Avere o essere un corpo?

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Corpo

In questo articolo di Filosofemme vorrei proporre una riflessione sulla corporeità, tematica che ha avuto sin dall’antichità una posizione centrale all’interno del dibattito filosofico, cercando di rispondere a due importanti questioni e facendo riferimento alla corrente fenomenologica:


Che cos’è la corporeità? Gli individui hanno un corpo o sono il loro corpo? 


Il termine corporeità deriva dal latino medievale corporeitas, desunto da corporeus (corporeo), e significa sia l’avere un corpo che l’essere un corpo. Questa polarità del significato di corporeità diventa un punto nodale nel movimento fenomenologico che si sviluppa nel corso del Novecento. La fenomenologia ha dato una nuova dignità alla dimensione corporea da un punto di vista epistemologico, gnoseologico, etico, estetico e antropologico, ponendo maggior enfasi “sull’essere corpo”, dimensione completamente trascurata dalla ricerca positivista ottocentesca

La corrente fenomenologica ha rivoluzionato il modo di analizzare il corpo, mettendo in discussione l’unilaterale visione del naturalismo scientifico-positivista, la quale studiava la corporeità da una mera prospettiva oggettivistica, come se gli uomini possedessero un corpo senza però esserlo. Per la filosofia fenomenologica gli individui hanno certamente un corpo, ma sono soprattutto un corpo, attraverso il quale fanno sia esperienza sensoriale della realtà e del corpo stesso, sia di presa di coscienza del loro essere nel mondo.

Il corpo non può essere reificato a statuto dell’oggetto, perché differentemente dalle cose da cui si può distogliere l’attenzione, esso viene costantemente percepito nella coscienza, rendendo possibile la conoscenza degli oggetti esterni e della realtà (1).


Il corpo diventa apertura al mondo grazie al fatto di essere sostanzialmente soggetto, e non un mero oggetto o aggregato di parti come veniva considerato delle teorie positiviste.


Merleau-Ponty, uno dei più importanti esponenti della corrente fenomenologica, scrive in Il visibile e l’invisibile: «il mio corpo è, al massimo grado, quello che è ogni cosa: un questo dimensionale. È la cosa universale. Ma mentre le cose divengono dimensioni solo in quanto sono ricevute in un campo, il mio corpo è questo campo stesso», ogni cosa sensibile «varia attorno a un certo tipo di messaggio di cui non possiamo avere l’idea se non in virtù della nostra partecipazione carnale al suo senso, se non sposando con il nostro corpo la sua maniera di ‘significare’» (2).

Nel corso del Novecento si manifesta infatti una crisi delle scienze positiviste che non investe la loro scientificità, bensì ciò che esse possono significare per l’esistenza umana, in quanto escludono quelli che sono i problemi più importanti per l’uomo che riguardano la sua soggettività e la coscienza di sé. Esse hanno smarrito il senso dell’essere un corpo, del proprio ruolo e dei propri limiti, allontanandosi dalla comprensione dell’esperienza umana e soggettiva. 


Assolutizzando l’oggettività, la cultura positivista recide il legame originario del corpo con il mondo, eliminando ogni singola esperienza del soggetto.


Essa crede di descrivere la realtà in modo universale e necessario, ma in realtà analizza soltanto l’arbitrarietà della sua oggettivazione, poiché essa prescinde dal corpo e dal suo mondo percettivo e intuitivo (3).

Il fine della fenomenologia è quello di far riscoprire che il senso del mondo e il senso delle cose sono posti da noi e possono essere colti in virtù della nostra soggettività; il soggetto, in quanto corpo, e il mondo sono due polarità della stessa realtà indistinguibile.

La corrente fenomenologica vuole disfarsi dei dualismi tra soggetto e oggetto, tra uomo e mondo, tra essere conoscente e essere conosciuto, per occuparsi della riflessione sul mondo della vita, sulla dimensione soggettiva della percezione, sulla conoscenza e sull’etica (4). Essa si pone un nuovo compito: quello di riconquistare la centralità della soggettività umana in quanto scaturigine di ogni valore e significato. La corporeità diventa perciò, lo strumento privilegiato e indispensabile per avere una relazione con le cose del mondo.


Nell’esistere ci si muove costantemente fra i due poli dell’avere un corpo e dell’essere un corpo, ma è quest’ultima dimensione che costituisce la coscienza di esserci al mondo, sorgente originaria di ogni significato e di ogni senso.


Anche Michel Foucault, sebbene non appartenente alla corrente fenomenologica, fa del corpo un soggetto, con un proprio potere e con una propria potenzialità, dandogli una centralità fondamentale soprattutto nelle sue ultime produzioni che riguardano la storia della sessualità. Foucault analizza la concezione dell’avere un corpo ne La volontà di sapere che è la visione tipica dell’istituzione medica e della politica del bio-potere, e che fa del corpo stesso un oggetto da analizzare, studiare e soprattutto da amministrare in quanto elemento centrale di sapere; ma si concentra anche sull’importanza di essere un corpo ne L’uso dei piacere e ne La cura di sé per diventare un individuo cosciente e bastevole di sé stesso (5).

Il fine della fenomenologia è quello di reinterpretare il mondo come una realtà strettamente correlata al soggetto, mentre l’oggettività acquista senso solo in virtù della soggettività, ovvero attraverso l’agire intenzionale della coscienza umana. Essa ricopre quel valore della corporeità, che per l’uomo significa riappropriarsi di un senso che avevano smarrito, e di un valore che la ragione calcolante e oggettivistica aveva cancellato e reificato.





(1) Cfr. Umberto Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1998.

(2) Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, Bompiani, Milano, 2003.

(3) Cfr. Umberto Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1998.

(4) Ibidem. (5) Cfr. Archivio Foucault, Interventi, colloqui, interviste, 2. 1971-1977 Poteri, saperi, strategie, a cura di A. Dal Lago, Milano: Feltrinelli Editore, 1997.