Mai dati

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Mai dati

C’è chi si lamenta perché sembra non si parli che di aborto, negli ultimi tempi.

Eppure, di aborto non si parla mai abbastanza. Se ne scrive dal punto di vista laico, dal punto di vista religioso – dove religioso sta per cattolico -; si susseguono narrazioni più o meno stereotipate che vogliono vincolare i corpi a cui rispondono a gran voce quelle che, invece, lottano per liberarli.


Tra queste, ce n’è una che sembra particolarmente difficile da affrontare: quella pragmatica, basata sui dati. Perché? Perché i dati non ci sono. O, dove sono presenti, sono nebulosi, lacunosi, fuorvianti.


Un esempio vero: come può essere utile un numero che mi dice quanti ospedali non hanno un reparto IVG se non si sa quali siano?

Questa la ragione del calzante titolo Mai dati, scritto da Chiara Lalli e Sonia Montegiove e edito da Fandango. Sottotitola: Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere

Le autrici si sono imbarcate in un’impresa tanto indispensabile quanto titanica: chiedere alle singole strutture sanitarie dello Stato i dati necessari a comprendere la reale applicazione della legge 194. E dunque: quanti ginecologi sono presenti nell’ospedale? Quanti sono obiettori? Quanto è effettivamente accessibile il servizio di Interruzione Volontaria della Gravidanza? Dove? Con che modalità? Quali giorni della settimana, a che ora, assistitə come? Quanti non obiettori eseguono davvero le interruzioni?

Perché quando ci si trova nella situazione concreta di voler abortire spesso è una corsa a ostacoli, oltretutto contro il tempo: destreggiarsi tra ospedali in cui tutti i medici sono obiettori (o dichiarati tali), orari non definiti, impossibilità di scegliere tra aborto chirurgico e medico, disinformazione, spostamenti che costano rischia di portare a una scelta forzata. Se si riesce ad accedere al servizio, è dietro l’angolo il pericolo di essere ignoratə nello stato d’animo – sia esso gioioso o triste – ed essere sistematə casualmente nei pressi di chi partorisce o di essere seguitə da personale che impone il senso di colpa.


Quindi la cosa più utile sarebbe avere accesso semplice a un database aperto che ci dica dove, come e quando. Una bella mappa digitale, che nel 2022 non sarebbe di certo operazione impossibile.


Già al principio ci si scontra con una montagna: se si contattano le Asl, una minima percentuale risponde. Molte di quelle che rispondono forniscono dati approssimativi e di poca utilità, si invoca impropriamente la privacy, si gioca sull’assenza di leve normative che obblighino le pubbliche amministrazioni alla trasparenza. 

In teoria dovrebbero essere raccolti periodicamente dati aggiornati, essere trasmessi dalle regioni al Ministero e pubblicati anno per anno; il testo approfondisce ciò che davvero accade, con quanto ritardo e che cosa, alla fine, ci troviamo ad avere in mano: informazioni generiche, inutilizzabili.

«I dati pubblici sono un bene comune e una risorsa del Paese in grado di produrre valore migliorando i servizi […]. Eppure, se si cerca una informazione semplice, come per esempio l’elenco delle strutture ospedaliere che praticano l’interruzione volontaria della gravidanza, si scopre che l’elenco sul sito del Ministero della salute non c’è» (1). 

C. Lalli, S. Montegiove, Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere, Fandango, Roma, 2022.




(1) C. Lalli, S. Montegiove, Mai dati. Dati aperti (sulla 194). Perché sono nostri e perché ci servono per scegliere, Fandango, Roma, 2022, p. 32.