Non temete: CONTRA/DIZIONI non si ferma nemmeno in tempi di Covid-19. Dopo una breve pausa di assestamento il progetto riparte alla grande, proprio come la mia rubrica Gendersofia.
Il 30 aprile si è infatti tenuto il primo incontro online con Carlotta Cossutta (attualmente assegnista di ricerca in Filosofia Politica presso l’Università del Piemonte Orientale) che ha parlato di politiche dei corpi. Il testo di riferimento per l’intervento di Cossutta è un libro scritto da lei in collaborazione con Valentina Greco, Arianna Mainardi e Stefano Voli intitolato Smagliature digitali. Corpi, generi e tecnologie (Agenzia X, Milano, 2018). Cossutta tiene molto a precisare che questo testo è un prodotto collettivo, e lo fa invitandoci a un’importante riflessione: i luoghi del sapere ci spingono a credere che l’avventura intellettuale sia prevalentemente solitaria, ma questo è vero solo in parte; il pensiero infatti è un viaggio collettivo e i nostri pensieri non sono mai solamente nostri, ma sono il frutto di tutte le esperienze che abbiamo fatto e di tutte le persone che abbiamo incontrato nel nostro percorso.
Dopo questa breve introduzione, Cossutta entra nel vivo del discorso. Partiamo dunque dalle basi del rapporto tra tecnologia, politica e corpi: come vengono politicamente costruiti i corpi? E come questa costruzione politica del corpo influenza il modo in cui immaginiamo le soggettività politiche e la stessa azione politica?
Innanzitutto, Cossutta ci spiega che la storia del corpo politico e le metafore che legano quest’ultimo alla politica sono infinite: dall’antica Grecia in avanti la società ci viene descritta come un corpo fatto di diversi organi che operano tra di loro.
L’esempio più famoso è quello del frontespizio del Leviatano disegnato da Thomas Hobbes, in cui la figura del sovrano è composta da tanti piccoli individui visti di spalle e pertanto quasi indistinguibili l’uno dall’altro. Hobbes disegna questo frontespizio per rappresentare il nuovo corpo a cui il contratto sociale dà vita, ovvero uno Stato formato da tutti i suoi cittadini riuniti in un solo uomo. Il Leviatano viene pubblicato nel 1651, siamo perciò in pieno XVII secolo.
Nello stesso periodo si assiste alla nascita del metodo scientifico che, dando l’avvio allo studio dei corpi in una nuova chiave, porterà poi alla moderna biologia. Ciò che è interessante in questa convergenza temporale tra Hobbes e il metodo scientifico è che Hobbes ha bisogno di descrivere il corpo del sovrano come formato da tanti corpi tutti uguali (così come uguali egli immagina gli uomini nello stato di natura); allo stesso modo la scienza, operando una parcellizzazione dei corpi, se da un lato scopre infinite differenze, dall’altro continua a ripostulare questa possibile uguaglianza, che Cossutta chiama “neutralità”: un modello, un’immagine di cosa sia un corpo umano che, a prescindere dalle possibili diversità che noi possiamo esperire nella realtà, ci dice una verità su di esso. Questo ci dà l’idea di quanto antica e fondamentale sia la connessione metaforica tra politica e corpo, che è tutto tranne che un caso.
Cossutta passa poi ad affrontare la relazione tra il Femminismo e questa metafora dei corpi politici.
Siamo nella seconda metà del 1700, momento paradigmatico in cui inizia a prendere piede l’idea che esistano differenze biologiche naturali tra uomini e donne; non che prima non ci fosse la descrizione di queste differenze sulla base delle diverse fisionomie e funzioni: basti pensare ad Aristotele e alla sua descrizione della donna come recipiente. In Aristotele, però, le differenze del corpo non sono che la conferma di una differenza già descritta e riscontrata nell’anima (le donne infatti, secondo lo Stagirita, non accedono all’anima razionale), mentre nel Settecento c’è uno spostamento di prospettiva: è il corpo a dirci qualcosa sull’anima.
Questo è il momento in cui Michel Foucault situa la nascita della biopolitica nonché la creazione dei primi ospedali e manicomi. Ma è importante ricordare che, in questo stesso periodo, vengono costruiti anche i primi reparti di maternità, pensati per essere scuole per medici ginecologi. Inizialmente, però, quasi nessuna donna voleva partorire lì, poiché vi erano ancora forti resistenze verso l’idea di mettere il proprio corpo a disposizione degli uomini; ne è un esempio il fatto che il solo spogliarsi e partorire di fronte a dei maschi era considerato quasi alla stregua della prostituzione.
Fino a quel momento, infatti, i medici non si erano mai occupati più di tanto dei corpi femminili e della riproduzione.
