Due premesse necessarie. Innanzitutto, in questo articolo cercherò di occuparmi dell’universo creato da George R.R. Martin tenendo in considerazione soltanto la serie HBO, perché questa presenta il vantaggio di essere conclusa, permettendoci di riflettere sull’arco narrativo di alcuni personaggi dall’inizio alla fine.
In secondo luogo, siete avvisati: l’articolo contiene spoiler sul finale della serie televisiva, quindi non andate oltre se non avete visto le ultime stagioni e non volete scoprire cosa succederà.
Coerentemente con la sua ambientazione, chiaramente ispirata al contesto dell’Europa medievale, Game of Thrones ci presenta da principio un mondo feudale e patriarcale, dove a regnare sono quasi sempre gli uomini. Di conseguenza, se alcune donne, come Cersei Lannister e Catelyn Stark, sono molto vicine a esercitare una qualche forma di potere, è soltanto perché sono le mogli di uomini potenti – Re Robert e il suo fedele amico e vassallo Ned – che possono provare a influenzare e consigliare.
Anche l’unico personaggio femminile che sembrerebbe rappresentare un’eccezione alla regola, la regina in esilio Daenerys Targaryen, si trova in realtà alla mercé di uomini che per molto tempo controllano il suo destino: il fratello Viserys, il marito Khal Drogo, Sir Jorah e varie altre figure che incontrerà sul suo cammino.
Con l’evolversi della storia e attraverso le vicende della Guerra dei Cinque Re, il destino delle donne di Martin sembra cambiare.
Molti dei loro fratelli, figli e mariti muoiono, e alcune di loro riescono o devono emanciparsi dal loro controllo per conquistare e amministrare potere da sole. È il caso per esempio di Cersei, che diventa reggente dei propri figli dopo la morte del marito e infine regina, ma anche delle due figlie di Ned Stark, Sansa ed Arya, che in modi diversissimi passano dall’essere delle bambine ingenue a delle giovani donne capaci di controllare il proprio destino e influenzare il mondo attorno a loro con le proprie decisioni.
Nelle ultime due stagioni, la guerra dei re si trasforma in una Guerra delle Regine (Cersei, Sansa e Daenerys) e sembra ormai probabile che a sedere sul Trono di Spade sarà una donna.
Tuttavia, questo non accade.
Il finale che ha spiazzato molti degli spettatori accaniti della serie è imprevedibile: a sedere sul trono è Brandon Stark, affiancato da un Consiglio Ristretto quasi completamente al maschile, in cui l’unica donna è Brienne di Tarth, nuovo capo della guardia reale.
Che ne è stato delle tre regine Cersei, Sansa, Daenerys?
Cominciamo da Sansa, perché è l’unica che ha ottenuto e mantenuto un po’ di potere.
Alla fine della serie Sansa è la Regina del Nord, regno indipendente o semindipendente (non è perfettamente chiaro) dal Trono di Spade. Sembrerebbe una vittoria, ma nonostante la serie cerchi in modo blando di convincerci che la figlia di Ned Stark regna sulla sua terra natìa perché è la più idonea a farlo, la realtà è che Sansa occupa questa posizione soltanto perché tutti i suoi fratelli maschi sono morti o hanno rifiutato quel ruolo, che lei ha barattato con il suo voto favorevole nel momento dell’elezione di Bran come nuovo re di Westeros.
La parabola ascendente di Sansa, che l’ha trasformata da ingenua bimbetta innamorata del principe a giovane donna di potere, si è servita inoltre di un espediente a dir poco problematico: lo stupro come violenza definitiva che consente alla vittima di rinascere più forte e combattiva.
Durante la quinta stagione, Sansa viene infatti costretta a sposare Ramsey Bolton, il quale la stupra durante la loro prima notte di nozze, sotto gli occhi di un impotente Theon (1).
Questa scena rappresenta il momento più basso delle molte violenze subite dalla ragazza, e da qui la serie ce la presenterà in futuro come una sopravvissuta, che proprio perché ha subito tanta crudeltà potrà riemergere fortificata e vincitrice, nella classica narrativa che usa la violenza sessuale su una donna come espediente narrativo che la dota di nuova forza (2).
Sansa è Regina del Nord, dunque, ma quanto conta questo suo potere e a quale prezzo lo ha ottenuto? Al termine della narrazione, Sansa è davvero una donna vincente? Il suo personaggio rappresenta veramente l’affermazione dell’autodeterminarsi di un potere femminile?
Per quanto mi riguarda, queste sono domande che rimangono aperte.
Le due regine Cersei e Daenerys si muovono su binari per molti versi paralleli, e può essere dunque interessante considerare le loro storie allo stesso tempo. All’inizio, e per molta parte della serie, entrambe rappresentano donne ambiziose sottovalutate dal sistema patriarcale. Sono costrette a matrimoni combinati con uomini di potere (Re Robert e Khal Drogo) da altri uomini potenti (il padre di Cersei e il fratello maggiore di Daenerys) e il loro corpo è usato come merce di scambio per alleanze vantaggiose non certo a loro stesse, ma a chi le controlla (3).
