Kierkegaard, il filosofo danese padre putativo della filosofia dell’esistenza, ci racconta una storia.
Non solo una, a dir la verità, ma tante: la sua opera è costellata di immagini, metafore e racconti di vita quotidiana che, oltre a permetterci di conoscere la sua inesauribile passione di scrittore, ci testimoniano anche il carattere complesso e pluriarticolato del suo filosofare.
La storia che ci racconta non è lunga, è condensata in qualche riga di un volume complesso come Il concetto di angoscia ma, analizzando un po’ più da vicino queste righe dense, ci consegna una visione ben più ampia rispetto a una manciata di battute.
La frase oggetto di questa nostra riflessione è la seguente:
«l’angoscia è la realtà della libertà come possibilità per la possibilità». (1)
Kierkegaard ci chiede di immaginare la libertà umana, un termine astratto, probabilmente ostico per l’immaginazione, e possiamo figurarcela come un equilibrista, uno di quei valorosi individui che sfidano lo spazio fisico per come lo conosciamo e si librano nel vuoto.
La nostra libertà procede esitante su una fune sospesa su un abisso, e questo abisso è popolato dalle nostre infinite possibilità di potere, da tutto ciò che potremmo scegliere o non scegliere, dagli innumerevoli sentieri che ogni decisione inevitabilmente forgia.
A differenza del percorso di un equilibrista, la nostra libertà sembra non vedere un punto di fine per la sua impresa, perché effettivamente ogni attimo della nostra storia di vita è una scelta, siamo immersi negli svariati cerchi concentrici che ogni possibilità apre.
Guardare davanti a sé è necessario alla libertà, deve procedere, non può fermarsi, deve avanzare, su, forza!
Ma la tentazione di guardare indietro o di sotto è forte e impellente.
E Kierkegaard ci racconta che la nostra libertà cede, costitutivamente, come dato di fatto: guarda in basso e si rende conto dello sterminato campo d’azione che è a sua disposizione. Questo attimo è di un’importanza difficilmente qualificabile: la nostra libertà può cadere, può volare, può tutto.
In questo preciso attimo l’essere umano si realizza come tale, si rende conto non solo di essere chiamato perennemente alla scelta, ma anche che ogni scelta è immediatamente una rinuncia.
Nel momento in cui scegliamo A invece di B, non stiamo solo rinunciando a B, ma stiamo anche scegliendo tutte le conseguenze che scaturiranno da A, e rinunciando a tutto ciò che potrebbe parimenti derivare da B. La nostra esistenza si forgia in ogni singolo attimo come questo, il nostro stile di vita è dato in egual misura dalle scelte che facciamo e dalle rinunce di altrettanti stili di vita alternativi che effettuiamo.
Nel preciso attimo il cui la nostra libertà è al cospetto di tutte le sue possibilità, prova un brivido, una vertigine: è l’angoscia.
Ecco spiegato perché l’angoscia è la realtà della libertà come possibilità per la possibilità. Quando la libertà realizza di potere ogni cosa, ecco che la magia dell’esistenza si realizza, il tempo e l’eternità si toccano.
«L’attimo è quell’ambiguità nella quale tempo ed eternità si toccano.» (2)
È importante notare come, in questo attimo nel quale la libertà si rende conto di potere tutto, ciò che prova non è un sentimento di arrogante onnipotenza, che farebbe assomigliare l’uomo a un incauto Prometeo, che si spinge oltre il limite delle proprie facoltà: niente di tutto questo, Kierkegaard non è un illuminista.
A differenza di Kant, per il nostro filosofo la libertà non è una «uscita dallo stato di minorità» (3).
La libertà si rende trasparente a se stessa nel momento in cui prova angoscia, ma questa consapevolezza non diventa un di più rispetto a se stessa, non fa dell’uomo un super-uomo: rende uomo l’uomo, perché prima dell’angoscia l’uomo non era tale, ma era, ecco il fulcro della filosofia kierkegaardiana, semplicemente un peccatore.
L’angoscia, allora, restituisce l’uomo a se stesso, coi suoi limiti – essere costitutivamente un peccatore – e il suo più nobile dono: essere libero.
- S. Kierkegaard, Il concetto dell’angoscia, SE, Milano, 2007.
- Ibidem.
- I. Kant, Risposta alla domanda: cos’è Illuminismo?, in Scritti di storia, politica e diritto, Laterza, Roma-Bari, 1995.
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