«Ma il dolore ci aveva salvate all’ultimo momento; e così, in certo modo, il passo di Lazzaro era buono anche per noi, poiché, grazie al dolore, eravamo alla fine, uscite dalla guerra che ci chiudeva nella sua tomba di indifferenza e di malvagità ed avevamo ripreso a camminare nella nostra vita, la quale era forse una povera cosa piena di oscurità e di errore, ma purtuttavia la sola che dovessimo vivere, come senza dubbio Michele ci avrebbe detto se fosse stato con noi» (1).
È così che Cesira, protagonista del celebre romanzo di Moravia La Ciociara, cerca di spiegare e comprendere la tragicità che lei e la figlia Rosetta avevano vissuto negli anni della guerra. Anni bui, colmi di disgrazie e paure che non le avevano mai abbandonate, nemmeno nel momento in cui la guerra stava per finire. Anzi, fu proprio durante la liberazione che le due donne si ritrovarono segnate da un dolore immenso, conficcato insieme in corpo e anima, che tolse la luce dagli occhi di Rosetta per molto tempo. La loro vita dopo la “marocchinata” cambiò per sempre.
La storia della Ciociara racconta della vita dei civili durante la Seconda Guerra Mondiale nella zona della Ciociaria (provincia di Frosinone), sottolineandone la tragicità e trattando, attraverso l’episodio finale, un grave crimine di guerra che circa 60.000 donne (solo nella provincia di Frosinone) dovettero subire con l’arrivo delle truppe liberatrici. Si trattava delle “marocchinate”, ossia di violenze carnali che i soldati goumier (2) compirono sistematicamente dal loro arrivo in Sicilia sino alle porte di Firenze, nell’anno 1944. Le donne italiane, tuttavia, non furono le uniche colpite.
Lo stupro di massa, nel corso delle due guerre mondiali e più in generale nel corso di tutto il XX secolo, divenne parte effettiva e integrante della strategia bellica degli eserciti combattenti.
Già durante la Prima Guerra Mondiale, passò alla storia il famoso “Stupro del Belgio” (1914), che andò ad indicare tutta una serie di violenze efferate compiute dall’esercito tedesco nei confronti dei civili belga, comprendendo anche gli abusi sessuali nei confronti delle donne. Lo stupro, da quel momento, divenne una vera e propria costante.
Anche in Italia, dopo la famosa Disfatta di Caporetto, molte donne dovettero subire la violenza carnale da parte dell’esercito austroungarico, soprattutto tra l’ottobre e il novembre del 1917. Da qui nacquero i cosiddetti “figli del nemico”, ossia i bambini frutto degli abusi. I casi furono tanti ed eclatanti: venne perciò indetta una Commissione di Inchiesta, che tra il 1919 e il 1920 si occupò dei casi di stupro denunciati (circa 735, numero sicuramente sottostimato). Nonostante questo, veniva dato scarso peso alla violenza nei confronti delle donne.
I crimini per stupro vennero riconosciuti dalla Commissione come crimini contro l’onore femminile e lo stato di famiglia: a figurare come vittime erano gli uomini al fronte, ai quali era stata disonorata la famiglia da parte del nemico. Le donne, dunque, erano considerate parte colpevole di tale crimine e non parte lesa, tanto che la vergogna che le assaliva aveva portato molte di esse a non denunciare e a nascondere la violenza subita.
Nel suo articolo per il Corriere della Sera, Valeria Palumbo riporta un’interessante testimonianza rispetto alla considerazione delle donne stuprate durante la disfatta di Caporetto:
«Don Celso Costantini […] obiettava: “Bisogna perdonarla, perché è stata vittima della violenza!”, gli uomini rispondevano: “Ma almeno si porti via il bambino!”»(2)
Putroppo, nelle società di ogni stato lo stupro veniva considerato come «il messaggio di uomini per altri uomini, attraverso il corpo delle donne» (3).
Lo stupro è parte effettiva di una strategia che affonda le proprie radici già negli ideali nazionalisti ottocenteschi, che avevano lo scopo di porre al centro l’attaccamento alla propria patria. Se l’integrità della nazione e del relativo popolo assume tale centralità all’interno del contrasto bellico, uno degli scopi del nemico diviene minare tale integrità e lo stupro diventa lo strumento più eclatante per poterci riuscire. D’altro canto, anche il subire un abuso diventa a sua volta strumentale, per aiutare a dipingere l’ideale del nemico bestiale e famelico, che va punito e fermato.
Lo stupro come strumento sistematico bellico si intensifica con la Seconda Guerra mondiale, anche in concomitanza del rafforzamento degli ideali nazionalisti, giunti agli estremi con le ideologie di gerarchia razziale. Le truppe naziste non si risparmiarono nei crimini contro i civili e le violenze sulle donne furono sistematiche dall’invasione della Polonia (1939) sino all’operazione Barbarossa (1941). L’Armata Rossa, nella sua controffensiva, non fu certo da meno. Si contano durante l’occupazione russa in Germania, nella sola città di Berlino, due milioni di stupri ai danni di donne tedesche. Anche sul fronte orientale si consumarono atroci violenze e molte donne divennero vere e proprie schiave sessuali dell’impero giapponese: le cosiddette “donne di conforto” sul fronte orientale furono tra le 100.000 e le 200.000.
