Julia Kristeva è un’intellettuale che bisogna considerare se vogliamo parlare del pensiero contemporaneo, perché il suo modo di interrogare riflette la sua capacità di scandagliare esperienze combinando teorie e concetti diversi, lasciando sempre, però, al pensiero la possibilità di fare il suo corso.
Le sue riflessioni risultano essere le più ricche all’interno di questo secolo e del panorama storico e sociale, soprattutto, a livello interdisciplinare. Infatti, Kristeva è profondamente poliedrica e questo è evidente nei suoi scritti, non a caso i suoi interessi spaziano tra linguistica, semiologia, psicoanalisi, letteratura e filosofia.
Nasce il 24 giugno 1941 a Silven, in Bulgaria. Dopo l’Università a Sofia, nel 1965 ottiene una borsa di studio che le permette di trasferirsi a Parigi.
Julia Kristeva si intreccia subito con il mondo parigino, un mondo cosmopolita, inserendosi attivamente nella vita culturale della città. Prosegue la sua formazione intellettuale presso l’École pratique des hautes études, dove frequenta personaggi come Michel Foucault, Roland Barthes, Jacques Derrida e Philippe Sollers, con il quale si sposerà nel 1967.
Il pensiero di Kristeva parte sicuramente con i primi saggi in ambito semiologico, parlando per la prima volta di semanalisi, «e ha opposto alla critica tradizionale il progetto di una scienza della letteratura fondata sull’apporto della linguistica, della semiotica, della psicoanalisi e inizialmente del marxismo» (1).
L’ambiente parigino le consente di sviluppare una personalità intellettuale poliedrica: è considerata infatti anche una delle maggiori esponenti del femminismo francese insieme a Simone de Beauvoir, Hélène Cixous e Luce Irigaray.
Notevole è la sua influenza sulla critica letteraria femminista negli Stati Uniti e nel Regno Unito, a seguito della prima e della seconda ondata. Proprio in questo spaccato si intrecciano filosofia e psicoanalisi: una costante rintracciabile nella maggior parte delle sue opere. In effetti è proprio alla fine degli anni Sessanta che frequenta i seminari di Lacan fino a diventare lei stessa psicanalista nel 1979.
Julia Kristeva si distacca e si distingue dai due precedenti movimenti femministi, perché li considera totalitari e alienanti. Nel tentativo, infatti, di riscoprire il femminile, si è corso il rischio di cadere nella riduttiva banalità generale o nella superiorità a discapito della ricerca della libertà di ogni singolo individuo.
Ciò che contesta Kristeva è la mancanza da parte del movimento di tener conto del fatto che la libertà si declina sempre al singolare. L’errore che il femminismo, nelle sue correnti precedenti, ha fatto è stato quello di liberare le donne dalla violenza di una gabbia culturale e patriarcale imposta dall’esterno, inserendole in un’altra gabbia che non considera affatto le donne nella loro singolarità, impedendo loro di rispondere alle domande: chi sono? Cosa voglio? Come voglio autodeterminarmi?
Nello specifico viene presa di mira le necessità di trovare l’uguaglianza con l’uomo, dove uguaglianza impone un concetto di interiorizzazione del maschile. Questo atteggiamento ha portato le donne delle prime lotte femministe a rifiutare totalmente la loro parte femminile, a partire dal corpo con i suoi attributi negando anche l’idea di maternità.
E così, se si sostiene che corpo femminile ed essere madri siano limiti che non consentono la parità con l’uomo e impediscono alle donne di entrare nella storia, nella politica e nella società viene rimossa totalmente l’idea di identità femminile.
Non viene considerato il pensiero di donne in quanto esseri con una loro personale idea di identità femminile e necessitano di essere riconosciute per una loro specificità.
Alla seconda ondata, seppur Kristeva riconosca il passo avanti fatto nei confronti delle differenze tra femminile e maschile -volte soprattutto a creare una rivoluzione sessuale femminile- contesta tuttavia la deriva conflittuale che assume. Infatti, dal sessismo nei confronti delle donne, ovvero della supremazia dell’uomo nei confronti della donna, si è arrivati a una lotta di supremazia della donna sull’uomo.
Kristeva, quindi, apprezza questo riconoscimento sulla differenza di genere, ma la differenza non deve essere motivo di scontro o di conflitto, anzi è assolutamente necessario che custodisca il rispetto per ogni identità unica e particolare.
In entrambi i casi però, ella afferma, mancano i concetti di peculiarità e relazionalità, dove il primo è associato all’idea di libertà di ogni singolo individuo e il secondo descrive la necessità intrinseca umana di entrare in relazione.
Più che battersi per un’identità femminile suprematista che disintegri quella maschile, è più opportuno studiare le singolarità di ogni essere umano, perché ogni individualità è unica e irripetibile e ha diritto di creare la sua personale autonomia.
Così nasce l’esigenza di ridefinire l’unità duale di maschile e femminile, ovvero creare una fusione dialettica dell’uomo e della donna, azzerando supremazia e competizione.
Donna e uomo devono invece interrelazionarsi e dialogare nel rispetto e nella valorizzazione delle proprie differenze, per costruire un tessuto sociale che sia di tipo inclusivo e collaborativo, liberando la società stessa da un vecchio schema che lasciava il potere nelle mani di un solo atteggiamento individuale.
Diventa fondamentale per il femminismo portare avanti un processo di decostruzione della sempre presente e forte opposizione fra maschile e femminile, che porti a una rivalorizzazione del corpo, riscattando l’identità femminile in quanto singolare e non universalizzabile, senza negare le idee di corpo e maternità.
Non più semplici corpi biologici che hanno l’unico scopo di “fare” figlə, cristallizzando e riducendo la pienezza della donna in questo ruolo, ma corpi materni che vivono il passaggio dalla zoé, la Vita universale che fa parte di ogni essere vivente, alla bíos, la Vita che si declina nel singolo e nel modo in cui viene inteso da quest’ultimo, recuperando proprio quell’idea di libertà che Kristeva cerca di riscoprire.
Questo passaggio viene da lei descritto nel momento dell’incontro tra madre e figlə, dove la donna, che è una vita, genera un altro essere che è un’altra vita unica e irripetibile che liberamente sceglierà il suo corso; una vita impenetrabile e ignota, che si mostra nella diversità e che contiene la prima apertura di un amore incondizionato nei confronti del prossimo, che se viene coltivato e valorizzato è in grado di aprirsi e accogliere ogni altro-prossimo e la sua identità.
Julia Kristeva dunque è una pensatrice estremamente completa e rivolta alla prospettiva di liberazione delle donne. Combattendo il concetto di soggetto autoreferenziale, che si basa solo su se stesso e sui suoi personali desideri, si contrappone a pensieri, teorie e lotte che siano o solo maschili o solo femminili. Il tutto a favore dell’idea di un Io-soggetto, che è limitato e finito, senza che questo rappresenti un limite ma anzi aprendo invece la strada alla relazionalità – ossia la caratteristica umana capace di far dialogare le differenze e valorizzare le unicità.
(1) https://www.treccani.it/enciclopedia/julia-kristeva_%28Enciclopedia-Italiana%29/
SITOGRAFIA
https://www.treccani.it/enciclopedia/julia-kristeva_%28Enciclopedia-Italiana%29/
https://zapgina.wordpress.com/2017/06/10/julia-kristeva/
https://www.vitaepensiero.it/news-autori-julia-kristeva-e-il-bisogno-di-credere-5391.html
Immagine di copertina: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Julia-Kristeva-BNF.jpg
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