«Il patriarcato è un’egemonia culturale e morale che impone un’unica e “naturale” struttura familiare – quella in cui l’uomo si serve della donna per procreare e crescere i “suoi” bambini e dove il padre esercita un’autorità indiscutibile su madre e figli – e, su una scala più vasta, costruisce società che appaiono e funzionano come delle famiglie patriarcali, governate da re, presidenti, amministratori, delegati e dèi, tutti maschi e onnipotenti» (1).
È questa la definizione di patriarcato che Jude Ellison Sady Doyle ci fornisce in una delle prime battute de Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, esprimendo in maniera chiara ed efficace come il patriarcato sia un sistema applicato a più livelli, rendendoli tutti interconnessi da un’unica visione delle cose basata sulla superiorità del sesso maschile. Il termine “patriarcato” significa letteralmente “la legge del padre” – dal greco patriarkhēs, sintesi tra patēr (“padre”) e arkhō (“comando”) – e nasce, dunque, in ambito privato per indicare il predominio dell’uomo in ambito familiare; passando poi, in tempi moderni, a definire non più solo un fenomeno privato, ma a tutti gli effetti sociale e politico (2).
L’origine del fenomeno si basa sostanzialmente sulle caratteristiche biologiche relative al sesso maschile che primitivamente rendevano l’uomo idoneo al comando.
«Il diritto del fisicamente più forte, principio informatore degli organismi sociali sviluppatisi dalla cellula embrionale delle società primitive, fa della donna la eguale del vinto – animale domestico prima, poi schiava, poi serva, poi semplicemente soggetta» (3), scrive Anna Kuliscioff ne Il monopolio dell’uomo. Con l’evoluzione delle società moderne, tuttavia, l’elemento della forza fisica è andato via via a perdere la propria necessità (non occorreva più cacciare per sopravvivere) e nonostante le donne cominciarono a sperimentare per la prima volta attraverso il lavoro un senso di equivalenza all’uomo, il sistema patriarcale non scomparve insieme alla perdita di priorità del “diritto del fisicamente più forte”.
Il patriarcato in quanto egemonia nata in età primitiva e tuttora persistente, è largamente considerato come il naturale andamento delle cose (“è sempre stato così”) producendo una non equità tra uomo e donna in tutti i comparti dell’esistenza e sfociando in fenomeni discriminatori quali il gender pay gap, la cultura dello stupro, la violenza (fisica, economica, psicologica), il catcalling, il femminicidio, l’assenza di donne in ruoli apicali e, in generale, discriminazioni che quotidianamente ostacolano l’empowerment femminile.
Il capitale culturale e il ruolo delle «parastrutture del potere patriarcale»
Negli anni Ottanta e Novanta il filosofo Pierre Bourdieu ha applicato la nozione di “capitale” – di matrice marxista – a ciò che è immateriale, portando alla luce il concetto di capitale culturale (4). Esso si basa sulla socializzazione con un determinato sistema di convinzioni che, una volta introiettato, diviene habitus, ossia un insieme di abitudini, valori e certezze che vanno a plasmare la forma mentis di ciascun individuo, cristallizzandosi secondo quanto è percepito come ordine “naturale” delle cose (per esempio: “la donna è naturalmente portata alle mansioni di cura della casa e dei figli”). Ne Il dominio maschile (5), Bourdieu prende in causa il capitale culturale della società patriarcale per cui ogni essere umano – “spontaneamente” e in maniera spesse volte inconsapevole – riproduce i meccanismi della società patriarcale in cui è immerso, perpetuandola.
Attraverso l’illusione della natura (un altro esempio: l’uomo è naturalmente portato a gestire il potere) l’oppressione caratterizzante il patriarcato viene identificata come l’unica alternativa possibile. Questo processo di perpetuazione inconsapevole di un modello sociale in tutti i suoi aspetti tossico, limitante e antiprogressista, è costantemente alimentato, a sua volta, da ulteriori meccanismi – quali, ad esempio, pubblicità, riviste, film, linguaggio mediatico – che influenzano costantemente il modo di pensare e agire di ciascun individuo.
