All’incirca un mese fa ha fatto parlare di sé tutta Italia il caso di Carlotta Rossignoli, una giovane laureata in anticipo in medicina con 110 e lode, modella e influencer (1).
L’Italia si è divisa nei confronti della vicenda, come purtroppo spesso accade, in due fazioni rigide e feroci: una si è scagliata contro di lei e una l’ha lodata. Quest’ultimo gruppo ha preso la ragazza come paladina del merito, concetto che spesso in Italia pare vago e lontano e che non sempre viene coltivato e rispettato. Detrattori e detrattrici di Carlotta, invece, hanno fatto emergere una serie di retroscena per dimostrare come il suo talento non sia frutto di impegno e bravura, ma piuttosto delle possibilità economiche della famiglia, che le avrebbe permesso di ricevere trattamenti particolari e di avere possibilità (scuole di alto livello, viaggi, ecc.) che altrə non hanno avuto.
Insomma, il caso di Carlotta ha rimesso in discussione i concetti di merito e meritocrazia.
Uno tra ə primə a parlare di merito fu lo stesso Aristotele che, però, subito riconobbe la problematicità di tale termine tanto da scrivere: «Tutti infatti concordano che nelle ripartizioni vi debba essere il giusto secondo il merito, ma non tutti riconoscono lo stesso merito, bensì i democratici lo vedono nella libertà, gli oligarchici nella ricchezza o nella nobiltà di nascita, gli aristocratici nella virtù» (2).
Insomma, anche il grande filosofo si rese conto dell’impossibilità di definire univocamente tale nozione. D’altronde, pensateci, che cos’è per voi il merito? È l’impegno o il talento naturale? Dipende dall’intelligenza o dal carattere e dalla costanza? Ci sono persone meno intelligenti, ma che studiano, lavorano e fanno tantissimi sforzi per riuscire nella scuola, nella carriera e nella vita; mentre ad altre basta poco, perché hanno dalla loro un ingegno innato.
Insomma, trovare una definizione universale di merito pare cosa infattibile. Riflettendoci, non si coglie bene quale sia il fulcro, il concetto chiave attraverso il quale designare cosa sia il merito.
Da ciò dipende, quindi, anche la spinosità del concetto di meritocrazia, che perde di senso: come può essere concepibile un paese governato su un principio che sfugge alla nostra comprensione?
Un’ulteriore complicazione al tema del merito dipende dall’impostazione e dalla natura della nostra società. Il capitalismo si fonda sulla necessità di accumulare capitale e le azioni di tutti dovrebbero tendere proprio a ciò. In un mondo di questo tipo, la persona meritevole è una persona di successo, che contribuisce a tale idea di società e che riesce in modo eccellente a farlo.
Si viene a creare, però, un utilizzo distorto del merito che perde il proprio connotato morale per divenire qualcosa di misurabile e standardizzabile. Il problema di questo uso è che chi non guadagna abbastanza, chi fallisce in qualcosa, chi non si laurea in tempo – se non addirittura in anticipo! –- diviene meno meritevole, indipendentemente da chi è, da cosa ha fatto, da quanto si è impegnato, da quale punto è partito.
Questa idea di merito, quindi, è soffocante, ansiogena, esclusiva ed escludente.
Non considera il fatto che non siamo tuttə specialə, non siamo tuttə super-bravə, super-bellə e super-intelligentə. Non considera che non siamo tuttə diversə. Il merito non deve normalizzare e normare, rendendoci tuttə ugualə, e nemmeno deve escludere chi non riesce a stare dietro agli standard altissimi che ci impone questa società senza scrupoli, o ne ha di differenti.
Insomma, la vicenda di Carlotta ha riportato l’Italia a riflettere su una nozione che spesso nominiamo anche in discorsi comuni: «In Italia ci vuole più meritocrazia!» e forse è capitato a tutti – me compresa – di dire «è vero! Bisognerebbe premiare di più il merito». In quella frase, detta con leggerezza, c’è tutta la nausea causata da anni di corruzione, spintarelle, concorsi truccati, poltrone occupate da persone che non se lo meritavano.
Il caso di Rossignoli, in conclusione, ha riaperto una ferita sanguinante, che abbiamo cercato troppo a lungo di curare utilizzando, forse a sproposito, un concetto così delicato come quello di “merito”.
È vero, la sua definizione sfugge. Non solo, esso è divenuto soffocante e ci ha portato a sentirci fallitə se non riusciamo sempre perfettamente in tutto. Non è, però, un termine completamente da buttare: dobbiamo solo prenderlo e adattarlo ad ognuno di noi.
Rendiamo il merito più inclusivo e sottraiamolo alle logiche capitalistiche: allora forse così questa nozione acquisterà un senso.
(2) Aristotele, Etica Nicomachea, Bompiani, 2000, Milano,V, 1131a, 25 ss.
(3) https://youtu.be/dRolGQ3QJPE
(4) https://filosoficamentelab.com/che-cose-il-merito-prima-tappa-di-un-percorso-didattico-tematico/
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