Aleksandra Michajlovna Kollontaj può vantare un significativo primato: è la prima donna al mondo a ricoprire l’incarico di ministro, anzi, ministra.
Nel suo caso, si tratta di un mandato come ministra degli esteri dell’Unione Sovietica, che ha dal ’26 al ’45 prima in Messico e poi in Svezia, dove successivamente diventa ambasciatrice dell’URSS.
Ruoli, questi, importantissimi e di spicco, che Kollontaj ricopre per conto di uno stato che ha attivamente contribuito a creare, essendo una rivoluzionaria marxista che ha giocato un ruolo non di secondo piano nella preparazione della Rivoluzione del 1917 e nelle vicende che, da quell’anno in poi, segnano la vita del Partito comunista russo, di cui fu membro ma anche aspra critica, lungi dall’essere una mera esecutrice della linea politica dettata dai leader del partito.
Nonostante questo impressionante curriculum (di cui qui mi limito ad accennare alcuni degli elementi più significativi senza alcuna pretesta di essere esaustiva), è probabile che tu non abbia mai sentito parlare di lei prima.
Non è un personaggio mainstream, probabilmente proprio a causa del suo genere e anche del suo coinvolgimento con l’Unione Sovietica, un paese che nell’ex blocco occidentale non gode di una fama particolarmente lusinghiera.
Al di là della sua vita avventurosa e delle vicende storiche che la vedono protagonista, Aleksandra Kollontaj è anche un’intellettuale marxista e femminista che ha molto da dire sulla realtà che vive e che contribuisce a creare.
Leggere i suoi scritti è doppiamente interessante: da un lato ci trasportano nell’Europa degli anni ’10 e ’20 del secolo scorso facendoci vivere, grazie allo stile vivido e diretto, le tensioni e le speranze di quell’epoca ormai lontana, dall’altro ci svelano riflessioni di una donna colta e militante che, anche estrapolate dal loro contesto storico e politico, ci parlano ancora e ci suggeriscono griglie interpretative originali per il presente.
Tra i vari testi, quello forse più interessante è Largo all’Eros alato, una lettera che nel 1923 Kollontaj indirizza alla gioventù lavoratrice.
Il saggio ruota attorno al tema del rapporto tra l’amore e la rivoluzione proletaria, chiedendosi se le due cose siano in qualche modo in contrasto tra loro o possano invece coesistere e, anzi, rafforzarsi a vicenda.
Si parla dunque del valore socio-politico dell’amore come sentimento tra individui, un tema che può e forse dovrebbe tornare al centro del dibattito odierno, visto che il contesto politico attuale è invece dominato da sentimenti come odio, paura e diffidenza.
L’amore è una parte importante delle nostre vite private, ma cosa ha a che fare con la politica?
In Largo all’Eros alato Kollontaj ci svela che questa visione privata dell’amore è tipica della società borghese e dei suoi valori, e ci offre un’interessante analisi di come le diverse società hanno interpretato questo sentimento in modo differente a seconda delle epoche e delle necessità delle classi dominanti.
Così, se nell’antichità l’amore era visto come qualcosa di irrazionale e pericoloso mentre l’amicizia veniva esaltata come una virtù sociale indispensabile per la città, nel sistema feudale l’amore platonico del cavaliere per la sua dama irraggiungibile era esaltato poiché ispirava gesta eroiche e la fioritura di quelle virtù (coraggio, perseveranza, ardimento fisico…) che erano funzionali alla vita della nobiltà medievale e al mantenimento del suo potere.
Al tempo stesso, tuttavia, questo sentimento non era quello che si concretizzava all’interno del matrimonio, che era invece visto come il luogo in cui la dimensione fisica dell’amore trovava legittimità morale e sociale nella sua funzione procreatrice.
In epoca moderna, tuttavia, l’ascesa della borghesia ha prodotto un nuovo cambiamento della visione dell’amore come fattore sociale, mettendo al centro di tutto la famiglia e introducendo l’ideale del matrimonio d’amore, dove sentimento e sessualità coincidono.
Questo, secondo Kollontaj, perché
«Con l’instaurazione dei rapporti capitalistici e con l’insediamento della società borghese, la sola famiglia solida poteva essere quella in cui, accanto alla buona amministrazione economica, esistesse una cooperazione di tutti i componenti della famiglia interessati all’atto di accumulazione delle ricchezze.» (1)
Con un approccio analitico tipico del materialismo storico, Kollontaj sostiene che siano le ragioni materiali ed economiche dell’ascesa borghese a determinare una nuova visione dell’amore, che ha al suo centro l’identificazione di amore e matrimonio, totalmente assente dal mondo antico e medievale.
«Coscienti che per consolidare la famiglia (l’unità economica che forma la base della società borghese) occorreva una stretta intesa tra tutti i suoi membri, gli ideologi rivoluzionari della borghesia in ascesa produssero un nuovo ideale morale dell’amore: l’amore che unisce in sé due principi, l’uno carnale, l’altro morale.» (2)
L’amore borghese, che vede nel matrimonio eterosessuale il suo solo spazio di realizzazione, è fonte di molti conflitti interiori, perché la rigida morale che lo norma non tiene conto della caratteristica complessità di questo sentimento, che non si presta a essere espresso completamente e con soddisfazione all’interno di un solo rapporto.
Con lucidità Kollontaj analizza invece il carattere “multiforme e multicorde” dell’amore, che si rivolge al tempo stesso a persone diverse per aspetti differenti, e non può essere ridotto a un sentimento assoluto e totalizzante che proviamo per un individuo soltanto.
Secondo la sua visione, l’amore è invece una fitta rete di connessioni tra individui che ben si presta a fare da collante a una società fondata sull’uguaglianza, specialmente se lo consideriamo come la fonte della solidarietà, che per l’autrice è la pietra fondante di questa nuova visione etico-politica.
In questo caso però, l’amore deve essere fondato su tre principi basilari, lontanissimi dalla declinazione borghese. Questi sono:
« 1. Uguaglianza reciproca (nessuna predominanza maschile né schiavitù e annullamento della personalità della donna nei rapporti d’amore).
2. Riconoscimento reciproco dei diritti dell’altro, il che esclude la pretesa di possedere interamente il cuore e l’anima del partner (sentimento di proprietà creato e conservato dalla cultura borghese).
3. Sollecitudine da compagni, attitudine ad ascoltare e comprendere i moti dell’animo dell’essere caro (la cultura borghese esigeva questa sollecitudine nell’amore unicamente da parte della donna).» (3)
Difficilmente si potrebbe sostenere che quanto scritto in questi tre punti non sia ancora di straordinaria attualità.
L’importanza della reciprocità, la critica alla visione dell’amore come possesso, l’importanza dell’ascolto sono ancora questioni che nel 2022 ci appaiono rilevanti quanto dovevano esserlo nel 1923, nonostante gli innegabili cambiamenti che la società ha attraversato da allora.
(1) A. Kollontaj, Largo all’Eros alato, in A. Kollontaj, Amore e rivoluzione, Roma, Red Star Press, 2017, p. 59.
(2) Ibidem.
(3) Ivi, p. 71.
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