Ci limitiamo qui a introdurre le «parastrutture del potere patriarcale» (6) le quali giocano un ruolo centrale nell’agire sull’habitus e, dunque, nel valorizzare i principi patriarcali come unici possibili. Con “parastrutture” si intendono i media che, ovviamente, includono una varietà di forme di intrattenimento basate sulla rappresentazione, Hollywood in primo luogo. «Per decenni, Hollywood ci ha mostrato quasi esclusivamente amori eterosessuali; uomini determinati e affascinanti; donne coprotagoniste “salve” solo se adempivano al dovere di madri e mogli; persone BIPOC impiegate in lavori modesti con accenti marcati; salvatorǝ bianchǝ; corpi rigorosamente conformi. Così ha svolto – e svolge tuttora – la sua parte nella cultura sistemica dell’oppressione» (7), scrive Marina Pierri sottolineando come questa oppressione sistemica finisce per passare come “naturale”.
Che cosa significa un mondo aldilà del patriarcato?
Il sistema patriarcale con la sua spinta opprimente soffoca ogni possibilità di progresso, inchiodandoci a modalità di pensiero prestabilite le quali impediscono la piena realizzazione non solo della donna, ma anche dell’uomo, rallentando, quindi, ogni sforzo di miglioramento della società nella sua totalità.
La guerra del XXI secolo in difesa del patriarcato si combatte contro i diritti all’aborto, contro il controllo delle nascite e dell’educazione sessuale, emarginandole dalle cariche manageriali (nel 2019 il 33% dei manager nell’UE erano donne) (8), retribuendo il loro lavoro meno rispetto ai colleghi uomini (nel 2018 nell’UE le donne hanno guadagnato il 14,8 % in meno degli uomini, se si confronta la retribuzione lorda oraria media) (9) con la paura che siano le donne a iniziare a prendere le decisioni. E nel momento in cui le donne decidono di ribellarsi a tali condizioni, arriva sempre l’uomo che con la forza ricorda loro il posto che la società ha deciso di assegnargli (dall’inizio del 2022 in Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni) (10).
Immaginare un mondo senza patriarchi non significa che sia necessariamente privo di coppie eterosessuali o di famiglie con due genitori, bensì è un mondo in cui quei legami sono solo due tra i tanti modi in cui si può costruire una famiglia.
Un mondo dove ogni individuo decostruisce il proprio sistema di convinzioni che abita le nostre coscienze e dà nuova forma all’habitus da troppo tempo rimasto fedele ai dettami patriarcali, cosicché si possa trasformare le tristi dichiarazioni ISTAT riportate sopra. Solamente quando sarà realizzata attraverso l’educazione, la consapevolezza e una rappresentazione inclusiva la distruzione di tutto ciò che in maniera stereotipata rientra nei concetti di “maschi” e “femmine”, sarà veramente possibile la manifestazione dell’uguaglianza tra i generi. Allora finalmente potremo aspirare alla fioritura della nostra società e intravedere un mondo aldilà del patriarcato.
(1) Jude E.S. Doyle, Il mostruoso femminile. Il patriarcato e la paura delle donne, Tlon, Città di Castello (PG), 2021, pp. 16-17.
(2) https://www.robadadonne.it/232218/patriarcato-storia-perche-e-come-combatterlo/
(3) A. Kuliscioff, Il monopolio dell’uomo, Feltrinelli, Milano, 1990, pp. 15-16.
(4) P. Bourdieu, Forme di capitale, a cura di M. Santoro, Armando Editore, Roma, 2016, p. 57.
(5) P. Bourdieu, Il dominio maschile, tr. di A. Serra, Feltrinelli, Milano, 2009.
(6) M. Pierri, Serie tv, numeri e presenze in Bossy, Anche questo è femminismo, a cura di B. Furci e A. Vescio, Tlon, Roma, 2021, p. 42.
(7) Ivi, p. 43.
(8) https://www.istat.it/donne-uomini/bloc-2c.html?lang=it
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