La bioetica è una disciplina il cui nucleo centrale è costituito «da tutte le questioni etiche originate, negli ultimi decenni, dai mutamenti che medicina e biologia hanno provocato per quanto riguarda il nascere, curarsi e morire degli esseri umani» (1).
Il termine “bioetica” è un neologismo risalente ai primi anni Settanta del Novecento, coniato dall’oncologo statunitense Van Rensselaer Potter e da lui trattato in uno scritto del 1971: Bioethics: Bridge to the future e in un altro testo del 1978 dal titolo: Encyclopedia of Bioethics.
In particolare, in quest’ultima pubblicazione il medico americano definisce la bioetica come «lo studio sistematico della condotta umana nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, quando tale condotta è esaminata alla luce di valori e principi morali» (2).
Nella società occidentale la riflessione etica ha sempre accompagnato la condotta medica, ma l’origine della bioetica come nuova direttiva di orientamento per la comunità scientifica, si può rinvenire a seguito della seconda guerra mondiale, come conseguenza dello shock provocato dalla scoperta dei crimini nazisti, che praticarono sperimentazioni biomediche sulle vite umane.
Il dibattito etico contemporaneo è fortemente connesso con l’ingegneria genetica, quell’insieme di conoscenze che consentono la manipolazione di materiale genetico.
Quando l’applicazione dell’ingegneria genetica ha iniziato a coinvolgere l’essere umano, sono sorte numerose correnti di opposizione per il timore che riaffiorassero nuove prospettive eugenetiche. Il termine “eugenetica” deriva dal greco eu, “bene” e ghenés, “nascita”, si diffonde alla fine dell’Ottocento ed è stato utilizzato per la prima volta da Francis Galton, cugino di Darwin e naturalista inglese, che definì tale disciplina come lo studio dei caratteri psichici e fisici delle generazioni future.
L’interesse per l’eugenetica si diffuse in seguito ai provvedimenti presi dal Terzo Reich, infatti nel 1931 venne istituito il SS-Rasse und Siedlungshauptamt o “RuSHA”, in italiano “Ufficio Centrale per la Razza e l’insediamento”, con lo scopo di controllare la purezza della razza e diventando, nel tempo, una «fucina di esperti razziali» (3).
Nella prima edizione del Mein Kampf (La mia battaglia) di Hitler, il saggio sotto forma di autobiografia pubblicato nel 1925, viene illustrato il programma del Partito nazionalsocialista ed emerge una chiara ispirazione alle ricerche di Galton, come quando afferma: «Il mischiarsi delle razze superiori con quelle inferiori è chiaramente contro l’intento della natura e implica l’estinzione della razza superiore ariana» (4).
Durante il processo di Norimberga del 18 ottobre 1945, per la prima volta l’intera ideologia nazista venne chiamata a rispondere dei crimini commessi, e dagli atti del processo emerse come molti prigionieri dei lager furono trasformati in cavie per esperimenti.
Esperimenti sulle malattie infettive, sulle ossa e poi ancora sterilizzazioni forzate, interventi mostruosi con lo scopo di dimostrare la superiorità della razza ariana. L’eugenetica nazista partiva dalla convinzione che ci fosse una differenza biologica tra le varie razze umane, in base alla quale stabilire una gerarchia tra di esse; tale pregiudizio riteneva lecito, nella pratica medica, favorire i meccanismi di selezione tra le diverse etnie del genere umano.
Fu in seguito al processo di Norimberga che si avvertì la necessità di creare un codice etico internazionale che avrebbe dovuto regolare la sperimentazione medica. Così nel 1947 fu elaborato il Codice di Norimberga, testo fondamentale per il rispetto di diritti umani. Il Codice fu poi ripreso ed ampliato nel 1964 con la Dichiarazione di Helsinki, sviluppata dalla World Medical Association (Wma) e tuttora considerata uno dei documenti cardine dell’etica delle sperimentazioni umane.
Tale dichiarazione suggerisce alcune linee guida fondamentali: «È dovere dei medici coinvolti nella ricerca medica proteggere la vita, la salute, la dignità, l’integrità, il diritto all’autodeterminazione, la privacy e la riservatezza delle informazioni personali dei soggetti umani coinvolti nella ricerca» (5).
In riferimento alle tematiche della genetica e della ricerca medica e biotecnologica, è interessante la tesi del filosofo contemporaneo Jürgen Habermas, il quale nel suo scritto Il futuro della natura umana, risalente al 2001, sostiene che la programmazione genetica sia un rischio per la libertà del singolo: «Interventi genetici migliorativi compromettono la libertà etica in quanto fissano l’interessato a intenzioni di terze persone (intenzioni che restano irreversibili anche se rifiutate) e gli impediscono di concepirsi come l’autore indiviso della propria vita […]» (6).
La riflessione habermasiana sostiene fortemente come ci debba essere una frontiera invalicabile tra l’ingegneria genetica “curativa”, intesa come intervento medico indirizzato a guarire il corpo, e il processo eugenetico “migliorativo”, volto alla “costruzione” in laboratorio di un soggetto “potenziato” e maggiormente dotato.
Per questo, Habermas afferma la necessità che l’intervento terapeutico si lasci guidare dall’obiettivo clinico della guarigione e della prevenzione condannando la manipolazione genetica, poiché quest’ultima priverebbe l’individuo della possibilità di considerarsi autore della propria forma di esistenza.
Dunque è evidente come il dibattito sull’eugenetica abbia subito un notevole cambiamento per il quale la persona da oggetto passivo su cui esercitare un controllo medico si è mutata in soggetto attivo in grado di scegliere della propria esistenza biologica per la quale rivendica il diritto alla salute. Bisogna considerare che ciò che siamo non dipende solo dal nostro patrimonio genetico, ma anche dall’ambiente e da ciò che decidiamo di essere. Nessuno è autore del proprio corredo genetico e nessun’altro può esserlo al suo posto dal momento che non ci sono vite più degne di altre ma, in una simmetria di relazioni, ciascun essere umano può percepirsi uguale all’Altro.
(1) E. Lecaldano, Bioetica. Le scelte morali, Laterza, Roma-Bari, 1999, p. 4.
(2) P. Premoli De Marchi, Introduzione all’etica medica, Accademia University Press, Torino, 2012, p. 191.
(3) P. Lombardi, Un grande spazio vuoto. Genocidio e colonizzazione nazista, All’insegna del Giglio, Sesto Fiorentino, 2020 p. 90.
(4) https://annamariavolpi.files.wordpress.com/2019/02/mein-kampf.pdf
(5) https://www.partecipasalute.it/cms/files/Dichiarazione%20di%20Helsinki.pdf
(6) J. Habermas, Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Einaudi, Torino, 2002, p. 64.
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