A poco più di anno di distanza dalla scomparsa di Ágnes Heller, Filosofemme torna a riflettere sul suo pensiero e produzioni.
In particolar modo ciò di cui parliamo oggi è − come lo definisce Andrea Vestrucci nell’introduzione al saggio − «un libro dal valore unico». (1)
Questo è infatti la prima edizione dell’ultima opera di Heller, uscita solo dopo la sua scomparsa.
Vengono analizzati passato, presente, futuro, in uno scritto che non è solamente un binario tra filosofia e tragedia (come anticipato dal titolo), bensì un’analisi anche dell’epoca in cui viviamo, del pensiero, dell’Europa.
Per fare questo è necessario avere un punto di partenza, che Heller fornisce immediatamente: per i filosofi antichi il tema della tragedia è sempre stato un terreno particolarmente spinoso su cui ragionare.
Platone, ad esempio, non era un sostenitore della tragedia:
«Un attore impersona altre persone, non se stesso; dice cose estranee alle sue stesse convinzioni. è camaleontico, è una persona diversa ogni giorno. Insomma, non sa cosa né chi sia.» (2)
Il concetto di mimesis che viene esplicitato e utilizzato da Platone con un’accezione negativa diviene in realtà positivo con Aristotele, poiché l’imitazione (mimesis, appunto) fa parte di noi; è un «universale antropologico». (3)
Da qui parte il percorso che Heller delinea, in un vero e proprio itinerario storico e geografico, poiché la filosofia ha avuto il suo massimo splendore in Europa ma – proprio come la tragedia − con tempi e luoghi ben diversi tra loro.
Una storia che si incontra, si scontra, si abbraccia e poi si respinge – tra sé e con il mondo che scorre nel frattempo, dettandone cambiamenti continui e sempre nuove riflessioni da scrivere su un libro o da portare su un palcoscenico.
Grazie Castelvecchi!
(1) p. 7
(2) p. 25
(3) p. 24
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