Il regno delle donne. L’ultimo matriarcato.

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Il regno delle donne

«Che le donne siano al comando è parte della nostra cultura, è qualcosa che ci differenzia dagli altri. Lo stesso vale per l’axia, il matrimonio ambulante. È uno stile di vita che manteniamo fin da quando esistono i Mosuo, e dobbiamo essere rispettati per questo».

A fare questa dichiarazione – sfidando molti dei pregiudizi occidentali – non è una donna ma un uomo, Alatashi, membro dei Mosuo, una comunità matriarcale di circa venticinquemila abitanti situata nella provincia dello Yunnan, una delle zone con la più alta concentrazione di minoranze etniche al mondo, posta al confine sud-ovest della Repubblica Popolare Cinese.

Ricardo Coler, medico e scrittore argentino, ha pubblicato per Nottetempo un’edizione ampliata del suo El reino de las mujeres. El último matriarcado, con la traduzione di Angela Masotti. Il regno delle donne. L’ultimo matriarcato è un reportage antropologico nel quale veniamo trasportati sulle sponde del lago Lugu, a Loshui, tra abiti tradizionali, strade impervie e case colorate.


È soprattutto l’avventura di Coler in una società diversa da quella occidentale, nella quale i privilegi sono di appannaggio femminile e dove le logiche e i condizionamenti maschilisti non hanno spazio.


«Se c’è una cosa che le comunità matriarcali hanno in comune, è il buon umore dei loro membri» dice l’autore; vi sono altre società matriarcali come i Nagovisi dell’isola di Bouganville, i Minangkabau dell’Isola di Sumatra e i Khasi nello stato del Meghalaya, a nord-est dell’India, ma solo i Mosuo sono una società matriarcale pura.

Presso i Mosuo sono le donne a provvedere alla famiglia, all’economia e alla casa.

Le relazioni amorose avvengono tramite “matrimoni ambulanti” chiamati axia, ai quali si accede compiuti i tredici anni attraverso un rito di passaggio che conferirà alle giovani donne non solo privilegi e responsabilità, ma anche una residenza privata – sempre all’interno della proprietà famigliare – dove avere l’intimità necessaria ai rapporti amorosi.

La libertà sessuale lascia ad ognuno la possibilità di mantenere il legame senza conseguenze sul resto della famiglia né sul benessere economico dei rispettivi clan; nessuno tra i Mosuo accetterebbe mai di abbandonare la propria dimora per risiedere nella casa dell’amante e l’idea di un matrimonio è talmente spaventosa da esser usata come minaccia verso figli e nipoti disobbedienti. Qui i legami tra donne e uomini avvengono e durano solo fintanto che entrambi sentono il desiderio reciproco per l’altra persona e non hanno necessariamente un carattere esclusivo. 


Il concetto di famiglia è ben diverso da quello occidentale, a Loshui la figura paterna ha scarsa importanza sociale e il più delle volte è addirittura sconosciuta.


Tutti coloro che condividono un legame di sangue diretto sono parte della famiglia, che vive dove risiede la madre (matrilocalità), tuttavia la matriarca non è, come ci aspetteremmo, la donna più anziana del clan famigliare, bensì una delle figlie; con lei vivono non solo la madre, ma anche i fratelli, le sorelle, e i rispettivi figli e figlie di ognuno. Non esistono padri, né mariti: è una cultura che fa tremare il complesso di Edipo.

Un legame che invece è estremamente importante per le abitanti del lago Lugu è l’amicizia; le donne passano ore a parlare e confrontarsi mentre svolgono i loro lavori, si cercano quando hanno problemi e si invitano nelle occasioni speciali. Pare che la competitività e l’invidia non siano presenti nelle relazioni d’amicizia femminili. Gli uomini, quando non sono richiesti per svolgere mansioni pesanti, si ritrovano spesso a giocare tra di loro ma, il più delle volte, preferiscono stare appartati ognuno per sé, riposando.


In una comunità matriarcale, retta sull’agricoltura e sull’allevamento, sono le donne ad andare per i campi e tra gli animali per provvedere al resto del clan; sempre le donne cucinano, apparecchiano, sparecchiano e prendono decisioni in merito all’organizzazione sociale ed economica della casa. 

«[…] nulla intorno a me coincide con la fantasia occidentale di quel che dovrebbe essere una società matriarcale. Alcuni la immaginano come una struttura famigliare in cui i ruoli sono invertiti, qualcosa di simile a un patriarcato alla rovescia nel quale gli uomini si occuperebbero delle faccende domestiche, per cui dovresti trovarli sempre intenti a lavare i piatti o a cullare un bambino che stenta ad addormentarsi […] le donne si radunerebbero invece a fumare […] una di loro potrebbe descrivere con un linguaggio poco raffinato il fisico atletico di un vicino»

Il libro di Coler sfata la rigidità con cui siamo soliti pensare alle culture altre, la società dei Mosuo non si presta ad un’interpretazione facile delle sue tradizioni; è un ambiente dove comandano le donne e lo fanno in modo chiaro, semplice, senza ricorrere a violenza alcuna ma con la sola forza della loro autorità – autorità che gli uomini non solo accettano di buon grado, ma che si impegnano a difendere contro i tentativi da parte del governo cinese di “appianare le differenze culturali”.

L’unica eccezione al primato femminile è il capo del villaggio, carica onoraria che è sempre affidata ad un uomo tramite elezione cittadina; le mansioni sono limitate alla risoluzione delle controversie interne al villaggio e alla mediazione con le comunità limitrofe. Le decisioni che il capo villaggio deve prendere ricadono entro una tradizione che ha come fondamento l’idea che la violenza, la virilità e l’aggressività siano motivo di imbarazzo e disonore; è solo ad allora che l’uomo preposto alla mediazione delle controversie può agire, quando cioè i comportamenti privati necessitano di un ammonimento al fine di preservare la società dalla discordia.


Tutta la vita pratica e morale a Loshui è in mano alle donne: nessuno inizia una nuova vita fuori dal nucleo famigliare d’origine, tutti continuano la matrilinearità rimanendo al suo interno, condividendo con i membri di altre famiglie solo rapporti amorosi non vincolanti, al fine di preservare l’unità della famiglia da cui si proviene. 


Il regno delle donne ha la capacità di sfidare il riduzionismo con cui siamo soliti interpretare, secondo schemi occidentali, l’idea di matriarcato. Ci mostra come sia possibile e fors’anche desiderabile – a quanto dicono i suoi abitanti – una società diversa, dove i ruoli non sono banalmente invertiti ma nella quale il sesso femminile è considerato l’opposto della debolezza e dove anche gli uomini considerano imbarazzante l’uso della forza.


Ricardo Coler, Il regno delle donne. L’ultimo matriarcato. Nuova edizione ampliata, Nottetempo, Milano, 2021.

Grazie a Nottetempo!