All’origine del nostro appuntamento mensile sulle filosofe c’è la constatazione che troppo spesso queste donne sono state dimenticate e che solo raramente viene data a loro e al loro pensiero l’importanza che meritano.
La filosofa di oggi potrebbe essere al tempo stesso l’esempio più evidente di questa prassi, ma in qualche modo ne è anche un’eccezione.
Da un certo punto di vista, infatti, dimenticarla è quasi impossibile, perché la sua figura è posta al centro del Simposio di Platone, un’opera di indiscutibile rilevanza nella filosofia occidentale, che certamente non corre il rischio di cadere nell’oblio. Al tempo stesso però, il dialogo platonico è anche l’unica fonte conosciuta in cui si parli di lei e, come vedremo, il modo e le circostanze in cui viene menzionata hanno generato un vivissimo dibattito sulla possibilità che essa sia realmente esistita.
Questa figura dai contorni sfumati, collocata a metà tra mito e realtà, tra finzione narrativa e persona in carne e ossa, è Diotima di Mantinea, sacerdotessa e profetessa che forse visse nella Grecia del V secolo a.C.
Per comprendere la peculiarità della sua situazione, è necessario rievocare il contesto all’interno del quale la incontriamo per la prima e unica volta, e cioè il Simposio di Platone.
Il dialogo si presenta come un “resoconto” (1) del banchetto celebrato nella casa ateniese di Agatone in occasione della sua vittoria come tragediografo alle Dionisiache del 416 a.C. Nel contesto della società profondamente misogina dell’Atene del tempo è impensabile che le donne prendano parte a questo genere di eventi, e dunque anche in questo caso troviamo solo invitati di genere maschile: alla cena partecipano alcuni tra gli uomini più in vista dell’aristocrazia della città e ovviamente Socrate, personaggio onnipresente nei dialoghi platonici.
In che senso è dunque presente anche Diotima? Per interposta persona, potremmo dire. È proprio Socrate a far entrare la sacerdotessa nel dialogo, attribuendole un ruolo decisamente insolito: essa sarebbe infatti la maestra che gli ha insegnato tutto ciò che lui ora conosce di Eros, e che si impegna a condividere con gli altri commensali. Diotima non è dunque fisicamente presente sulla scena, ma parla attraverso la voce di Socrate, che racconta della lunga conversazione avuta con lei proprio sul tema attorno al quale ruota tutto il dialogo: quale sia la natura di amore.
Nel rapporto con Socrate, la sacerdotessa veste i panni di maestra (facendo uso della maieutica, la tecnica filosofica che caratterizza proprio il metodo socratico) mentre il filosofo si trova insolitamente costretto nel ruolo di allievo che deve essere iniziato all’argomento.
Questo ribaltamento di ruoli è unico nel corpus platonico e si presta a diverse interpretazioni che sono legate anche a differenti teorie circa l’esistenza di Diotima come personaggio storico.
Ipotizzando infatti che la sacerdotessa sia esistita realmente, è credibile che Platone abbia scelto di rappresentare in modo così evidente la sua superiorità filosofica nei confronti del maestro Socrate, che in ogni altro dialogo appare come l’indiscusso campione di ogni dibattito? E, se così fosse, che dire delle teorie sull’amore che nel dialogo vengono attribuite a Diotima? Sarebbero effettivamente da considerare patrimonio di questa filosofa o di Socrate/Platone?
Cambiando prospettiva, se Diotima di Mantinea è davvero esistita, come mai non ci sono altre fonti su di lei? Proprio nel Simposio, Socrate la introduce dicendo che la sacerdotessa sarebbe responsabile di aver profetizzato e dunque ritardato di ben dieci anni – grazie a molti sacrifici – la peste che colpì Atene nel 430 a.C, all’inizio della guerra del Peloponneso. Se questa era la credenza diffusa all’epoca, appare quantomeno sospetto che Tucidide, nostra principale fonte su quel periodo, non ne faccia mai menzione. Possibile che sia un’invenzione platonica? È credibile che Platone abbia usato un riferimento temporale così specifico e importante per collocare un personaggio immaginario?