La riflessione che emerge rispetto alle violenze sessuali riguarda la scarsa considerazione che esse ottennero nel dopoguerra, con i processi di Norimberga e di Tokyo.
Le normative per poter punire gli abusi come “crimine di guerra” esistevano, ma i tribunali tacquero a riguardo. Le violenze sessuali di vinti e vincitori, dunque, restarono di fatto impunite e poste nel dimenticatoio. Negli anni 90, con le guerre nella ex Jugoslavia, la piaga dello stupro di massa si ripresentò e assunse connotazioni nuove. Appare per la prima volta il termine “stupro etnico”, con il quale si intende l’abuso sistematico non solo come parte della strategia bellica, ma anche come strumento per trasmettere un codice genetico nuovo, in modo da distruggere la comunità nemica. Le guerre balcaniche videro stuprate circa 60 000 donne e, proprio negli stessi anni, una violenza simile venne perpetrata anche in Ruanda.
Durante il genocidio operato dagli hutu contro i tutsi i casi di stupro furono all’ordine del giorno. Si contano, infatti, circa 250.000 donne seviziate nei modi più atroci e crudeli. Solo negli anni 90 la giustizia iniziò a considerare tali casi come crimini di guerra da condannare. Nel 1993 il tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia dichiarò lo stupro crimine contro l’umanità e lo stesso accadde nel 2004 per il caso Ruanda. Nel 2008 il Consiglio di sicurezza dell’ONU sanzionò ufficialmente la violenza sessuale contro i civili durante i conflitti armati e dichiarò lo stupro un crimine contro l’umanità.
Ci è voluto del tempo prima che venisse riconosciuta la punibilità dello stupro durante il conflitto bellico. Perché?
La risposta si trova nel ruolo che giocano uomini e donne nella società in condizioni di pace. Se all’interno di una società la disparità tra uomo e donna esiste in assenza di guerra, il ruolo femminile nello stato di conflitto non può che peggiorare. Proprio grazie alle spinte dei movimenti femministi internazionali e alla presa di coscienza della propria condizione, le donne e la società hanno potuto iniziare un processo di rivalutazione storica che prendesse in considerazione anche tali violenze, considerate normali ripercussioni belliche sino agli ultimi anni del secolo scorso.
Ricordiamo che, fino a non molto tempo fa, lo stupro non era considerato un crimine contro la persona, ma contro la morale. In Italia, solo nel 1996 si ottiene tale riconoscimento, a dimostrazione del fatto che non venivano riconosciute le gravi conseguenze psicologiche degli abusati fino a poco più di 20 anni fa. La violenza sessuale non si conclude nell’atto stesso della violenza, ma permane nell’individuo, che subisce un vero e proprio annullamento di sé. Con la violenza l’abusatore, in effetti, cosifica la persona, con l’intento di annientarne la volontà, l’identità e la dignità individuale. Oggi conosciamo le conseguenze che comportano gli stupri, ma gli episodi sono ancora tanti, a dimostrazione del fatto che il percorso di sensibilizzazione e lotta contro tale violenza è un processo iniziato, ma non certamente concluso.
(1) Moravia A., La ciociara ,Corriere della Sera – I grandi romanzi, Milano, 1948, pag 382.
(2) I soldati goumier erano i soldati di nazionalità marocchina incorporati nell’esercito francese tra il 1908 e il 1956.
(3) Palumbo V., La Caporetto delle donne: il dramma taciuto degli stupri e dei «figli della guerra», Corriere della Sera. https://www.corriere.it/extra-per-voi/2017/10/15/caporetto-donne-dramma-taciuto-stupri-figli-guerra-41bd4640-b1b7-11e7-8c05-16c4f9105c9c.shtml
(4) Spiega bene il concetto la professoressa Silvia Salvatici. Trasmissione Passato e Presente st 2019/2020, Gli stupri di guerra del XX secolo.https://www.raiplay.it/video/2019/11/passato-e-presente—gli-stupri-di-guerra-del-xsecolo-01d7f6bc-4ac0-4654-b83f-758309a58493.html
La crisi della nostra identità nelle separazioni
10 Novembre 2024“Ciao ChatGPT…”
3 Novembre 2024Frugalità
27 Ottobre 2024
-
Il mostruoso femminile
19 Marzo 2021 -
Per la libertà: l’attivismo femminile in Russia
28 Marzo 2022 -
L’essere altrove
30 Maggio 2024
Filosofemme è un progetto che nasce dal desiderio di condividere la passione per la filosofia tramite la figura delle filosofe.
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.
Privacy PolicyCookie Policy