Una delle ipotesi, oramai più accreditate, che spiegherebbe l’estinzione repentina dei dinosauri dalla terra risulta essere la caduta di un enorme asteroide sul nostro pianeta, avvenuta circa 66 milioni di anni fa. Immaginatevi ora di ritrovarvi nella stessa situazione: un gruppo di studiosi scopre che un enorme meteorite sta per abbattersi sul pianeta terra e, secondo i calcoli, l’impatto avverrà tra circa sei mesi, provocando conseguenze simili a quelle dell’ultima volta.
Come reagiremmo noi e la nostra società a una simile notizia?
Adam McKay prova a immaginarsi come andrebbero le cose all’interno del suo ultimo film Don’t look up, uscito su Netflix durante le vacanze natalizie. Lo scenario è esattamente quello sopra descritto: i due scienziati interpretati da Leonardo Di Caprio e Jennifer Lawrence scoprono l’esistenza di un enorme asteroide che in breve tempo impatterà sulla terra e la loro sfida sarà quella di convincere l’intera comunità mondiale a confrontarsi con questo dato di fatto.
Il verbo convincere non è affatto casuale: i due protagonisti, infatti, pur essendo due studiosi accreditati e avendo prove concrete del fenomeno e dei suoi effetti, non trovano riscontri immediati né da parte della politica né da parte dei media, che tendono a minimizzare e ridicolizzare la scoperta. La politica nel film viene rappresentata dalla presidente degli Stati Uniti, interpretata da Meryl Streep, che ascolta i due scienziati attraverso un costante filtro: il consenso. La presidente e il suo entourage decidono di dare ascolto agli scienziati solo nel momento in cui mostrarsi come i protettori delle proprie persone sembra essere utile per innalzare il consenso politico nei sondaggi, una volta che la notizia è oramai divulgata.
I giornalisti invitano i due protagonisti nei programmi televisivi solo nell’ottica di aumento dello share, facendoli confrontare con personalità assolutamente distanti dalla comunità scientifica che non hanno alcuna conoscenza sull’argomento. È così che gli studi dei due scienziati diventano semplicemente un’opinione tra le opinioni, dove il maggior consenso lo ottiene non certo chi ne sa di più, ma chi risulta più rassicurante o simpatico agli occhi della società (o forse dovremmo dire del “pubblico”), tanto da negare anche l’esistenza di un fenomeno che presto sarà visibile agli occhi di chiunque.
Leggendo questa descrizione non è difficile trovare parallelismi con la nostra situazione attuale: il problema del cambiamento climatico in primis e la pandemia mondiale (che sappiamo essere una delle conseguenze del primo).
McKey, grazie al suo film, muove una forte critica contro il sistema capitalista che si è infiltrato in ogni ambito della società (dalla politica all’informazione), ma ci mette anche di fronte a noi stessi (se pur attraverso una narrazione volutamente esagerata e grottesca) e ci pone una domanda fondamentale: “tu chi vuoi essere?”. Nelle infinite possibilità di informazione che abbiamo davanti a noi perdersi è semplice e riconoscere chi seguire diventa una vera e propria sfida.
Ciò che possiamo fare è non accontentarci: non accontentarci di una sola fonte, di una sola opinione, di un solo punto di vista e renderci ascoltatori attivi e pensanti. L’abitudine a ricercare e analizzare diverse opinioni, ponendosi, quando necessario, in una posizione di ascoltatore, ci permette di avvicinarci il più possibile alla verità, anche quando questa non risulta essere l’opzione più accomodante. Non colgo metafora più calzante se non quella offertaci da Platone ne La Repubblica:
«La liberazione dalle catene», continuai, «la conversione dalle ombre alle immagini e alla luce, l’ascesa dalla caverna sotterranea al sole, e qui la persistente incapacità di guardare gli esseri viventi, le piante e la luce del sole, le loro immagini divine riflesse nell’acqua e le ombre degli esseri reali, ma non più delle immagini proiettate da un’altra luce analoga a quella del sole: lo studio di tutte le arti che abbiamo passato in rassegna produce questo effetto e innalza la parte migliore dell’anima alla contemplazione della parte migliore dell’essere, come prima elevava il più acuto dei sensi corporei alla contemplazione dell’oggetto più luminoso nel mondo materiale e visibile». (1)
Attraverso il famoso mito della caverna, Platone invita a non limitarsi alla superficiale conoscenza delle cose, ma ad andare oltre, non smettendo mai la propria ricerca: all’inizio uscire e vedere il sole farà male alla vista, ma presto il dolore lascerà spazio alla meraviglia della reale conoscenza.
Conoscere, a volte affidandoci a chi ne sa di più, non deve essere ridotto a un esercizio di stile, ma è un processo che ci aiuta a prendere decisioni ragionate, guidando i nostri comportamenti nella direzione migliore possibile e andando al di là delle sterili personalizzazioni, ormai tipiche del nostro sistema dell’informazione, che riducono l’interazione ragionata alla mera reazione. Ecco allora che l’invito del titolo Don’t look up si ribalta totalmente e diventa un inno non solo a guardare, ma a osservare attentamente quel sole che tanto desiderava Platone che, se pur doloroso a prima vista, racchiude in sé tutto il senso della nostra vita democratica: la ricerca comune della verità insieme con la sua messa a frutto.
(1) Platone, La Repubblica, Edizione Acrobat, pag 93.
La foto di copertina è un’immagine ufficiale di Don’t look up. Il copyright della suddetta è pertanto di proprietà del distributore del film, il produttore o l’artista. L’immagine è stata utilizzata per identificare il contesto di commento del lavoro e non esula da tale scopo – nessun provento economico è stato realizzato dall’utilizzo di questa immagine. / This is an official image for Don’t look up. The image copyright is believed to belong to the distributor of the film, the publisher of the film or the graphic artist. The image is used for identification in the context of critical commentary of the work, product or service. It makes a significant contribution to the user’s understanding of the article, which could not practically be conveyed by words alone.
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