Archivio dei bambini perduti

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Il nuovo romanzo di Valeria Luiselli, tradotto dall’inglese all’italiano da Tommaso Pincio per La Nuova Frontiera, si è aggiudicato un ampio successo internazionale, confermando l’abilità di una penna tra le più interessanti nel panorama letterario nordamericano di oggi.


Luiselli trova le parole giuste per raccontare il viaggio di migrazione delle migliaia di minori che tentano di raggiungere gli Stati Uniti attraversando il confine con il Messico.


Il suo libro non impone una versione di quel viaggio, né pretende di farsi voce di chi voce non ha. I protagonisti principali infatti non sono i bambini migranti, almeno non direttamente, ma una comune famiglia newyorkese.

La prima immagine che si incontra nel libro è quella di due bambini, fratello e sorella, addormentati nel retro dell’auto con le bocche spalancate, la luce entra dai finestrini mentre l’auto sfreccia lungo le centinaia di chilometri che collegano New York all’Arizona. Il padre guida mentre la madre, accanto a lui, guarda la cartina, accende la radio, sceglie audiolibri e canzoni.

Lui documentarista, lei “documentecaria”, una giornalista ossessionata dalla documentazione, dalla necessità di immortalare qualcosa perché il presente non svanisca in un futuro senza spessore. È sua la voce narrante, mentre del marito non si conoscono i pensieri. Hanno lavorato insieme per quattro anni registrando tutte le lingue dei residenti di New York, per creare così una complessa mappa sonora della città. Si sono innamorati, sposati e i loro figli – il maschio di lui, la femmina di lei – sono diventati fratelli.

Il loro viaggio verso sud fa capo a nuovi progetti di lavoro: lui vuole registrare i suoni delle terre degli Apache, la tribù di indiani d’America ad aver resistito più a lungo alle armi inglesi. Lei, invece, si muove sulle tracce dei bambini perduti: delle migliaia di bambini non accompagnati che tentano o hanno tentato di raggiungere gli Stati Uniti attraversando il confine con il Messico. 


Il viaggio si rivela anche un diversivo per rimandare la difficile decisione che dovrebbe accompagnare la consapevolezza, ormai di entrambi, di una relazione giunta al capolinea.


È un viaggio di scoperta, di documentazione, ma è anche un’esplorazione profondamente intima delle dinamiche di coppia e familiari; un viaggio di una sincerità struggente e universale, tanto che i nomi propri, nel romanzo, non esistono. I protagonisti non hanno nomi, solo soprannomi scelti durante il viaggio.

Ci sono nomi comuni: i figli sono “il maschio” e “la femmina”: due bambini qualunque, così come bambini qualunque sono i tanti senza nome che si perdono nel deserto, con un numero di telefono cucito sul colletto.


Al posto dei nomi propri ci sono anche storie e suoni che prendono corpo e disegnano la mappa sonora di un’America macchiata di sangue.


Una mappa che denuncia il silenzio indifferente che la circonda, interrotto solo dalle rare grida di sdegno che, come quelle della protagonista, si perdono nello spazio senza barriere del deserto.

«Se qualcuno le mappasse, le loro sei storie, ma anche le decine di storie simili alle loro, e alle centinaia e alle decine di migliaia di storie di coloro che sono arrivati e che arriveranno su treni come questo, la mappa traccerebbe un’unica linea: una crepa sottile, una lunga fenditura che trancia questo vasto continente in due» (2).

È verso questa crepa sottile che l’automobile si muove, alla scoperta di una venatura d’asfalto che è la stessa dei classici on the road ma che, al contrario di questi, lascia presagire l’avvicinamento a una catastrofe, più che a una mitica e ignota fonte di felicità. “L’America di Kerouac non ha nulla di questa America, così scarna, desolata e concreta” (2), pensa la protagonista guardando dal finestrino, mentre cerca ragioni da dare al marito per non ascoltare l’audiolibro di Sulla strada

L’infinita distesa di asfalto su cui correvano i ragazzi del romanzo di Kerouac era l’emblema di una libertà sconfinata; in Luiselli è la strettoia che conduce a una realtà spaventosa; quel mondo apparteneva perlopiù a giovani bianchi di classe media, questo mondo è pieno di bambini.


E questi bambini parlano, vedono, pensano.


L’archivio dei bambini perduti, distribuito nelle sette scatole sistemate nel bagagliaio dell’auto – e che in modo metanarrativo allude all’intero romanzo – raccoglie i suoni della nostra vergogna, i suoni flebili delle storie che nessuno racconterà, registrerà, ascolterà. Scrive Luiselli:

«L’inventario degli echi non è una collezione di suoni andati perduti – una cosa simile sarebbe in effetti impossibile – ma piuttosto dei suoni presenti al momento della registrazione e, nell’ascoltarli, ci ricordano quelli perduti» (3).

Il romanzo propone una profonda riflessione sul tempo, al punto che la narrazione scolorisce i confini temporali della linea retta su cui siamo abituati a concepire la storia per imporre un’ingombrante frattura verticale, profonda, che si ferma a indagare le tracce, a collezionare gli echi di esistenze pronte a essere inghiottite da un deserto che cancella nomi e volti.

«Nessuno è riuscito a catturare davvero quanto sta accadendo né a dirne il perché. Forse è solo che intuiamo un’assenza di futuro; siccome il presente ha acquistato un peso enorme, il futuro è diventato inimmaginabile. E senza futuro, il tempo sembra soltanto un’accumulazione. Un’accumulazione di mesi, giorni, disastri naturali, serie televisive, attacchi terroristici, divorzi, migrazioni di massa, compleanni, fotografie, albe» (4).


A scongiurare il pericolo che le tracce dei bambini perduti si perdano in una sterile accumulazione di documenti, questo archivio si è fatto romanzo.


Luiselli propone una narrazione che chiede al lettore di perdersi nel deserto insieme ai personaggi, a percepirne i suoni da vicino, ad affezionarsi a loro come solo i grandi scrittori sanno fare.

Valeria Luiselli, Archivio dei bambini perduti, La Nuova Frontiera, Roma, 2019.





(1) V. Luiselli, Archivio dei bambini perduti, La Nuova Frontiera, Roma, 2019, p. 172.
(2) V. Luiselli, Archivio dei bambini perduti, La Nuova Frontiera, Roma, 2019, p. 96.
(3) V. Luiselli, Archivio dei bambini perduti, La Nuova Frontiera, Roma, 2019, p. 169.
(4) V. Luiselli, Archivio dei bambini perduti, La Nuova Frontiera, Roma, 2019, p. 125.