Fenomenologia di un corpo neutrale

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In una società dove le orecchie sono sostituite dagli occhi, dove è preferibile la notizia veloce, immagazzinabile in un battito di ciglia, anziché un contenuto che richieda concentrazione, ci siamo soffermati invece sulla copertina di Vanity Fair del 30 settembre scorso. Lo scatto ritrae Vanessa Incontrada completamente nuda, ancora più forse della stessa intervista fatta con Costanza Rizzacasa D’Orsogna. 

Incontrada non è stata la prima e non sarà certamente l’ultima a ricorrere al nudo non solo per volontà, ma per necessità, specialmente perché sono anni che combatte contro il body shaming, sentendosi spesso e volentieri additata per i chili in più rispetto al fisico di quando era una modella. 


Ora, il suo corpo racconta la sua maturità, il suo essere donna e madre, con i segni che la gravidanza lascia e che dovrebbero essere come tatuaggi felici che ci rammentano la nostra storia e il dono della vita.


Ma se anche non si trattasse della comune smagliatura post-parto, niente ci dovrebbe far vergognare del nostro corpo, nemmeno se il frutto di quel che siamo deriva dalle cene in compagnia o dal semplice ozio.

Incontrada giustamente dice: 

«A volte prendi peso, altre lo perdi. Un mese sei a dieta e vuoi perdere quei tre chili, un altro ti senti a posto con te stessa. Siamo donne, il nostro corpo funziona così. È naturale, va accettato e va soprattutto rispettato. Nessuno ti può né ti deve giudicare» (1).

Il nostro corpo risulta il nostro primo mezzo per muoverci nel mondo, tra le persone e gli ambienti. Proprio per questo ci tingiamo i capelli, ci trucchiamo, ci tatuiamo, decidiamo di dimagrire o ci accettiamo per quello che siamo: il corpo è il nostro, pelle che riveste il nostro cervello, la nostra sostanza, e perché no: la nostra anima, e sebbene probabilmente non riesca ad incarnare alla perfezione come ci sentiamo dentro, gode comunque appieno del diritto di essere rispettato dagli altri


A volte possiamo trovarci a pensare che, se certi discorsi fossero fatti ad un pubblico cieco, magari quanto le donne hanno da dire avrebbe più risonanza, perché non sarebbe oscurato dal loro corpo, o meglio dal pre-giudizio più o meno positivo che il pubblico ha di quest’ultimo. 


Elisabetta Ambrosi scrive: 

«Il primo problema è che quasi sempre le persone messe in copertina, esattamente come la Incontrada, sono varianti imperfette di modelli perfetti. Ovvero, avendo solo piccole “imperfezioni”, come una taglia o forse mezza in più, di fatto non scalfiscono minimamente il modello che vorrebbero, a dir loro, sovvertire. Chi è veramente brutto, o veramente grasso, si sente ancor più offeso, ancor più emarginato» (2).

Di primo acchito si potrebbe considerare un gesto di pura vanesia quello fatto da Incontrada, un esercizio di manifestazione del proprio corpo che più di tanto imperfetto non è. Ma commetteremmo forse lo stesso errore: per una cosa o per l’altra, additarla ancora.

«“Body neutrality”, neutralità rispetto al corpo. Con il quale non si intende che le persone debbano diventare indifferenti al proprio corpo, ma che la società smetta di fare del corpo un criterio – e spesso l’unico. Questa filosofia implica che il corpo, e la sua bellezza/bruttezza, diventi un concetto del tutto secondario nello spazio pubblico, come nelle pubblicità, come nelle riviste» (3).


Quanto sarebbe effettivamente positivo e utile che la società prestasse maggiore attenzione alle stesse etichette che crea? Perché non abbattere ancora più in profondità il concetto di body shaming tramite quello di neutrality?


Ambrosi mette in campo un pensiero davvero rivoluzionario: l’approccio neutrale nei confronti del corpo altrui, l’assenza di classificazione, l’accettazione piena degli altri, rimettendo al singolo la valutazione di sé. Di conseguenza, ci sarebbe margine di speranza per l’esercizio di un diritto importante in condizioni altrettanto di valore: l’accettazione di sé o la scelta di modificare il nostro corpo dipenderebbero davvero da noi e non da un nostro desiderio che maschera l’influenza degli altri. Non c’è una zona grigia che permetta di placare le nostre ansie di piacere al mondo, se non trovarla in noi stessi. La costruzione del corpo a cui volere bene, con pregi e difetti annessi, è un lungo cammino che necessita di esercizio mirato alla celebrazione della nostra persona.


Abbracciamo la nostra diversità, giacché è proprio quest’ultima a renderci unici e uniche.






(1) https://www.vanityfair.it/show/cinema/2020/09/30/vanessa-incontrada-nuda-copertina

(2) https://www.ilfattoquotidiano.it/2020/10/02/vanessa-incontrada-nuda-su-vanity-secondo-me-non-aiuta-a-combattere-il-body-shaming/5951199/

(3) Ibidem.