L’insegnamento del Rocky Horror

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Rocky Horror

Per avere quarantacinque anni il Rocky Horror Picture Show li porta davvero bene, considerando inoltre le tematiche attualissime ma così eccessive per gli anni Settanta. Un cast stellare diretto da Jim Sharman e una colonna sonora che non smetterà di girovagarti nella testa, quest’opera – perché di una vera e propria opera d’arte si sta parlando – è il rifacimento cinematografico dello spettacolo Rocky Horror Show ideato e interamente scritto, canzoni comprese, da Richard O’Brien nel 1973, il quale presterà il volto al maggiordomo Riff Raff nel 1975.

La storia è semplice e apparentemente banale: una coppia di fidanzatini pudici e innocenti decide di sposarsi, ma prima chiede la benedizione del loro amato professore di scienze, il cui esame fece conoscere Brad e Janet, (interpretati da Barry Bostwick e una giovanissima Susan Sarandon). Lungo il tragitto la ruota della loro auto scoppia e i due chiedono soccorso all’interno di un castello, incappando in un insolito convegno annuale di Transilvani. A questo punto della vicenda prende atto un’escalation spettacolare a colpi di danza e canti – si pensi all’intramontabile Time Warp – di alieni, sesso e seduzione, concludendosi con l’incontro con il dottor Frank-N-Furter, la sua servitù e la sua creatura Rocky Horror. 

Un omaggio alla ben nota opera di Mary Shelley? Indubbiamente sì, probabilmente era un tormentone già nell’aria, si pensi solo che Frankenstein Junior di Mel Brooks apparirà nelle sale proprio in quegli anni, forse un po’ appannando la luce di questo musical, il quale inizialmente fu considerato un vero e proprio flop, specie se si pensa agli intensi anni in cui uscì. Ci vorranno le proiezioni di mezzanotte presso il Waverly Theater di New York nel 1976, a rendere finalmente il RHPS il film cult per il quale lo conosciamo – o dovremmo conoscerlo. 


«Don’t dream it, be it»


«Non sognatelo, siatelo»: è questa la filosofia all’interno delle vicende portate in scena da Frank e dalla sua combriccola, un pensiero che vuole far cadere la diffidenza su ciò che è diverso, apparentemente strano, accettandolo e abbracciandolo. La bisessualità di Frank-N-Furter ci dà modo di comprendere come l’amore non abbia limiti, annettendone i lati positivi (la piena libertà di questo sentimento) ma anche quelli negativi (il rigetto da parte della propria creatura giacché frutto di un amore egoistico e non equo).

Eppure i veri protagonisti della storia, nonostante l’indubbio carisma e l’immensa portata scenica di Tim Curry come Frank, rimangono sempre loro: la coppietta Brad e Janet. La crescita di questi due personaggi è tangibile, nonché celebrata dalle loro stesse parole all’interno delle canzoni. Scoprendo il diverso, ma anche il «piacere assoluto», l’eroe e l’eroina del RHPS perdono la loro innocenza, si tolgono le lenti che prima appannavano i loro occhi e scoprono un mondo totalmente diverso dal loro: un mondo dettato dalla spregiudicatezza, dalla sensualità e dalla sessualità.


Un volto della medaglia che prima cercavano di negare, auto-negandosi, ma che alla fine emerge e permetterà di accrescere la loro autostima e self-confidence


È per mezzo del nostro corpo che esperiamo, che conosciamo e ci allacciamo al mondo circostante, tutto questo non potrebbe essere possibile senza una piena libertà del nostro agire ed è altresì questa constatazione che rende il RHPS una storia riconducibile al tema LGBTQ, perfettamente incarnata dal dottor Frank-N-Furter, il cui aspetto androgino e la parlata snob ne denotano la noncuranza verso i pregiudizi e i preconcetti di una società borghese e stereotipata quale quella rappresentata da Brad e Janet, il cui punto più alto è il matrimonio o un buon partito. 

Frank, il cui nome mescola quello di Frankenstein, Rock-N-Roll ma anche il Frankfurter, ossia hotdog o würstel, è una ventata di aria fresca, uno schiaffo alla morale di quell’epoca interamente schematica e rigida, ed è probabilmente questa una delle ragioni principali per cui il film non fu inizialmente capito e apprezzato, ma fortuna volle che il consenso del pubblico cambiò e questo permise di vedere quest’opera in tutto il suo potenziale.

Gli anni Settanta furono sì un calderone di creatività e libertà, basti pensare alle storiche band del decennio oppure al movimento hippy che prende piede, eppure la società sembra comunque cristallizzata sul consumismo, sul progresso tecnologico e politico: si era comunque nel pieno della Guerra Fredda. Come poteva la gente svagarsi osservando dei travestiti danzerini mentre il mondo era in pieno conflitto e il pericolo sovietico imminente? Non credo che sia puramente casuale la scelta di sottolineare la provenienza transilvana dei protagonisti, probabilmente non un semplice richiamo alla cultura vampiresca. 


«Don’t get strung out by the way that I look. Don’t judge a book by its cover» 


L’insegnamento di questo film risiede nel non negare i propri istinti e il nostro essere, di perseverare nel trovare il nostro posto nel mondo – o magari in altri pianeti – così da trovare la nostra comunità, la quale rispecchi e accetti i nostri valori e ideali, ma soprattutto la nostra diversità, possibilmente tra «un salto a sinistra e poi un passo verso destra».




Filmografia:

The Rocky Horror Picture Show, scritto da Richard O’Brien e diretto da Jim Sharman, Regno Unito – Stati Uniti d’America, 1975.

La foto di copertina è un’immagine ufficiale di The Rocky Horror Picture Show. Il copyright della suddetta è pertanto di proprietà del distributore del film, il produttore o l’artista. L’immagine è stata utilizzata per identificare il contesto di commento del lavoro e non esula da tale scopo – nessun provento economico è stato realizzato dall’utilizzo di questa immagine. / This is an official image for The Rocky Horror Picture Show. The image copyright is believed to belong to the distributor of the film, the publisher of the film or the graphic artist. The image is used for identification in the context of critical commentary of the work, product or service. It makes a significant contribution to the user’s understanding of the article, which could not practically be conveyed by words alone.