I trattati anatomici scritti fino a quel momento descrivono i corpi maschili e quelli femminili – nonché i rispettivi organi genitali – come uno (il femminile) lo specchio rovesciato (cioè il negativo) dell’altro. Nel Settecento, invece, questo inizia a cambiare: emerge la volontà di osservare e descrivere cosa accade all’interno dei corpi in maniera oggettiva, e così avviene anche per lo studio del feto, fino ad allora descritto e disegnato come un omino in miniatura. Non che prima i medici non fossero in grado di vedere la realtà, ma semplicemente la realtà non era mai stata rilevante da un punto di vista politico.
La situazione cambia quando avere una popolazione sana diventa interessante e, di conseguenza, produrre dei neonati sani che possano diventare degli adulti sani diventa necessario. Se prima Hobbes metteva al centro un sovrano che governa su tutti gli uomini uguali, il passaggio alla biopolitica agisce “omnes et singulatim” (“su tutti e su ciascuno”): ci si occupa del livello macro della popolazione ma per questo bisogna anche occuparsi singolarmente di ogni corpo. Si passa così da un livello quantitativo a uno qualitativo.
È questo il momento in cui Barbara Duden identifica come l’origine del processo che ha trasformato il corpo della donna e il suo utero in un luogo pubblico.
Questo avviene anche dal punto di vista legislativo: l’aborto, che era sempre stato disapprovato moralmente, diventa reato con il Codice Napoleonico (1804). Il corpo della donna inizia quindi ad essere costruito come un sistema complesso, ma che ha una norma a cui ancorarsi. Questo si vede chiaramente nella gravidanza: fino alla metà del Settecento essa veniva considerata come un’esperienza molto legata alle sensazioni della donna (e molto poco alla vista) e come un evento imprevedibile (l’unico vero indizio di una gravidanza in atto era la sensazione di movimento del feto che sente la donna gravida).
Da questo momento in poi, invece, la gravidanza deve essere certificata da un medico attraverso la palpazione. Questo processo trova infine il suo compimento nell’ecografia, una tecnologia militare poi utilizzata per studiare l’utero. Ciò che cambia è la posizione di potere: se prima era in mano alla donna che avvertiva il movimento, ora è in mano a chi è in grado sia di manovrare la macchina che di decodificare e raccontare la verità delle immagini. Da qui in poi le gravidanze possono essere inserite in diagrammi che ne descrivono perfettamente l’andamento, a prescindere dal vissuto della donna. Ci si sposta dunque dalla dimensione del racconto del sintomo da parte della paziente a quella di adesione a uno standard.
Ecco dunque che lo sguardo cambia. Parlare e riflettere su questo cambiamento di prospettiva ci interessa, da un punto di vista filosofico, perché lì sta l’origine della costruzione di alcuni concetti (salute, malattia, natura, cultura, progresso) che sono stati poi utilizzati politicamente.
La stessa cosa avviene infatti in tutti gli altri aspetti della presa in carico del sapere medico dei corpi, non solo nella gravidanza.
Cossutta consiglia di leggere a questo proposito Testo tossico di Paul B. Preciado. In questo testo l’autore parla della sua assunzione di testosterone in relazione alla storia di quel testosterone, compiendo così un gesto tipicamente harawaiano: Donna Haraway, infatti, ci dice che la biologia è una scienza storica. Questo vuol dire che essa è prodotta storicamente ma anche il contrario: le scoperte della biologia sono infatti dei rapporti di sapere e potere che sono storicamente in atto nel momento in cui quelle scoperte avvengono. I laboratori non sono luoghi neutri, sterili e isolati dalla società: quello che avviene lì dentro è strettamente connesso con quello che succede fuori, nella società.
Questo è dimostrato dal fatto che per molto tempo gli unici a poter osservare sono stati gli uomini, mentre a donne, schiavi e altre soggettività non era permesso, in quanto si credeva che non avessero una vista attendibile.
Le donne infatti non possono essere “testimoni attendibili” perché sono ritenute da sempre soggettività parziali e non universali: in parte perché tradizionalmente sono da sempre considerate meno istruite e razionali, e dunque più facilmente suggestionabili, in parte perché si sa che le mestruazioni alterano i loro sensi, e per questo non possono dare un giudizio oggettivo ed essere soggetti neutrali.
Per questa ragione, dice Haraway, osservare la storia delle scienze che ci hanno costituito ci permette di capire come siamo arrivati ad essere quelli che siamo.
Che è di fatto quello che fa Preciado, ripercorrendo la storia della sintetizzazione degli ormoni che, non a caso, nasce con la scoperta medica della gravidanza (alla fine del Settecento) attraverso le varie sperimentazioni volte a usare gli ormoni per correggere gli sbagli della natura.
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