Comunicare, non convertire

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proselitismo Attività svolta da una religione, un movimento, un partito per cercare e formare nuovi seguaci. (1)


Cosa accade quando una persona vegana non fa che condividere sui social foto e video di macellazioni seguite da continui “ASSASSINI”?

Cosa accade – allo stesso modo e in maniera contraria allo stesso tempo – quando una persona vegana condivide foto di grigliate seguite da #VEGAN?


Semplicemente si alzano muri, si creano barriere, si imbastisce un distacco.


Può sembrare banale o scontato (ma se siamo arrivati a questo punto non lo è così tanto), ma ciò che manca da entrambe le parti spesso è la capacità di comunicare.

Parlare di una scelta o di una non scelta dovrebbe essere l’anticamera di un confronto positivo che spesso, invece, si trasforma in aggressioni verbali da entrambe le parti.


Non andiamo da nessuna parte.


È normale che quando ci si rende conto delle barbarie cui vengono obbligati milioni e milioni di animali ci si senta sbigottiti che alcune persone non abbiano la stessa empatia; quell’empatia e connessione che ci hanno portato a rifiutare di mangiare carne, pesce, latticini e uova o indossare abiti in pelle e lana, per non contribuire allo sfruttamento e all’uccisione.

Eppure allo sbigottimento non deve mai susseguire un’aggressione verbale, altrimenti si ottiene esattamente la reazione opposta: un muro di difesa a causa dell’aggressione ricevuta che non fa assolutamente bene alla causa antispecista, anzi.


Cosa fare allora?


Molto più utile diviene il cercare di parlare con le altre persone in modo propositivo, offrendo un esempio limpido di persona che ha scelto di abbracciare i diritti animali e l’etica vegana, inducendo curiosità e rispondendo in modo sereno e non accusatorio alle domande che vengono poste.

È più efficace rispondere al perché si è scelto di diventare vegan senza accusare chi si ha davanti, senza utilizzare una psicologia aggressiva ma piuttosto attrattiva che convogli interesse e curiosità. Possiamo parlare non solo di etica animale, ma chiamare anche in causa salute e ambiente se ciò può far scattare quel click di empatia che magari è presente ma sonnecchia in molte persone (per pigrizia, retaggio culturale, perché non si sono mai posti veramente il problema o non hanno mai avuto di fronte un interlocutore in grado di rispondere in modo sereno e dare un esempio positivo senza attaccare).


Non bisogna credere che sia necessario convincere o, peggio, convertire le altre persone.


Il veganismo non è una religione ma un modo di vivere che vuole escludere, per quanto possibile, ogni forma di sfruttamento e uccisione animale (2); e l’essere umano generalmente è restìo a mutare qualcosa, tanto più se l’abitudine da cambiare è frutto di un retaggio socio-culturale solido come il carnismo (3). 

Cercare di essere un modello positivo, influenzando gli altri in maniera trasparente e migliorativa per tutte e tutti, è il solo modo che possiamo usare per ricostruire la connessione e l’empatia che è stata tranciata con gli altri animali non umani.


Influenzare non significa manipolare o costringere subdolamente e, se ci pensiamo, ogni giorno con ogni nostra azione influiamo sugli altri perché agiscano o rispondano in maniera positiva o negativa anche solo interagendo con loro.


Basta una risposta o una frase detta in un modo diverso per avere una reazione completamente differente (pensiamo ad esempio quando qualcuno ci risponde male o ci chiede qualcosa in malo modo: è normale non essere propensi ad ascoltarlo e di risposta creare un muro, oppure aggredirlo a nostra volta). Influenzare in maniera positiva significa diventare un modello di integrità, trasparenza e buone intenzioni, mostrando alle persone che l’essere vegani è semplice, non trasforma in persone strane ed è l’unico modo per essere coerenti se si vuole evitare di essere causa di morte e sfruttamento di miliardi di animali. (4)

Ma soprattutto è necessario ricordare che quasi nessuno è nata/nato vegan ed è pertanto necessario non giudicare il percorso altrui, piuttosto accettando (prima) e mostrando (poi) alle altre persone il proprio percorso.


Quante volte abbiamo cambiato opinione o idea su qualcosa? Su un atteggiamento, su un’abitudine? 


Un po’ come quando abbiamo scelto di acquistare una borraccia in alluminio (che fino a qualche anno fa consideravamo un gadget da ciclista) anziché l’ennesima bottiglietta di plastica. Abbiamo cambiato tracciato, deviato le nostre abitudini, intrapreso una strada migliore e non solo per noi.

Non vale la pena imbastire un qualche tipo di conversazione se dall’altra parte c’è solamente desiderio di punzecchiare, questo è chiaro. Ma se dall’altro lato della tavola si trova una persona genuinamente curiosa del nostro modo di fare e dalla nostra scelta di vita, stimolare un sano confronto da cui entrambe le parti potranno imparare qualcosa di nuovo è sempre la scelta migliore. (5)

Quindi, in questo 1 novembre 2019 – giornata mondiale vegan, vogliamo augurarci e augurarvi di incontrare sulla strada sempre più persone che credono in qualcosa, che vogliono porre fine alla sofferenza altrui e che sappiano creare sane relazioni con empatia.

Ci auguriamo che tutte e tutti possano “fare la connessione” a tavola e nella moda.

Ci auguriamo che il mondo sia un posto per tutte e tutti.





(1) http://www.treccani.it/enciclopedia/proselitismo/

(2) https://www.vegansociety.com/go-vegan/definition-veganism 

(3) Melanie Joy ha coniato il termine “carnista” per indicare gli animali umani che si nutrono di carne di altri animali, differenziandoli in questo modo dagli “onnivori” sotto un’ottica etica. Cfr Beyond Carnism and toward Rational, Authentic Food Choices – Melanie Joy https://www.youtube.com/watch?v=MddTB5Spm0k 

(4) Tobias Leenart, How to create a vegan world, Brooklyn (NYC), Lantern Books, 2017.

(5) https://www.vegolosi.it/news/vegano-contro-onnivoro-la-psicologa-no-alla-rabbia-il-cambiamento-fa-paura/