Nel 1989 comparve sugli autobus e sui muri della città di New York La Grande Odalisca di Ingres con il volto di un gorilla e una domanda provocatoria: le donne devono necessariamente svestirsi per entrare al MET?
I fatti sembravano suggerire una risposta affermativa, dato che gran parte dei dipinti esposti al museo rappresentavano soggetti femminili, contro il 10% delle artiste donne che esponevano nella sezione di arte moderna. (1)
Le donne e l’arte: una relazione tanto stretta quanto asimmetrica. La Gioconda, La nascita di Venere, La dama con l’Ermellino, La Venere di Urbino, Giuditta I, Olympia: si potrebbe continuare all’infinito con questo elenco di donne come soggetto prediletto dei dipinti, volti e corpi onnipresenti nei testi di storia dell’arte.
Le stesse donne che però sono quasi totalmente assenti tra le pagine di tali libri in qualità di soggetti protagonisti dell’esperienza artistica.
In pochi conoscono infatti Rosalba Carriera, ritrattista del Settecento che per prima utilizzò l’avorio nelle miniature, o Berthe Morisot, impressionista francese che offrì un contributo decisivo per lo sviluppo di questo movimento artistico, e soltanto recentemente le vicende autobiografiche di Artemisia Gentileschi e Frida Kahlo hanno contribuito all’affermazione delle due artiste come simbolo dell’ orgogliosa creatività femminile e femministe ribelli ante-litteram. Tuttavia, le opere di Artemisia vengono ancora ridotte alla violenza subita dal pittore Agostino Tassi e al trauma in quanto leit-motiv della sua arte, mentre di Frida Kahlo si ricorda principalmente la storia del suo dolore fisico strettamente intrecciato con una tormentata vita amorosa, e il suo tentativo di riempire da se stessa il vuoto lasciato dagli altri.
Questi aspetti, niente affatto marginali, dimostrano che le donne hanno sempre dovuto lottare contro un universo androcentrico, per essere valutate in quanto artiste e in quanto donne, per non vivere all’ombra dei loro colleghi uomini.
Tra le figure più interessanti di artiste vissute a lungo dietro le quinte della scena artistica, vi è quella di Gabriele Münter, pittrice, fotografa e collezionista tedesca del XX secolo, e prima di tutto donna audace e moderna.
Il fatto che Gabriele sia stata la compagna di Wassily Kandinsky diventa un attributo irrilevante di fronte a questa definizione. Eppure, nonostante Gabriele sia stata una figura di spicco dell’espressionismo tedesco, oggi di lei si sa molto poco, segno che il gender gap continua a imperare sovrano nella storia dell’arte.
Nata a Berlino nel 1877 da una famiglia borghese che la incoraggiò a proseguire la carriera artistica, Gabriele viaggiò tra l’America e l’Europa, approdando infine presso la scuola Phalanx di Monaco dove avvenne l’incontro con Kandinsky e l’inizio della loro unione sentimentale e artistica. (2) Insieme a quest’ultimo e a Franz Marc fondò il gruppo espressionista Der Blaue Reiter e introdusse un modo nuovo e spontaneo di dipingere, basato sull’imitazione e la visione interiore.
A lei si deve infatti una nuova modalità di concepire il paesaggio: rifugiatisi nella città bavarese di Murnau agli inizi del Novecento, utilizzò le potenzialità dei colori per sottolineare il carattere puro e incontaminato della natura e svincolarla dalla modernizzazione e dall’industrializzazione di quell’epoca, cercando di conservarne il carattere fanciullesco attraverso il suo animo puro di donna, e di «Cogliere gli uomini così com’erano, come una dilettante senza alcuna idea artistica» (3).
Fortemente influenzata da Matisse e Van Gogh, il suo intento era quello di esprimere attraverso l’arte verità spirituali, di fotografare con le immagini le esperienze umane e i momenti della vita, di cogliere la relativa incertezza dell’essere stesso, quasi in linea con il destino della creatività femminile, priva di una direzione ben definita a causa del ristagno e dell’ anacronistico andamento di una situazione storica (4).
Priva, soprattutto, di un giusto riconoscimento: il talento di Gabriele, infatti, è rimasto a lungo oscurato dal ricordo del compagno e riscoperto solo diversi anni dopo.
Nel 1957 la Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera ha onorato l’arte di Gabriele Münter con la mostra doppia Münter-Kandinksy (5), che nonostante la esauriente panoramica della personalità artistica di Gabriele dimostrò ancora una volta come il mondo dell’arte, inserito in una sovrastruttura culturale per nulla imparziale e simmetrica, non fosse ancora pronto per concepire un discorso tutto al femminile.
In pochi sanno che quelle opere di Kandinsky esposte a Monaco sono giunte fino a noi proprio grazie a Münter, che le custodì durante la seconda guerra mondiale per poi regalarle al museo. L’arte ha un debito con le donne (6).
Chi salverà invece le donne stesse dall’oblio?
Se ancora oggi, nonostante sia trascorso un secolo dalla vicenda di Gabriele, queste rappresentano soltanto una percentuale ancora troppo esigua degli artisti esposti, vuol dire che il cammino è ancora lungo, e che troppe ombre hanno ancora bisogno di venire alla luce.
E se come sosteneva Virginia Woolf la libertà dipende anche da condizioni materiali, dalla possibilità di possedere uno spazio tutto per sé in cui rivendicare l’autonomia di scrivere, pensare e dunque creare arte in tutte le sue forme (7), forse è giunta l’ora che anche le stanze dei musei si tingano di rosa.
(2) Cfr. Annegret Hoberg, Helmut Friedel, Gabriele Münter 1877-1962, Prestel, Monaco, 1992, pp. 9-25.
(3 ) Ivi, p. 27.
(4) Cfr. Ivi, pp. 32-37.
(5) Cfr. Ivi, p. 9.
(6) http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/gabriele-munter/
(7) Cfr. Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Feltrinelli, Milano, 2013.
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