Il nuovo romanzo Finitudine, scritto da Telmo Pievani, è diretto, pungente, forse a tratti anche sadico, ma allo stesso tempo intrigante e avvincente.
Tema del libro è, appunto, la finitudine: il fare i conti con il fatto che noi, prima o poi, non ci saremo più. E se tutto questo inizia a farci male, il libro va oltre, affermando che noi, su questo pianeta, non siamo che una semplice comparsa, qualcosa di inatteso, frutto del puro caso, e che la nostra dipartita non solo sarà qualcosa di irreversibile, ma addirittura non avrà alcun impatto.
Nessun dispiacere, dunque, per la scomparsa del genere umano dato che, come ricorda il libro, «la Terra ha fatto a meno di noi per il 99,99% della sua storia e farà tranquillamente a meno di noi quando, volenti o nolenti, toglieremo il disturbo» (1).
Non solo la scomparsa dell’umanità dalla Terra è qualcosa di inevitabile, ma lo è persino la cancellazione di tutto l’esistente, di tutta la vita su questo pianeta, nonché dell’esistenza stessa di tutti i pianeti e di tutte le galassie.
La finitudine è il destino di qualsiasi cosa.
D’altronde: «Siamo individui mortali di una specie mortale su un pianeta mortale che ruota intorno ad una stella mortale dentro una galassia che è destinata a finire» (2).
E se la scomparsa del tutto è un dato di fatto, prevedibile e tutt’al più calcolabile, il problema sorge quando noi, esseri umani, prendiamo coscienza di questo infelice destino e con la cocciutaggine e l’ostinatezza che ci caratterizza, tentiamo qualsiasi cosa per non soccombere alle leggi dell’universo.
Preso atto della lenta disgregazione del tutto, è possibile sfidare la finitudine?
Questa la domanda al quale si sceglie di rispondere nelle pagine del romanzo. Vari sono i tentativi che l’umanità sta mettendo in atto per provare almeno a resistere all’imminente fine, molte le strade percorse nei secoli per provare a spostare sempre più in là la lancetta dell’orologio che segna il punto zero, quello della scomparsa di noi e del tutto.
Dalla criogenesi alla terraformazione di altri pianeti, dalla fantascienza all’idea di progresso: tutti i tentativi sembrano soltanto ricordarci che la nostra è una pura e smisurata ostentazione di ego. La lotta alla sopravvivenza, l’unica legge naturale, di pari passo con l’entropia, ci sbatte in faccia ancora una volta che, in fondo, non siamo che un minuscolo granello di sabbia nel deserto. E persino la peste e le pandemie non fanno che ricordarci quanto «la natura […] non abbia alcun bisogno di noi, che non siamo indispensabili, e che il giorno in cui fossimo così folli da imporci una quarantena definitiva e fatale, lei si riprenderebbe ben presto i suoi spazi, mangerebbe i nostri fragili decori e tornerebbe rigogliosa come e più di prima» (3).
Allora cosa resta? Cosa rimane dinanzi alla finitudine del tutto?
Se resta davvero qualcosa, una volta messo da parte l’ego, è senza dubbio l’idea che questo amaro destino non è solo il nostro, che di noi resterà sempre una traccia, una flebile luce che ricorderà all’universo, fatto di atomi e di materia che si compone e scompone continuamente, che noi c’eravamo a far parte di questo inaspettato processo.
«La nostra caducità cosmica è, in realtà, un’appartenenza cosmica.
Un collega evoluzionista lasciò le seguenti disposizioni per il suo funerale. Voleva che il suo cadavere fosse portato nel pieno di una foresta tropicale in Brasile. Lasciò indicazioni geografiche precise, perché il corpo doveva rimanere esposto sul terreno e attrarre un insetto particolare, un coleottero alato di grandi dimensioni […]. Scrisse: “Niente vermi per me, né sordide mosche. Io ronzerò al crepuscolo come un bombo enorme. Io sarò molti, ronzerò come uno sciame di motociclette, sarò portato in alto, un corpo dentro un altro corpo, in volo sotto le stelle […].”
Il suo Io era diventato un Noi. Un Noi tanto grande. Un Noi che fa compagnia. Questa, forse, è l’unica vera sconfitta della finitudine. Non ci resta che scoprirlo» (4).
T. Pievani, Finitudine, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2020.
(1) T. Pievani, Finitudine, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2020, p. 38.
(2) Ivi.
(3) Ivi, p. 163.
(4) Ivi, p. 223-224.
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