Il fascino e la creatività delle malattie mentali
La filosofia e la scienza studiano da secoli il nesso tra creatività e malattia mentale. Questo legame turba, commuove e affascina. Turba perché la pazzia è irrazionale e tutto ciò che è irrazionale non può che smuovere qualcosa in chi, invece, sostiene il primato del pensiero e del metodo. Questa relazione, però, commuove anche, perché ci ricorda la grandezza dell’essere umano, la sua capacità di restare a galla nonostante il peso della malattia, di superare i limiti avvicinandosi a qualcosa di sfuggente e, metaforicamente, più alto.
Infine, se genio e follia ci affascinano da sempre, forse c’è qualcosa di vero. Non è solo una frase fatta, non è solo uno stereotipo.
In passato, tra le caratteristiche del melanconico di cui parla anche Aristotele, oltre alla sua instabilità comportamentale erano annoverate le sue facoltà fuori dal comune (1). Con il passare del tempo — passando per l’illuminismo prima e il naturalismo poi — e con la nascita della psichiatria, l’interesse per la mente diventava più che altro biologico e cerebrale. Si cercavano lesioni e origini fisiologiche di quelle malattie che nei secoli precedenti parevano “dell’anima”. I cosiddetti alienisti furono utili per rendere scientifico ciò che prima era più vicino alla superstizione, ma a loro volta produssero discriminazioni. Isolarono, catalogarono, oggettivizzarono, non approfondendo l’umanità e l’esperienza del paziente.
Da questo punto di vista, fondamentale fu un autore che sin da subito si pose criticamente contro ad una concezione così biologizzante della malattia mentale: Karl Jaspers. Proprio lui, inoltre, diede un contributo fondamentale allo studio del rapporto tra genio e follia. Unendo la sua spiccata sensibilità filosofica con la sua esperienza da medico, Jaspers scrisse un libro che divenne un pilastro per questi studi: Genio e follia – Strindberg e Van Gogh.
Questa raccolta di saggi ci fornisce molte risposte a domande antiche attraverso quattro figure: Strindberg, Swedenborg, Hölderlin e Van Gogh.
La linea conduttrice è la schizofrenia e i testi vengono chiamati patografie. Le patografie sono fondamentali per lo studio del nesso tra genio e follia, perché prevedono un’analisi della vita dell’artista e delle sue opere finalizzata all’individuazione di comportamenti “malati”, sintomi di una diagnosi psichiatrica. Secondo Jaspers, studiando le vite di questi artisti, è possibile riscontrare l’influenza della malattia mentale sulla concezione che essi hanno del mondo e sul contenuto stesso delle loro opere. Insomma, Jaspers sancisce definitivamente l’effettiva presenza di un legame tra genio e follia.
Nella prima patografia sul drammaturgo Strindberg, dopo un’analisi biografica estremamente accurata e grazie ai riferimenti alla produzione letteraria, Jaspers insiste su quanto la diagnosi abbia influito sulla vita dell’autore svedese. Con la finalità di remare contro a chi pensa che Strindberg non fosse davvero malato perché aveva conservato le proprie capacità razionali e la propria intelligenza, Jaspers paragona i processi schizofrenici ad un orologio rotto che, sì, continua a funzionare, ma in modo imprevedibile (2).
Successiva alla patografia di Strindberg, apre la seconda parte del libro quella sul mistico Swedenborg. Seppur differente dal caso del drammaturgo svedese, anche quello di Swedenborg ha un elemento in comune: nemmeno il mistico perde nel tempo la facoltà di riflettere e orientarsi.
Nei due autori, quindi, la schizofrenia influisce sul contenuto, non tanto sulla creatività in sé.
La terza analisi – in linea di continuità con la successiva – riguarda, invece, Hölderlin. Analizzando le poesie e la breve vita del poeta tedesco, Jaspers conclude che è proprio grazie alla sua schizofrenia che le opere di Hölderlin sono uniche. C’è, per Jaspers, qualcosa di eccezionale soprattutto nelle poesie del periodo di malattia acuta. Senza la “follia”, Hölderlin sarebbe stato un poeta di prim’ordine, ma sarebbe comunque risultato paragonabile a qualcun altro. La malattia mentale, invece, lo ha reso unico e ha creato in lui una combinazione che Jaspers giudica incomparabile, almeno nella poesia.
Esiste un caso simile, nella pittura, a quello del poeta tedesco: Van Gogh, la quarta e ultima patografia. Accanto a un’analisi del rapporto tra andamento della malattia e mutamenti comportamentali e artistici, emergono un’empatia e un’ammirazione ardenti per il pittore olandese. Ciò che è unico non è solo la sua arte – che evolve con l’evolversi della malattia – ma il suo atteggiamento verso la malattia stessa: Van Gogh «la domina» (3). Van Gogh non si arrende e dipinge nonostante tutto. Sfida le intemperie della propria mente per partorire l’opera.
Gli ultimi capitoli di Genio e Follia tirano le fila delle patografie e analizzano di petto proprio il rapporto tra patologia mentale e creazione.
Per Jaspers è vero: non tutti gli schizofrenici sono artisti e la malattia non è una condizione specifica per l’opera. La schizofrenia, però, può influenzarla, in modi diversi da autore a autore. Ad esempio, in Strindberg e Swedenborg la schizofrenia assume un significato materiale nell’opera, in Hölderlin e Van Gogh la produttività artistica cresce proprio negli anni di malattia acuta e di crisi.
Perché avviene questo? Per Jaspers si potrebbe spiegare con la liberazione di forze prima paralizzate. La malattia distrugge le inibizioni, libera l’inconscio e tutte le imposizioni della società. Anche in questo, però, Hölderlin e Van Gogh sono diversi dagli altri artisti schizofrenici: in loro irrompono forze nuove (4). Solo quest’ultimo artista, in particolare, fa vedere a Jaspers ciò che nota nel rapporto diretto con i pazienti schizofrenici: «È come se una fonte ultima dell’esistenza si aprisse per un istante, come se i recessi più profondi della vita venissero alla luce» (5). Per questo le opere di Van Gogh ci sconvolgono: ci portano a guardare in un mondo altro e a porci domande esistenziali. L’effetto di questa esperienza, però, pur essendo perturbante è benefico, perché ci porta a interrogarci su noi stessi e a entrare in una profondità altrimenti a noi inaccesibile.
In conclusione, con tutto il carico esperienziale unico che la malattia mentale porta con sé, l’arte può esserne suo riflesso.
Un artista può essere molto talentuoso, ma la “follia” lo renderà unico: perché con la sua opera dà la possibilità a tutti di scavare in quei meandri in cui di solito non ci inoltriamo.
(1) Si veda Aristotele, Problema XXX. Saggezza, Intelletto, Sapienza. https://www.ipsico.it/news/genio-e-follia-perche-vale-la-pena-essere-un-po-pazzi/
(2) Cfr. Karl Jaspers, Genio e follia. Strindberg e Van Gogh, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2001, p.76.
(3) Ivi, p.157.
(4) Ivi, p.170.
(5) Ivi, p.175.
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