Una vita da libraio

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Ho comprato casualmente Una vita da libraio prima di un viaggio in treno.

Sono stata attirata, come prima cosa, dal titolo semplice ma bellissimo e da quell’immagine ironica che padroneggia in copertina.


Insomma, le basilari strategie di marketing editoriale hanno subito agito su di me.


Dopo averlo adocchiato, incuriosita, ho dato un’occhiata alla quarta e avendo letto che è ambientato in un paese sperduto della Scozia (che io adoro), mi sono fiondata alla cassa in uno slancio di esaltazione. Sono salita in treno e mi sono divorata il libro, continuando a sorridere da sola, pazza ma felice di quella compagnia letteraria discreta ma godibilmente cinica.


Una vita da libraio è costruito in maniera particolare: un diario reale in cui Shaun Bythell appunta le sue giornate in libreria.


Nulla di originale, si potrebbe pensare, ma in realtà ci sono elementi unici e a volte spaesanti: alla data, infatti, segue il resoconto degli ordini online e dei libri trovati. Inoltre, la forma del diario non rispecchia quella tradizionale, all’interno della quale chi scrive fa considerazioni molto personali e profonde. Sì, qualche volta le riflessioni emergono dalla lettura, ma in maniera sporadica e non voluta, proprio come avviene all’interno di un’esistenza vera.

Il sentimentalismo, quindi, è quasi assente e lascia spazio alla semplice assurdità della vita che scorre attorno alla libreria.

Essa si trova a Wigton, cittadina che conta a malapena 900 abitanti. Il protagonista decide di prendere in gestione il “The Book Shop”, sfidando ogni tipo di buon senso, sia per lo scarso numero di anime presenti nella cittadina che per il periodo storico non favorevole: siamo nell’epoca di Amazon e del declino delle piccole librerie “indipendenti”.

A causa di questi problemi, Shaun decide di trovare comunque dei modi per continuare a salvarsi. Organizza un festival, alcuni corsi, apre una pagina Facebook e finisce lui stesso a rivendere online. Insomma scende a qualche compromesso per sopravvivere nel mondo tanto affascinante quanto assurdo dei libri.

Altrettanto assurda è la realtà stessa in cui si viene catapultati sin dall’inizio. Personaggi esilaranti, quasi caricaturali, ma incredibilmente veri, si susseguono. C’è Nicky la dipendente testimone di Geova, che si rifiuta di occuparsi degli ordini online e prende dolcetti disgustosi dalla spazzatura, sempre armata di un furgone sfasciato e vestita con una tutta da sci; c’è Captain, il gatto nomade e grasso del proprietario, c’è una signora dalla voce triste che chiede sempre libri religiosi che Shaun puntualmente non ha; c’è Kelly il puzzone, lo spasimante ubriaco di Nicky eternamente ricoperto di profumo scadente per mascherare l’odore dell’alcool; ce ne sono tanti altri tutti tanto divertenti quanto “toccanti”. A essi e al protagonista – non troppo amabile – ci si affeziona sin dall’inizio perché le persone descritte sono grottesche e, per questo, molto umane.


Dal libro, quindi, emerge il “bello” del cosiddetto humour scozzese o inglese, ossia la capacità di illustrare esattamente la realtà così com’è, cioè qualcosa di grottesco e assurdo.


Shaun, con penna vivace, ma sempre essenziale, realistica e mai “romantica”, ci mostra con cosa e con chi viene in contatto ogni giorno un piccolo libraio di un dimenticato paese.

Durante questa narrazione non si muore dalle risate, ma si finisce col sorridere spesso, sempre con un po’ di nostalgia. Per cosa? Forse perché sentiamo che nel mondo dei libri c’è stata una svolta, forse per quei personaggi così spontanei, semplici e trasparenti, forse perché l’ironia di Bythell mette in luce lo scheletro affascinante, gogliardico, ma mortifero della realtà.

Bythell S., Una vita da libraio, trad. Palmieri C., Torino, Einaudi, 2017.