Contro la maternità patriarcale è un breve saggio di Mariam Irene Tazi-Preve edito da VandA edizioni, che ha l’obiettivo di muovere una critica contro il concetto di maternità elaborato dalla cultura patriarcale, per darne una nuova dignità prendendo come punto di riferimento gli studi sulle società matriarcali.
L’uomo – sostiene l’autrice – ha sempre avuto il desiderio di appropriarsi della funzione materna poiché essa ha un potere sociale enorme: dà origine alla vita e perpetua la specie.
Il tema della maternità assume una posizione fondamentale all’interno della società e nel «dibattito politico ed economico, ma non si può dire lo stesso della madre, con le sue necessità e le sue doti né del suo donare costante» poiché «il donare materno non è riconosciuto come tale e pertanto risulta inesistente a livello politico ed economico» (1).
Secondo Tazi-Preve è stato l’uomo a trasformare il concetto di maternità con un fine ben preciso: oscurare la madre dalla sua funzione, togliendo valore e significato alla sua figura, per prenderne il suo posto e diventare lui stesso creatore. L’autrice sostiene che il concetto di maternità patriarcale pone le sue radici in quello che lei definisce “matricidio storico”: «la madre è ancora viva fisicamente, essendo necessaria come fattrice, nutrice e lavoratrice» (2), ma simbolicamente viene uccisa affinché a prevalere ci sia la creatività del padre.
Il lavoro e il corpo delle madri viene minimizzato, sfruttato e oppresso poiché esse «rimangono fisicamente necessarie e “funzionano” come procreatrici e addette alle cure» (3), sono utili nell’amministrazione della casa e nell’incentivare l’economia domestica.
La sessualità femminile e il processo riproduttivo divengono funzioni controllate e minuziosamente regolate all’interno della famiglia nucleare con a capo il padre. I figli portano nelle società patriarcali il cognome paterno, misura politica che vuole essere manifestazione della creatività dell’uomo.
In questo contesto le madri vivono la loro quotidiana sottomissione come se fosse una realtà naturale, fedeli alle “istruzioni patriarcali” su come deve avvenire l’esatto esercizio del loro dovere materno, in uno stato di costante “isolamento solitario” dalle altre donne. Questo perché «l’individualizzazione e l’isolamento rendono le madri estremamente vulnerabili, il bersaglio perfetto per ogni intervento politico o psicologico. Il metodo del divide et impera, di isolare le madri l’una dall’altra e dalla società nel suo complesso, fa sì che siano perfettamente controllabili» (4). Le madri finiscono così per credere che il loro compito sia quello di sacrificarsi per la cura dei figli del marito, annullando completamente il loro essere donna, le loro esigenze e le loro necessità.
Tazi-Preve, riprendendo gli studi di Genevieve Vaughan sulle società matriarcali e sull’economia del dono, afferma l’importanza di ritornare a una concezione originaria di madre e di maternità priva di condizionamenti prodotti dalla cultura patriarcale. «Qual è il passo più importante da compiere? […] qual è il modello su cui basare il nostro nuovo modo di concepire una vita personale liberata?» (5)
A questi e ad altri interrogativi l’autrice cerca di dare risposta in un’ottica femminista e matriarcale per riscoprire il vero significato dell’essere madre.
Mariam Irene Tazi-Preve, Contro la maternità patriarcale, VandA edizioni, Milano, 2020.
Grazie a VandA Edizioni!
(1) Mariam Irene Tazi-Preve, Contro la maternità patriarcale, VandA edizioni, Milano, 2020, pp. 19-20.
(2) Ivi, p. 23.
(3) Ivi, p. 30.
(4) Ivi, p. 37.
(5) Ivi, p. 49.
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