Qual è il significato metafisico della menzogna? Se da un punto di vista epistemico è chiaro che mentire altera il processo di comprensione della realtà, la tendenza a dire bugie cosa rivela in generale sull’essere umano?
Da un punto di vista psicologico, riprendendo l’analisi che Martha Nussbaum traccia in uno dei suoi più famosi testi (1), la vergogna risale ai primi anni di vita, quando la dipendenza del neonato dalle cure genitoriali lo rende consapevole della propria vulnerabilità e della necessità di un aiuto esterno che soddisfi i più elementari bisogni. Il senso di frustrazione che deriva da tale impotenza è così forte che l’individuo sente la necessità di liberarsene, addossando questa fragilità a qualcun altro.
Questo processo di espiazione avviene attraverso il concetto di normalità: la società crea dei canoni precisi e coloro che divergono da essi vengono esclusi e considerati abietti o deboli.
Quindi, da un lato c’è il gruppo maggioritario che, almeno superficialmente, si convince di essere forte e indipendente perché si comporta in un modo che la società reputa “buono e giusto”; dall’altro c’è una ristretta minoranza afflitta da un forte senso di vergogna perché non aderisce agli standard imposti.
Proprio la possibilità entrare a far parte del secondo gruppo, spiega la difficoltà ad aprirsi totalmente agli altri: il timore di essere giudicati per quello che si è o non si è, impedisce di rivelare la propria reale natura, ostacolando la creazione di legami emotivamente maturi e stabili. La preponderanza che la vergogna ha nella costruzione delle relazioni sociali, ha spinto a lungo la riflessione etica ad attribuire modesta importanza a questa emozione, ritenuta poco nobile e di certo non virtuosa.
Aristotele dice che essa deriva dalla “paura dell’ignomia” (2), quindi al massimo potrebbe essere considerata una forma di prudenza. Infatti, se la vergogna si origina dal timore di essere giudicati male dagli altri per l’incapacità di aderire a regole civili tradizionalmente affermate, essa altro non è che un meccanismo autoprotettivo che impedisce al soggetto di essere pubblicamente leso rivelando il vero sè. Questo accade anche quando l’individuo che si vergogna non condivide il giudizio delle persone che lo circondano. Ad esempio, nel fare coming out la rivendicazione del proprio orientamento sessuale va spesso di pari passo con il timore di essere criticati per un aspetto fondamentale che non è in alcun modo moralmente rilevante.
Nel panorama contemporaneo, segnato dai trentenni derisi perché vivono ancora a casa e da un arrivismo famelico e competitivo, è emersa un genere di vergogna particolare: quella di chi non ha ancora ben chiaro chi è e cosa vuole fare.
Proprio in tal proposito, Niente di vero (3), pubblicato da Veronica Raimo quest’anno e vincitore del Premio Strega Giovani 2022, è un testo illuminante pur non essendo un saggio o un trattato filosofico. Si tratta di un’autobiografia la cui caratteristica peculiare è la capacità dell’autrice di sottrarsi ad ogni possibilità di svelamento. Nel raccontare la propria vita Veronica Raimo accenna, non rivela e ironizza anziché illustrare con chiarezza al lettore. L’autrice chiama in causa la pigrizia per giustificare questo comportamento schivo, ma la vergogna è un’ipotesi più convincente, in particolare proprio questa vergogna new age che caratterizza la società odierna. Emblematico è il momento in cui l’autrice immagina la madre, incapace di riconoscere la fisionomia della figlia, in una situazione tragicomica, quella di dover riconoscere la sua salma:
Mentre immaginavo mia madre di fronte a quel dilemma impossibile, desideravo soltanto, con tutta me stessa, che si togliesse al più presto dall’impaccio.
«Ma sì, dài, facciamo che è lei» .
Ed è così che mi sento in ogni istante della mia vita: ma sì, dài, facciamo che sono io. (4)
Ci vergogniamo perché non abbiamo ben chiaro il nostro posto nel mondo e perché un’etichetta precisa non basta per definirci (come potrebbe?).
Siamo entusiasti ma stanchi, desiderosi di un lavoro stabile ma alla continua ricerca di sfide, bisognosi di affetto ma accecati dal rancore… probabilmente siamo tutte queste cose insieme, ma l’esigenza di restituire una visione perfettamente coerente della nostra personalità ci spinge a mentire, elaborando un’immagine alterata che sia per noi più edificante e consolatoria e per gli altri più semplice da comprendere:
La maggior parte dei ricordi ci abbandona senza che nemmeno ce ne accorgiamo; per quanto riguarda i restanti, siamo noi a rifarli di nascosto, a spacciarli in giro, a promuoverli con zelo, venditori porta a porta, imbonitori, in cerca di qualcuno da abbindolare che si abboni alla nostra storia. Scontata, a metà prezzo. (5)
Ma se la vergogna ostacola la libera espressione, come fare per stringere legami autentici?
La soluzione proposta da Raimo sta tutta nel suo mestiere: raccontare storie, sperando di trovare un interlocutore sufficientemente acuto da cogliere il reale significato di battute apparentemente insensate e di gesti che sembrano casuali. Scorgere la verità dietro la maschera è un lavoro faticoso, ma possiamo allenarci a farlo proprio leggendo, giacché, come scrive l’autrice, il bello della letteratura è che «si rivela sempre un pretesto per parlare d’altro» (6).
(1) M. Nussbaum, Nascondere l’umanità. Il disgusto, la vergogna, la legge, tr. it. C. Corradi, Carocci Editore, Roma 2005.
(2) Aristotele, Etica Nicomachea, Volume I, IV 15, 1128b, trad. it. di M. Zanatta, Rizzoli, Milano 1986, p. 317.
(3) Veronica Raimo, Niente di vero, Giulio Einaudi Editore, Torino 2022.
(4) Ivi., p. 148.
(5) Ivi, p. 161.
(6) Ivi, p. 162.
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