Entrambe sono madri non proprio convenzionali: i figli di Cersei sono frutto di una relazione clandestina e incestuosa, mentre Daenerys perde la fertilità e i suoi figli sono in realtà i suoi draghi.
Come madri, tuttavia, entrambe vengono presentate in modo molto tradizionale: sono pronte a tutto per proteggere i propri figli, pazze di dolore quando li perdono, e pazze nel vendicare le loro sofferenze e la morte. In sostanza: donne folli che, appena ottengono il potere, lo usano per distruggere il mondo, nonostante i disperati tentativi dei loro buoni consiglieri.
Donne che si rende necessario uccidere, affinché non possano più fare danni.
È interessante notare che per entrambe il grande amore è un uomo della loro famiglia (il fratello Jamie nel caso di Cersei, il nipote Jon per Daenerys) e che questi uomini sono presentati come la loro controparte razionale ed equilibrata, capaci di fare la cosa giusta nonostante l’affetto che provano per le amanti, mentre loro due sono avvelenate da quel sentimento e ne sembrano sopraffatte, incapaci di prendere decisioni razionali proprio perché amano.
Non si può far finta che questa narrazione non ricalchi gli stereotipi più infami sulle donne, da sempre viste e raccontate come emotive, irrazionali e incapaci di amministrare il potere.
Cersei e Daenerys avrebbero potuto rappresentare un’alternativa valida a un mondo che veniva governato piuttosto male da regnanti di sesso maschile, ma appena raggiungono il potere la serie ce le mostra come incapaci di amministrarlo, sorde ai buoni consigli dei loro aiutanti, sempre uomini e sempre più equilibrati, più giusti, più razionali di loro.
La loro morte diventa dunque necessaria a ristabilire l’ordine, un ordine che, come anticipato, sarà dominato ancora una volta dalla presenza maschile, seppur di una mascolinità certamente diversa da quella di cavalieri come Robert Baratheon e Ned Stark.
Il mondo di Game of Thrones è popolato da moltissimi personaggi interessanti, e una buona parte di questi sono donne. Le loro vicende e il modo in cui esse sono rappresentate sono alcuni dei tanti aspetti significativi di questo ciclo narrativo che lo hanno portato a diventare un nuovo cult della cultura pop.
Quale immagine della donna trasmettono queste protagoniste femminili? È sufficiente mostrare dei personaggi femminili al potere per costruire una narrazione che sia femminista, o anche solo empowering per le donne? Cosa ci rivelano le donne di Game of Thrones su come vediamo e rappresentiamo le donne del mondo reale?
(1) Uno dei molteplici aspetti problematici di questa scena è che la telecamera si focalizza sul dolore di Theon, tentando di alleggerire la scena senza mostrare ciò che accade e dandoci l’idea che ciò a cui sta assistendo è l’evento fondamentale che lo redimerà dalla sua lunga serie di tradimenti nei confronti degli Stark e lo convincerà a parteggiare per loro. Lo stupro di Sansa diventa perciò il plot device fondamentale che modifica la traiettoria narrativa di Theon, creando una situazione in cui la violenza su una donna è strumentale per la redenzione di un personaggio maschile, che da allora ne diventerà il protettore.
(2) Un altro problema di questa scena è che ha il chiaro scopo di coltivare nello spettatore un odio per Ramsay, che prepara la soddisfazione che proviamo quando Sansa stessa si vendica di lui facendolo mangiare vivo dai propri mastini. Qui non si tratta solo di giustizia, ma di un gusto per la violenza che viene esplicitamente incentivato e coltivato da Game of Thrones, che con la scusa di voler rappresentare un contesto violento finisce spesso per esaltarne e spettacolarizzarne le caratteristiche sadiche e brutali.
(3) A proposito di stupro, è interessante notare come la prima notte di nozze di Daenerys viene rappresentata nello show in modo molto meno drammatico di quella di Sansa con Ramsey. Nonostante le due situazioni siano analoghe, il secondo caso viene chiaramente rappresentato come un momento drammatico e degradante per la protagonista, mentre nel caso di Daenerys, la violenza di Khal Drogo viene mostrata come un male necessario. La violenza è usata per mostrare l’attrice nuda catturando l’attenzione dello spettatore e poi la scena scompare in dissolvenza, risparmiandoci la visione del “peggio” ma anche diminuendo la drammaticità dell’evento. Non c’è alcun invito a empatizzare con lei, e il fatto che il suo rapporto con Khal Drogo venga poi rappresentato come un grande amore, in cui Daenerys si preoccupa di non essere in grado di soddisfare il proprio uomo tra le lenzuola, induce lo spettatore a dimenticare come la loro storia sia iniziata di fatto come il matrimonio combinato di una ragazzina adolescente con uno sconosciuto che la baratta con la propria alleanza a Vyseris.
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