bisogna liberare il tempo da qualcosa ma liberarlo per qualcosa, qualcosa che ci renda realmente felici e appagati, bisognerebbe dare senso al tempo e abitarlo assicurandogli l’esperienza unica e piacevole del riposo ristoratore.
È fondamentale scegliere bene i luoghi da visitare e le attività rigeneranti per le nostre vacanze, per il nostro tempo liberato, per le nostre piacevoli evasioni estive. Non si tratta di intraprendere percorsi eccezionali, ma semplicemente di ridestare un sano e positivo sentimento per la vita.
BIBLIOGRAFIA:
Aristotele, L’Etica Nicomachea, Bompiani Editore, Milano 2000.
Cicerone M.T., De Oratore, ed. Bur, Milano 1994.
Habermas J., Storia e critica dell’opinione pubblica, Editori Laterza, Bari 2006.
Pascal B., Pensieri, a cura di P. Serini, Einaudi, Torino 1967, pp. 150-151
Concilio Vaticano II, Costituzione pastorale “Gaudium et Spes” (1965).
Immagine di copertina:
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