Il 24 giugno uscirà nelle sale italiane Promising young woman, esordio alla regia di Emerald Fennel premiato agli Oscar 2021 per la miglior sceneggiatura originale.
Un film femminista, espressione agguerrita e arrabbiata dell’era post Me Too.
L’uscita italiana del film era prevista per metà maggio, ma, complice il consueto conservatorismo del Bel Paese, è stata rimandata per un “incidente” al doppiaggio. Al personaggio interpretato da Laverne Cox, attrice transgender, era stata affibbiata un’insensata voce maschile che ha, com’è giusto che sia, scatenato l’indignazione di molti, costringendo la distribuzione a uno slittamento. Che un simile errore coinvolga un film dai contenuti femministe è un triste controsenso, talmente evitabile che verrebbe quasi da pensare male.
Cassie, interpretata da Carey Mulligan, è una giovane donna promettente.
O meglio, lo era, prima di abbandonare gli studi in medicina, chiudersi in se stessa e portare avanti un complesso piano di vendetta. Ogni sera si finge ubriaca, facendosi abbordare da uomini pronti ad approfittare del suo stato di alterazione. Lungi dall’essere dei “nice guys”, questi individui vengono smascherati uno dopo l’altro nelle loro intenzioni, intimiditi da Cassie e conteggiati sul suo diario tramite tally marks.
A muovere questa operazione è un fatto drammatico: il suicidio di Nina, migliore amica della protagonista, vittima di violenza ai tempi dell’università.
Il film è, in effetti, un cosiddetto rape & revenge movie: Cassie vendica l’amica scomparsa in un climax ascendente che colpisce i generici “bravi ragazzi” prima, le autorità e le amicizie conniventi poi, lo stupratore infine.
La narrazione è quasi episodica, nel suo prendere in considerazione, uno dopo l’altro, i diversi ostacoli cui è sottoposta una vittima di stupro: la mancata credibilità di fronte alle istituzioni, l’isolamento, la colpevolizzazione.
Il linguaggio filmico è intelligente, spesso satirico. La scena d’apertura del film, per esempio, è un ottimo esercizio di visione. Siamo in una discoteca, in sottofondo risuona Boys, di Charlie XCX (I was busy thinking ‘bout boys, I was busy dreaming ‘bout boys) e la camera riprende un gruppo di stereotipati maschi bianchi etero non particolarmente attraenti che ballano. Nello specifico, riprende il loro culo, proprio come succederebbe se a ballare ed essere riprese fossero un gruppo di ragazze. L’effetto finale è molto divertente, ma allo stesso tempo grottesco.
Alla base, sta il linguaggio: il male gaze, lo sguardo maschile oggettivante, viene ribaltato.
Non perché si trasformi in uno sguardo altro, ma perché ne viene modificato l’oggetto. A essere scrutati sono gli stessi maschi che dimostrano di vedere il mondo attraverso quelle lenti.
Il film lascia l’amaro in bocca, per i temi che tratta e per le conclusioni cui arriva. Ogni artificio pop, come la colonna sonora, che gioca sapientemente con i pezzi più iconici del female power (dalla sopracitata Charlie XCX, a Paris Hilton), sembra alleggerire la narrazione, ma, a conti fatti, la rende ancora più intensa: rende evidente il contrasto tra la taciuta rabbia femminile e la superficie pastello di una realtà i cui colori sono ben più torbidi.
Promising young woman è un ottimo esercizio di sguardo, che potrebbe diventare un cult della narrazione rabbiosa femminista. Di certo, è una svolta cinematografica di cui c’era bisogno, che tratta lo stupro senza peli sulla lingua, senza indugiare sui dettagli scabrosi come fa certa stampa generalista, ma focalizzandosi invece sulle conseguenze che ha nelle vite delle persone che lo subiscono o ne vengono a contatto in modo indiretto.
La parola stupro, nel corso del film, non viene mai nominata: se ne mostrano gli effetti, lasciando sedimentare quel fatto drammatico e la sua elaborazione in una dimensione privata, lontana dallo sguardo della camera.
Immagine di copertina: https://www.checult.it/promising-young-woman-2020-recensione/
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