Potremmo descrivere il senso comune come quell’istinto condiviso dalla maggior parte degli individui, che li guida nella pratica quotidiana. È il senso comune a indicare a ognunə quali siano comportamenti legittimi da compiere o meno e a dare le risoluzioni basilari ai problemi più ordinari, perché ci dice quelle che tuttə sceglierebbero. Il senso comune è la lente attraverso cui giudichiamo il mondo senza neanche pensarci, la concezione della realtà che ci unisce al resto della società.
Una descrizione del genere ci porterebbe subito a giudicarlo negativamente: muoversi e pensare acriticamente è sempre peggio rispetto al riflettere su ciò che ci circonda e agire di conseguenza. Eppure, Antonio Gramsci ci insegna, nei suoi Quaderni (1), a rivalutare il senso comune, a fare i conti con esso, e infine a conviverci.
Il senso comune è, prima ancora di essere tutto ciò che abbiamo detto sopra, un dato di fatto, il che significa che non può essere eliminato.
Per quanto possiamo odiare che esista un “istinto” che ci trasporta prima che possiamo fermarci a riflettere davvero su ciò che accade, dobbiamo sapere che esso esisterà sempre, perché è naturale che ogni società abbia, come suo precipitato, un modo condiviso – dove per condiviso si intende dalla maggior parte possibile delle persone – di vedere la realtà. Questo è poi estremamente superficiale, ma volente o nolente esiste: non possiamo eliminarlo, ma solo tentare di cambiarlo.
È qui che ci viene in soccorso Gramsci, il quale spiega che, essendo caratterizzato dalla mancanza di pensiero critico, il senso comune non genera le sue credenze da sé, ma le prende dalle teorie critiche del passato e del presente. In sostanza, la visione ordinaria delle cose è costituita dalle sedimentazioni di filosofie, scienze e religioni, passate e presenti. Tali sedimentazioni non sono casuali, ma sono quelle che più convengono al senso comune, anche perché possiamo dire che esiste un senso comune più generale, e poi tanti sensi comuni, di specifici gruppi sociali, ognuno dei quali seleziona le teorie più affini alle sue necessità.
Come ci dice il filosofo, allora, è necessario sfruttare il fatto che il senso comune ha bisogno di teorie di cui nutrirsi, e lo si può fare costruendo una teoria critica che venga incontro al senso comune stesso.
Una filosofia del genere, criticando la superficialità con cui le parti della società si muovono quotidianamente, non dimenticherà che le loro esigenze sono quelle reali, e le renderà allora l’oggetto della propria analisi critica. Solo dopo aver elaborato delle soluzioni, tornerà allora al senso comune, per egemonizzarlo e trasformarlo in modo che sia affine più a questa filosofia che alle altre.
È ovvio che il senso comune poi rimarrà sempre acritico, ma almeno lo avremo reso meno dannoso di prima. Ad esempio, l’opinione comune è discriminatoria verso le minoranze: è necessario capire perché lo è, scendere alla radice di questo suo pessimo comportamento, analizzarla criticamente, dimostrare che non ha alcun fondamento, tornare al senso comune con questa consapevolezza e educarlo.
Sono lə intellettualə a doversi prendere la responsabilità di guidare il resto della società, senza però arroccarsi in una loro dimensione altra, senza dimenticarsi che quel senso comune esiste ed esisterà sempre, ma che si può fare qualcosa per migliorarlo.
(1) Antonio Gramsci, Quaderni dal carcere, Einaudi, Torino, 2014.
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