Queste difficoltà e l’eccezionalità di questo caso hanno condotto moltə a sostenere che la presenza della sacerdotessa nel dialogo non vada interpretata come indizio dell’effettiva esistenza di una Diotima storica.
Alcuni, come Giovanni Reale (2), sostengono che si tratti soltanto di una maschera, un artificio retorico usato da Platone nell’economia del dialogo. Altre ipotesi la vedono come l’incarnazione della Filosofia stessa, rifacendosi alla prassi molto consolidata nell’antichità di rappresentare virtù e discipline come incarnate in personaggi femminili.
Tuttavia, il dibattito è aperto, e c’è anche chi sostiene l’esistenza di Diotima e ridimensiona la stranezza del suo ruolo nel Simposio, ricordando anche la posizione eccezionalmente moderna espressa da Platone nella Repubblica, dove il filosofo afferma senza mezzi termini che le donne possono essere filosofe (3).
Una terza via è rappresentata da chi argomenta che la figura di Diotima sia sì fittizia, ma che dietro di lei si nasconda comunque una donna realmente esistita e della quale sappiamo con certezza che conosceva Socrate e Platone: si tratterebbe di Aspasia di Mileto, regina di un salotto culturale ateniese, spesso menzionata a torto soltanto nelle vesti di “la compagna di Pericle”. La fama di Aspasia è legata alla controversa figura del compagno e anche al suo profilo da donna fuori dagli schemi. In quanto etèra, la sua figura ci è stata tramandata come un esempio decisamente negativo, in controtendenza rispetto all’ideale della brava donna ateniese sottomessa e ubbidiente.
Per questo motivo, alcunə studiosə suggeriscono che potrebbe essere stata celata da Platone dietro alla maschera di Diotima, il cui ruolo di sacerdotessa e profetessa offre una cornice molto più inattaccabile alle sue tesi.
Come detto, il dibattito attorno a questa figura è ancora vivissimo, e difficilmente potrà spegnersi a meno che non si trovino ulteriori fonti contemporanee su questa figura, eventualità decisamente poco probabile. Infatti, se l’assenza di informazioni non è abbastanza per concludere con certezza la non esistenza di una Diotima storica, le caratteristiche dell’unica fonte che abbiamo non ci consentono di affermare in via definitiva neppure il contrario.
Proprio come l’Eros di cui lei stessa ci parla è un essere a metà tra il divino e il mortale, tra la conoscenza e l’ignoranza, Diotima rimane una figura sospesa in un limbo tra mito e realtà, tra finzione narrativa e verità storica, restando in ogni caso una donna il cui contributo alla filosofia non può e non deve essere ignorato.
(1) Il rapporto tra finzione e realtà nei dialoghi platonici è molto complesso, e non può trovare spazio in questo articolo. Per il momento, ci basta ricordare che i dialoghi, anche se facenti riferimento a fatti e persone realmente esistiti, sono frutto del genio di Platone che, autore e filosofo, si serve di queste cornici per fornire un contesto all’esposizione delle proprie teorie e mettere in scena il metodo che caratterizza lo stile del suo maestro, Socrate.
(2) G. Reale, Eros demone mediatore, Rizzoli, Milano, 1997.
(3) Sappiamo con certezza anche che Platone ha avuto delle allieve, e dunque la presenza di filosofe o aspiranti tali non era estranea al filosofo.
Bibliografia:
S. Belotti, Diotima di Mantinea in Studi di storia della filosofia antica, M. Bonelli (a cura di), Filosofe maestre imperatrici. Per un nuovo canone della storia della filosofia antica, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma, 2020.
G. Reale, Eros demone mediatore, Rizzoli, Milano, 1997.
A. d’Angour, Socrate innamorato: La giovinezza perduta del padre della filosofia occidentale, Utet, Milano, 2020.
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