Che cos’è la malattia? Dire che è una mera disfunzione organica o mentale che compromette lo stato di salute è riduttivo, in quanto, oltre all’oggettività di una determinata patologia, bisogna guardare non solo all’individuo malato, ma anche analizzare che impatto ha una malattia sulla società. L’antropologia medica si occupa proprio di affrontare le questioni inerenti alla triade salute-malattia-cura sia compiendo una distinzione emico-etica (1), sia scomponendo la malattia in tre termini: disease, illness e sickness.
Anche il fenomeno Coronavirus – che va a determinare un momento storico eccezionale – risulta analizzabile tramite questa scomposizione.
Disease è il termine utilizzato per definire la malattia in termini meramente oggettivi di disfunzione: nel nostro caso, il Covid-19 presenta una determinata sintomatologia suddivisibile in 6 stadi (malattia non complicata, polmonite moderata, polmonite severa, ARDS – sindrome da distress respiratorio acuto, sepsi, shock settico) (2); Illnes si riferisce all’esperienza soggettiva del malato e alle sue credenze relative al proprio stato di salute; Sickness è la malattia socializzata, ovvero il modo in cui un gruppo sociale la interpreta e la percepisce. A stabilire quale sarà la Sickness derivante dal Disease in questione è la comunicazione. Il modo in cui un’emergenza viene comunicata diventa fondamentale per scindere tra la creazione di allarmismi e la diffusione delle corrette modalità di prevenzione e comportamento.
Tra queste ultime si annoverano le restrizioni imposte dal governo, che comportano conseguenze sulla nostra libertà personale solo in apparenza inaccettabili, in quanto ineluttabili per evitare la crescita esponenziale dei contagi che hanno messo a repentaglio la situazione del sistema sanitario e degli ospedali.
La premessa è dunque quella di un prossimo e incombente collasso del SSN, che vede coinvolte in prima linea i reparti di terapia intensiva (TI), i quali stanno esaurendo la capacità di ricoverare eventuali nuovi pazienti e si trovano di fronte a un importante conflitto bioetico, che vede coinvolto uno dei termini filosofici per eccellenza: la scelta.
Si è resa necessaria l’introduzione di un criterio di discrimine all’accesso, là dove il termine discrimine è ben lontano da discriminazione.
I numeri nudi e crudi (2), frutto dell’alta carica virulenta del Covid-19 e del conseguente contagio ad alta velocità, vanno a scontrarsi con l’effettiva disponibilità dei posti di ricovero: c’è bisogno di fare una scelta per far fronte con giustizia a una oggettiva scarsità di risorse (3).
Le forme fondamentali di giustizia sono tre: legale, commutativa e distributiva. Quella legale regola le relazioni dei singoli verso la società, cioè i doveri codificati in leggi (5); quella commutativa coordina i rapporti tra i singoli individui; quella distributiva guida la ripartizione dei vantaggi da parte della società verso i cittadini (6).
Nel caso in questione, è rilevante il concetto di giustizia distributiva: come assegnare in maniera equa e giusta una quantità di risorse inferiore ai soggetti che ne abbisognano?
Si potrebbe seguire, per l’accesso alle TI, l’ordine di arrivo dei pazienti, ma «in uno scenario di saturazione totale delle risorse intensive, decidere di mantenere un criterio di first come, first served equivarrebbe comunque a scegliere di non curare gli eventuali pazienti successivi che rimarrebbero esclusi dalla terapia intensiva», siano essi affetti dal virus Covid-19 o da altra condizione. Andrebbero quindi a sommarsi le esigenze derivanti tanto dal Coronavirus quanto da ogni altra patologia che necessita di trattamenti intensivi.
Ecco perché è così importante arginare il contagio riducendo al minimo indispensabile i movimenti delle persone fisiche (8).
