Reinventare il tempo libero

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In inglese, “leisure” è il termine che indica un tempo privo di impegni che viene dedicato all’accrescimento personale, mentre “spare time” è letteralmente il “tempo rimanente” oltre il proprio impiego principale, e comprende dunque anche degli impegni, non solo svago. La lingua italiana invece racchiude nell’unica espressione “tempo libero” entrambi i significati, così che inevitabilmente il primo, più specifico, rimane oscurato.


In questo modo, il tempo libero è tutto ciò che non è lavoro o studio. L’aggettivo “libero” fa quindi riferimento tutt’al più a una libertà organizzativa, non a una libertà positivamente connotata.


Infatti, siamo noi a scegliere come gestirci, ma le opzioni a nostra disposizione non sono necessariamente piacevoli. Ma in realtà la libertà è ancor più ridotta, in quanto siamo meno indipendenti di quanto sembra nelle nostre scelte. 

Sul nostro tempo libero, innanzitutto, ha una grandissima influenza quello che nei nostri giorni è l’imperativo dominante: quello della produttività. La società ci chiede di essere costantemente produttivi, quindi di dedicarci a quelle attività che socialmente sono state giudicate utili a questo scopo. Possiamo allenarci, leggere un libro, cucinare. Non possiamo invece, tra le altre cose, riposare o giocare a un videogioco. O meglio, possiamo anche farlo, ma il risultato sarà quello di aver sprecato il nostro tempo.

Questi pregiudizi hanno troppo spesso degli effetti inconsci sulle nostre decisioni, togliendoci parte di quella libertà di cui sopra. La questione è del tutto attuale perché con l’avvento del fenomeno dello smart working il confine tra lavoro e tempo libero si è assottigliato spazialmente e intellettivamente. L’imperativo della produttività si è imposto con tutto il suo peso, perché se c’è la possibilità di essere ancor più produttivi, e la scelta è tra esserlo per se stessi o esserlo lavorativamente, tanto vale lavorare sempre. 


La situazione peggiora e la libertà viene persa completamente, considerando che la nostra attività lavorativa prende tutte le nostre energie, lasciandocene privi per qualsiasi altra attività.


Ed ecco che ci ritroviamo annichiliti sul letto a “scrollare” i social network e con la speranza di recuperare il massimo delle forze, solo per tornare riposati a lavoro il giorno successivo, dando di nuovo inizio al circolo vizioso. Questo motivo si unisce al primo nella misura in cui, in queste condizioni, qualsiasi tipo di attività diventa troppo pesante, per non parlare di quelle “produttive”. Con amara ironia, la società capitalistica ci chiede di non sprecare nessun momento, ma allo stesso tempo non ci dà nessuna possibilità di farlo. Come dice Theodor Adorno: «Nelle condizioni attuali sarebbe sbagliato o ingenuo aspettarsi o pretendere che la gente sia naturalmente produttiva nel proprio tempo libero, in quanto la produttività – l’abilità di produrre qualcosa che prima non era presente – è proprio ciò che è stato tolto alle persone» (1).

Eppure, nonostante questa situazione, i momenti di piacere e gioia che riusciamo a ritagliarci ci permettono di sopportare tutto il resto. Per questo, all’imperativo della produttività si aggiunge quello del dover-godere. Non è importante di cosa godiamo, è importante che lo facciamo, in quanto il piacere è funzionale a questo sistema. Esso infatti «presentandosi sotto le mentite spoglie di “dono di natura” ci fa sentire magicamente liberi, instillando l’idea di un soggetto individuale libero» (2).


Tuttavia, anche in questo ambito della nostra vita siamo soggetti socialmente influenzati e influenzabili.


Non ci rendiamo neanche più conto di quanto il paradigma della produttività non sia l’unico possibile e neanche di quanto sia dannoso. Infatti, sono avversate da questo sistema tantissime attività che sarebbero degne del nostro tempo, una su tutte la filosofia. Potremmo recuperare alcune sfumature della nostra umanità se smettessimo di desiderare esclusivamente di essere produttivi.

Nelle condizioni odierne il tempo libero, ciò che più dovrebbe essere nostro, non lo è più. Eppure, dovremmo fare di tutto per riappropriarcene, recuperando da un lato la dimensione di un “leisure” che ci permetta di accrescerci personalmente, senza dall’altro sentirci in colpa quando desideriamo semplicemente riposare. Cerchiamo allora di uscire da questo meccanismo, da queste logiche che ci vogliono monocordi, perché mentre il tempo per definizione sarà sempre limitato, noi non lo siamo.





(1) T.W. Adorno, The culture industry: selected essays on mass culture, Routledge, Londra, 1991.

(2) A. Brown, Capitalismo e Candy Crush, Nero Editions, Roma, 2019.