Westworld: sondando l’umano

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Westworld

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Cos’è che ci rende davvero umani? È questa la domanda che Westworld pone al suo spettatore. Una domanda che questa serie TV presenta in un’ottica nuova e originale.

La serie, sin dalle prime scene, ci fa compenetrare nella sempre programmata vita degli hosts, gli androidi che abitano il parco “divertimenti” che dà il titolo allo show. Ci sentiamo subito alienati dalle loro giornate così ripetitive, sempre uguali, che etichettiamo facilmente come diverse dalle nostre. Questo ci permette dunque di segnare una netta linea di separazione tra noi e loro. Tuttavia, episodio dopo episodio, sempre più hosts iniziano a prendere consapevolezza della loro realtà e a liberarsi da quei vincoli che sono loro imposti. Ed ecco che appaiono, nei loro atteggiamenti e sentimenti, del tutto uguali a noi, così tanto da coinvolgerci emotivamente in quelle vicende che potremmo definire tutte umane


Cosa ci resta allora per definirci reali? Tre sono le argomentazioni a cui (consapevolmente o meno) ci aggrappiamo.


La prima è la questione dell’indipendenza: gli hosts possono essere in ogni momento costretti a compiere un’azione, o addirittura spenti. La seconda è quella del loro mondo: il parco di Westworld, a differenza del nostro, non è reale. L’ultima è quella dell’origine: gli uomini sono nati mentre gli hosts sono stati creati, e questo li rende inferiori.

Con lo scorrere delle puntate, tutte queste argomentazioni vengono meno. Ben presto molti degli androidi riescono a non farsi più controllare e ad agire quindi in modo indipendente, sfruttando le loro potenzialità a proprio favore. Per quanto riguarda invece la questione del parco, arriviamo a capire che in fondo non conta, perché la storia ci dimostra che Westworld è una realtà per gli hosts non meno vera di quanto la nostra lo sia per noi. Rimane allora solo l’ultimo punto: può bastare una differenza nell’origine per affermare che uomini e hosts sono totalmente diversi?

La serie ci pone questo interrogativo, ma allo stesso tempo ci indirizza sicuramente verso una risposta: no. E lo possiamo vedere in modo esemplificativo nelle vicende di un personaggio che non è, come ci hanno fatto credere, un umano, eppure continua a sembrarci tale. L’informazione che abbiamo ricevuto non ce lo fa rivalutare e i suoi sentimenti e pensieri rimangono validi ai nostri occhi


Quindi, se cadono anche le giustificazioni che ci siamo creati, non rimane niente a differenziarci dagli hosts. E di conseguenza, non sappiamo più cos’è che ci rende davvero umani.


Westworld ci pone su un cammino di auto-indagine, ma ciò che lo rende originale è il modo in cui lo presenta. Infatti, a differenza di molte altre serie tv o film, i confini tra umano e androide qui sono estremamente sfumati, in quanto non vengono rappresentate due fazioni determinate, con obiettivi ben definiti. Quando gli hosts iniziano a prendere consapevolezza della propria condizione, ognuno di loro trae una conclusione diversa da questa esperienza.

Pensiamo ad esempio alle due donne principali della storia, Maeve e Dolores. La prima accetta i ricordi che sono stati creati per lei come reali e vuole riappropriarsene. È lei a scegliere la propria realtà, e decide infatti di andare in cerca della propria “figlia”. Maeve non ha nessuna intenzione di ottenere vendetta contro gli uomini o di vivere nel loro mondo, ma vuole semplicemente proteggere la propria famiglia. Certo, per fare ciò sfrutta alcuni dipendenti del parco, ma poi il loro rapporto si trasforma quasi in un’amicizia, cosa che rende ancor più palese la mancanza di differenze tra umani e androidi. Dall’altro lato abbiamo invece Dolores, che ha un solo obiettivo in mente: condurre tutti gli hosts in una vendicativa guerra contro il genere umano. Quest’ultimo è infatti colpevole in quanto responsabile del trattamento riservato a tutti quelli come lei, e deve essere quindi punito.


Già da questi due personaggi capiamo quanto gli hosts siano persone a sé, individualmente definite, ed è proprio questo che li rende intimamente umani.


Per capire ancora meglio quanto la linea tra “umano” e “non-umano” sia sfumata, torniamo al personaggio di Dolores. Questa infatti, nella sua lotta contro gli umani, diventa come loro compiendo un gesto che corrisponde esattamente alla colpa che gli addita, sfruttando il sistema di un host per modificarlo a suo piacimento. Può davvero una vittima che si trasforma nel suo carnefice dirsi diversa da questo?

Dunque, il merito di Westworld sta proprio nello sfumare i confini tra le parti. La serie distrugge in pochi gesti tutte le nostre convinzioni e i nostri preconcetti sulla nostra natura. In un’epoca come questa, in cui la linea tra umano e artificiale si sta davvero perdendo, lo show andrebbe guardato proprio per cercare delle possibili risposte a domande già poste molte volte, ma mai in questi termini, e mai con tanta urgenza. E se il senso del labirinto, grande protagonista della prima stagione, è quello di portare gli hosts a prendere coscienza della propria realtà, si può dire che non siano i soli a giovare di questo percorso.






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