La SIAARTI – Società Italiana di Anestesia Analgesia Rianimazione e Terapia Intensiva – esplicita allora, nella consapevolezza di quanto sia lacerante il dover scegliere, che «può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in TI […] [per] riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza e secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata, in un’ottica di massimizzazione dei benefici per il maggior numero di persone», ovviamente dopo aver compiuto ogni sforzo possibile in termini di erogazione di servizi e dopo aver valutato ogni possibilità di trasferimento del paziente.
Quello che in bioetica è denominato principio di giustizia (9), a causa dell’emergenza Covid-19, si applicherà allora secondo tale criterio: di fronte a una grave carenza delle risorse sanitarie si cercherà di garantire i trattamenti intensivi ai pazienti con maggiori possibilità di successo terapeutico, valutato in concomitanza con altri elementi quali tipologia e gravità della malattia, presenza di patologie accessorie, danni ad altri apparati e organi e la reversibilità di tutti questi fattori.
È evidente che l’emergenza sanitaria che stiamo fronteggiando avrà delle conseguenze: sul piano economico, a livello sanitario, sulla nostra quotidianità.
Nel momento in cui si potrà ritenere superata la fase di emergenza, tuttavia, sarà bene non limitarci a tornare alla “vita pre-Coronavirus”, bensì compiere un superamento – aufhebung – che sia da un lato la rimozione della paura, dall’altro l’apprendere dalla paura stessa.
(1) Le parole “emico” ed “etico” sono utilizzate in antropologia per indicare il punto di vista, le credenze e i valori in generale degli attori sociali
(2) Cfr.http://www.siaarti.it/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI.aspx.
(3) È bene fare affidamento solo alle fonti ufficiali. È possibile reperire i dati in aggiornamento reale qui: http://www.salute.gov.it/portale/nuovocoronavirus/dettaglioContenutiNuovoCoronavirus.jsp?lingua=italiano&id=5351&area=nuovoCoronavirus&menu=vuoto
(4) La SIAARTI specifica che «Il tasso di mortalità rimane oggi INDEFINITO e risulta IMPARAGONABILE in maniera esatta con le precedenti epidemie influenzali». Cfr. http://www.siaarti.it/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI.aspx
(5) Cfr. La questione della giustizia, in Paola Premoli De Marchi, Introduzione all’etica medica, Accademia University Press, Torino, 2012.
(6) Claudio Mazzarelli (a cura di), Aristotele, Etica nicomachea, Bompiani, Milano, 2000, V, 3, 1131 a 10 – 1132 b 9. Proprio ad Aristotele si deve l’elaborazione dei concetti di giustizia commutativa e distributiva.
(7) Ibidem.
(8) «I criteri riguardano tutti i pazienti intensivi, non solo i pazienti infetti con infezione da Covid-19». Cfr. http://www.siaarti.it/SiteAssets/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI/SIAARTI%20-%20Covid19%20-%20Raccomandazioni%20di%20etica%20clinica.pdf. Andrebbero quindi a sommarsi le esigenze derivanti tanto dal Coronavirus quanto da ogni altra patologia che necessita di trattamenti intensivi. Ecco perché è così importante arginare il contagio riducendo al minimo indispensabile i movimenti delle persone fisiche.
(9) Cfr. L. Beauchamp, James F. Childress, Principi di etica biomedica, Le Lettere, Firenze, 1999. Il principio di giustizia viene a combaciare con il concetto di giustizia distributive, in quanto stabilisce proprio che in presenza di scarsità di risorse, esse vengano distribuite tra i pazienti in modo equo. Gli altri postulate dell’etica biomedical sono il principio di autonomia – secondo cui il paziente prende parte al processo decisionale relative al trattamento; il principio di beneficienza – per cui le azioni sono dirette al beneficio del paziente; il principio del primum non nocere – che si pone come primo obiettivo il non causare danno al paziente.(10) http://www.siaarti.it/SiteAssets/News/COVID19%20-%20documenti%20SIAARTI/SIAARTI%20-%20Covid19%20-%20Raccomandazioni%20di%20etica%20clinica.pdf.
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