Uscire dal dilemma del prigioniero

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Prendiamo due ladri, che chiameremo K e T: sono stati arrestati per furto, ma la polizia, in mancanza di testimoni, può contare solo su una loro confessione per incastrarli. I due vengono interrogati separatamente e devono scegliere, senza avere la possibilità di confrontarsi, se accusare l’altro o meno.

Ora mettiamoci nei panni di K, che nel prendere questa decisione si trova davanti a due scenari. Il primo è quello in cui T lo accusa, e allora lui può:

  • accusarlo a sua volta, così che entrambi ricevano due anni di pena ciascuno.
  • tacere, ed essere condannato a tre anni di reclusione, mentre T. viene rilasciato.

Nel secondo scenario, invece, T tace e allora K può:

  • accusarlo, ed essere rilasciato, mentre T riceve tre anni di pena.
  • Tacere a sua volta, al ché entrambi ricevono un anno di pena, perché già giudicati colpevoli di un altro crimine.

In entrambi i casi, la scelta migliore per K sarà quella di accusare T, che però farà a sua volta lo stesso ragionamento: il “dilemma” sta proprio nel fatto che le scelte individuali dei due li portano necessariamente ad accusarsi a vicenda ricevendo due anni di pena ciascuno, quando ne avrebbero potuto ricevere solo uno se solo avessero scelto, fin dall’inizio, di essere solidali l’uno con l’altro.


Questo problema di teoria dei giochi, intitolato appunto il “dilemma del prigioniero”, si sviluppa sulla base di condizioni logiche che sono difficilmente riscontrabili nella realtà.


Infatti, ognuno dei due ladri si comporta come un perfetto homo oeconomicus, mosso solo dalla pura razionalità, quando nella vita di tutti i giorni un ragionamento così scevro da sentimenti e preconcetti, se non impossibile, è comunque molto raro. 

Allora, se è così astratto, cosa può insegnarci questo dilemma? Per capirlo, analizziamo ora il concetto di “solidarietà negativa”, che Alex Williams definisce come «un senso di giustizia furioso e aggressivo, connesso all’idea che, siccome io devo sopportare condizioni di lavoro in crescente peggioramento, allora chiunque altro dovrà resistere e sopportare allo stesso modo» (1). Uscendo dalla condizione propria del lavoratore, possiamo dire che la solidarietà negativa ci guida ogni qual volta prendiamo una scelta individualistica su una questione che però ha ricaduta sociale, perché sappiamo che tutti egoisticamente farebbero lo stesso e perché pensiamo che tanto il nostro comportamento non possa davvero avere un impatto.


Fuor di metafora: se la strada è piena di mozziconi di sigaretta, perché non dovrei gettarvi anche il mio?


Quando agiamo in questo modo, ci comportiamo un po’ come i protagonisti del nostro problema, ci facciamo cioè influenzare da certe condizioni e finiamo sempre per scegliere di non collaborare, riversando sull’altro l’accusa di essere colpevole non solo della condizione negativa in cui entrambi ci troviamo, ma anche del fatto che siamo spinti nostro malgrado a comportarci altrettanto negativamente


Ma il dilemma del prigioniero ci dimostra proprio che la soluzione migliore è sempre quella di collaborare, di farci guidare da una solidarietà che potremmo definire, ridondantemente, positiva.


La consapevolezza di una pessima situazione comune in cui ci troviamo sia io che l’altro non dovrebbe essere la giustificazione da usare per peggiorarla ulteriormente, ma anzi l’origine di ragionamenti solidali. Solo se collaboriamo, prendendoci tutti in parte gli oneri del cambiamento, che però ora così distribuiti non sembrano più tanto pesanti, possiamo pensare di analizzare lucidamente una condizione che ormai ci sta stretta e di trasformarla, con la forza che solo un’azione collettiva può avere.





(1) https://www.sovrapposizioni.com/blog/sulla-solidariet-negativa-e-la-plasticit-post-fordista

immagine di copertina: Persone vettore creata da pch.vector – it.freepik.com