Il nome di Rebecca Solnit è noto ai più per il saggio Gli uomini mi spiegano le cose, pubblicato originariamente online nel 2008 su TomDispatch e che poi ha dato il nome a una raccolta di saggi dell’autrice. Nel testo in questione Solnit prende spunto per il suo ragionamento da un episodio autobiografico accadutole a una festa in cui si trovava con un’amica.
Quando il padrone di casa le chiede di cosa si occupa lei risponde di essere una scrittrice, autrice di diversi saggi. Solnit non ha nemmeno modo di finire di spiegarsi: l’uomo inizia a decantare i meriti dell’importantissimo ultimo saggio uscito su Muybridge, che Solnit avrebbe dovuto assolutamente leggere. Ovviamente l’autrice era proprio la stessa Rebecca Solnit, eppure «che fossi io l’autrice dell’importantissimo libro (…) confuse a tal punto le nette categorie in cui era ordinato il suo universo da farlo restare di pietra» (1).
Gli uomini mi spiegano le cose ha avuto enorme diffusione e successo, moltissime donne hanno iniziato a raccontare online di essersi trovate a vivere episodi simili e molti uomini hanno ribattuto illustrando come non sia vero che gli uomini spiegano le cose alle donne.
Dal grande dibattito generato ha origine il termine mansplaining, che il Cambridge Dictionary definisce come «l’atto di spiegare qualcosa a qualcuno in un modo che ne suggerisce la stupidità; usato in particolare quando un uomo spiega a una donna qualcosa che lei già conosce» (2). Si tratta di qualcosa con cui la maggior parte delle donne ha a che fare e che aumenta la difficoltà di farsi sentire.
Non si tratta solo dell’imbarazzo o del fastidio creati dal sentirsi trattate da ignoranti: per Solnit il mansplaining ha una funzione politica e sociale ben precisa. Se da una parte è un “addestramento all’insicurezza e all’autolimitazione”, dall’altra mette in evidenza il fatto che le donne non siano ascoltate, né rispettate o tenute in considerazione. Il mansplaining è di più di un piccolo intralcio nella comunicazione: è qualcosa che chiude lo spazio alle donne e lo apre agli uomini.
Si tratta di «uno dei modi in cui il potere si esprime quando la conversazione è civile: quello stesso potere che nelle discussioni incivili e negli atti di intimidazione e violenza fisica, e molto spesso nel modo in cui è organizzato il mondo, mette a tacere, cancella e annichilisce le donne come persone di pari dignità, come partecipanti, come esseri umani con dei diritti e – troppo spesso – come esseri viventi» (3).
La tesi di Solnit è che «la violenza di genere affonda le radici in questo non essere udibili, credibili, non avere peso» (4).
Il fatto che, sul luogo di lavoro come a una festa, le donne si sentano spiegare cose di cui sono già esperte (perché si suppone che non lo sappiano), che subiscano molestie per strada, fino alla violenza domestica e al femminicidio è un insieme di episodi che si posizionano su un unico continuum che ha una radice comune.
«Il disprezzo riservato alla voce di una donna che sta alla base della violenza sessuale fa tutt’uno con quello con cui viene trattata se si rivolge alla polizia, alle autorità universitarie, alla sua famiglia, alla sua chiesa, ai suoi tribunali, [….] in tutti questi casi viene ignorata, screditata, accusata, svergognata, non creduta. […] L’aggressione sessuale può prosperare solo in situazioni in cui non vive la parità nell’essere ascoltati e creduti e non si ha lo stesso peso» (5).
Nel suo memoir autobiografico Ricordi della mia inesistenza, l’autrice prende in considerazione tutti i passaggi della propria vita e carriera e guardando a Gli uomini mi spiegano le cose ne rintraccia la frase principale: “la credibilità è uno strumento di sopravvivenza fondamentale”.
A distanza di anni Solnit torna sulle sue parole per correggere il tiro. Uno strumento è qualcosa che possediamo e il cui uso dipende da noi, mentre la credibilità di qualcuno dipende in larga parte da come la società vede e percepisce al suo interno persone appartenenti a determinate categorie.
«Benché il patriarcato spesso sostenga di possedere il monopolio della razionalità e della ragione, i suoi sostenitori non terranno in considerazione la più verificabile, coerente e normale storia riportata da una donna per accettare qualsiasi resoconto di fantasia di un uomo, faranno finta che la violenza sessuale sia una cosa rara e le false accuse invece siano roba di tutti i giorni» (6).
La credibilità è uno strumento di sopravvivenza, ma non è in mano alle donne. Sulla consapevolezza di ciò da parte delle vittime di violenza agisce il “silenziamento preventivo” delle stesse. Un passo decisivo in avanti nella parità di genere non può dunque prescindere dal fatto che le donne recuperino la propria voce, che sia nelle strade, nei luoghi di lavoro, in casa e negli spazi pubblici, perché «avere una voce non significa solo la capacità di emettere suoni con il proprio corpo ma poter partecipare appieno al dibattito che dà forma alla società, ai rapporti tra le persone, alla tua stessa vita» (7).
(1) R. Solnit, Gli uomini mi spiegano le cose, Ponte alle grazie, Milano, 2017, p. 11.
(2) https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/mansplaining «the act of explaining something to someone in a way that suggests that they are stupid; used especially when a man explains something to a woman that she already understands».
(3) R. Solnit, Gli uomini mi spiegano le cose, Ponte alle grazie, Milano, 2017, p. 21.
(4) R. Solnit, Ricordi della mia inesistenza, Ponte alle grazie, Milano, 2021, p. 233.
(5) Ibidem
(6) Ivi, p.230.
(7) Ibidem
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