Ha senso al giorno d’oggi sdraiarsi sul lettino dellə psicanalista? La psicoanalisi è un insieme di teorie che producono una prassi omofoba e eteronormativa ormai superata? Fabrice Bourlez nel suo Queer psiconalisi, edito da Mimesis Edizioni nel 2022, prende seriamente in considerazione le argomentazioni di chi risponde affermativamente a queste domande.
Dopo attente considerazioni però l’autore, filosofo e psicoanalista, riesce a fornire argomentazioni valide per chi ancora intende sdraiarsi sul lettino. Bourlez sostiene che vale la pena tentare una rifondazione, tanto teorica quanto della prassi di questo approccio terapeutico, poiché «l’esperienza della psicoanalisi è unica. Alleggerisce dal peso dell’essere» (1).
Bourlez parte accogliendo le critiche che i gender e queer studies hanno rivolto alla psicoanalisi poiché solo riconoscendo che queste colgono nel segno se ne può ravvivare la pratica.
Farlo è diventato una necessità dato che la sessualità e il modo di relazionarsi tra individui sono in continuo mutamento e i concetti di mascolinità, femminilità, maternità, paternità si sono rivelati costrutti sociali in permanente evoluzione. Nel fervente clima culturale degli ultimi decenni la psicoanalisi è stata perciò molto spesso additata come istanza stigmatizzante che condanna i cambiamenti della società riguardo l’amore, la genitorialità e il corpo anziché accompagnarli, e non solo per il suo apparato concettuale, ma anche per l’atteggiamento dei suoi professionisti.
Cosa fare dunque per salvare la psicoanalisi?
Bourlez distingue tra una clinica maggiore e una clinica minore rifacendosi alla distinzione già operata da Deleuze e Guattari in riferimento all’uso della lingua in letteratura. La lingua maggiore è quella che fissa uno standard che dall’alto regolamenta gli enunciati dei parlanti, al di là di qualsiasi contesto o variante, imponendosi come “forma di dominazione” vera e propria che orienta il discorso in senso conservativo della tradizione. La lingua minore è invece quella che ambisce a rivoluzionare lo status quo e tutte le possibili variabili all’interno della lingua, ricucendo il rapporto tra l’enunciazione, il soggetto e la sfera politica.
«Attraverso il loro uso minore, quelle e quelli generalmente destinati al silenzio si riappropriano di un campo d’espressione, mettono in ebollizione la lingua e le sue regole per farle dire quello che non era ancora mai stato in grado di pensare» (2).
Partendo da queste considerazioni, Bourlez ci invita a pensare similmente a una clinica maggiore e una minore.
La prima è la psicoanalisi rimasta alla Vienna dell’inizio del secolo scorso che moraleggiante si erge a condannare gli stili di vita di chi abita al di fuori della coppia bianca eterosessuale, una clinica “di obbedienza” che evita di interrogarsi sulle conseguenze politiche della sua prassi. Su questo aspetto pone fortemente l’accento invece la clinica minore, disobbedendo al dogma e mettendo in discussione l’Edipo, il fallo, la castrazione per cercare di comprendere quali effetti normativi tali dogmi siano in grado di creare.
«La clinica minore si sforzerebbe di minare le certezza della clinica maggiore. Le disseminerebbe, la devierebbe dalle strade battute» (3).
Forte di questa distinzione Bourlez prende quindi ad esaminare quella che chiama “Tetrapode zoppicante”.
Edipica, omofoba, eteronormativa e incentrata su una visione binaria: questa è la visione della psicanalisi che emerge dalle critiche principali che le vengono rivolte dai suoi detrattori o da chi ne ha tentato una rilettura. Ognuna di queste critiche trova spazio di trattazione in un capitolo perché l’autore non le dismette semplicemente, anzi le accoglie abbracciandone la fondatezza. Bourlez si interroga inoltre sulla figura stessa dell’analista e del suo orientamento sessuale a partire dal proprio coming out e dalla rilettura di alcuni passi di Freud, mostrando come il padre della psicoanalisi avesse messo in questione non solo l’origine dell’omosessualità, ma anche quella dell’eterosessualità stessa.
La psicoanalisi non può essere abbandonata perché è essa stessa queer e profondamente sovversiva.
La pratica freudiana dalla sua nascita suscitò subito molte critiche perché era considerata strana e bizzarra (4). Teorizzava una sessualità polimorfa, l’importanza del piacere e del desiderio nelle nostre vite e l’inafferrabilità dell’inconscio. Per Bourlez la teoria freudiana anticipa la rivoluzione sessuale:
«senza di lei le vostre grida sarebbero rimaste dei sussuri. C’è del queer nella psicoanalasi, dell’inquietante, del bizzarro, dell’indomito, della fierezza. c’è del queer nella libera associazione, nei sogni, in ciascuna delle maniere in cui i nostri corpi godono di se stessi. C’è del queer nella pulsione» (5).
Infine, la psicoanalisi va salvata perché
«al contrario delle altre pratiche terapiche del campo della salute mentale, l’analisi non riabilita al buon funzionamento. (…) resta uno dei rari luoghi – forse l’unico – in cui il soggetto è autorizzato a rispondere alla sua difficoltà di essere in maniera autenticamente singolare» (6).
L’analisi non mira a incasellare l’individuo in standard dettati dalla società, ma intende ricostruire tramite le parole, i sogni, l’inconscio quali sono le nostre paure più profonde e i nostri desideri più veri, a individuare le resistenze che ci impediscono di realizzarli avvicinandoci al nostro essere. Per questo la difesa puntuale, ragionata e estremamente ben argomentata che ne fa Bourlez a volte appare, come ammette egli stesso «più un grido che un ragionamento», perché la psicoanalisi può essere veramente il luogo adatto per accogliere chi vive ai margini.
Quello che Bourlez propone è quindi un lavoro di “traduzione culturale” tra le teorie dei queer studies e la psicoanalisi, per non riprodurre l’oppressione e la discriminazione anche all’interno della relazione terapeutica e fornire un nuovo orientamento alla clinica.
«Mi è parso necessario fare un po’ di stretching teorico e clinico per accogliere i balli dei popoli minori. Le loro coreografie non smettono di reinventare i passi della cura» (7).
F. Bourlez, Queer psicoanalisi, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2022.
Grazie a Mimesis!
(1) F. Bourlez, Queer psicoanalisi, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2022, p.8.
(2) Ivi. p. 18.
(3) Ivi. p. 21.
(4) La parola “queer” in inglese significa “strano, eccentrico” e denotava in modo dispregiativo persone con una sessualità non binaria o orientamenti sessuali non eterosessuali. Proprio tale comunità però si è riappropriata negli ultimi decessi e ha fatto di questo termine una bandiera in cui identificarsi.
(5) Bourlez, Queer psicoanalisi, Mimesis edizioni, Milano – Udine, 2022, p. 14.
(6) Ivi. p.34.
(7) Ivi. p. 182.
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