Essere donne è stancante. Questo è un dato di fatto di cui tutte facciamo esperienza, perché un mondo sistematicamente patriarcale di certo non è fatto a nostra misura. Ma esiste un particolare tipo di stanchezza che i soggetti sessualizzati come donne devono affrontare, ossia quella che possiamo definire “peso intellettivo”.
Le teorie femministe che dagli anni Settanta in poi hanno indagato il lavoro domestico hanno ampiamente sottolineato come quello delle donne sia un lavoro nascosto, perché esso non viene riconosciuto come tale (1).
Questo lavoro nascosto, però, non prevede solo il prendersi cura della casa o della famiglia in senso fisico, ma anche, appunto, il peso intellettivo di cui sopra.
Nel contesto della famiglia nucleare standardizzata, le donne si fanno carico di tutta una serie di preoccupazioni che occupano la loro mente, togliendo tempo a molto altro (2). Queste preoccupazioni coprono un range che va dalla necessità di prenotare le visite mediche all’elaborazione della lista della spesa, fino al cosiddetto “lavoro emozionale”, che ha invece a che fare con il preoccuparsi costantemente dei sentimenti altrui.
Questo peso cognitivo, che talvolta coincide con l’emotivo, non entra in gioco solo entro le relazioni familiari. Difatti, avere un’aumentata consapevolezza del funzionamento fallace del mondo fa sì che quotidianamente le donne debbano sobbarcarsi una serie di discorsi che sono decisamente pesanti e spesso limitanti per il libero fluire delle loro azioni. Chi è addentro alla teoria femminista o alle idee che da essa vengono divulgate riesce a cogliere anche nei piccolissimi gesti l’egemonia del patriarcato che è totalizzante. Di conseguenza, la realtà ricorderà costantemente a questa persona tutto ciò che di negativo esiste.
Soprattutto, di solito le donne che hanno fatto su di sé un lavoro di decostruzione si caricano anche dal lavoro di estendere le loro consapevolezze a chi gli sta attorno.
Per questo sono loro, nella quotidianità di tutti i giorni, a caricarsi di fornire spiegazioni sui meccanismi sottesi alla società, quando qualcuno di loro conoscenza inciampa in atteggiamenti oppressivi o semplicemente dannosi perché conniventi con tutto ciò che il femminismo combatte.
Bisogna sottolineare che questa iper-consapevolezza, che si traduce in una iper-responsabilità, può essere applicata a tutti i soggetti marginalizzati, non solo alle donne, in quanto soggetti che fanno esperienza di una oppressione sotterranea che è nel loro interesse rendere manifesta. Qui si è parlato della prospettiva femminile esclusivamente perché questo è il posizionamento da cui muove chi sta scrivendo. In ogni caso, è necessario riconoscere che esiste chi, in società, deve sempre tenere a mente qualcosa in più e soprattutto lavorare di più rispetto a chi è invece in una posizione di privilegio. Iniziare a rendersene conto potrebbe renderci di maggiore supporto per chi ne ha bisogno, a causa del “lavoro invisibile”.
(1) S. Federici, Genere e capitale. Per una rilettura femminista di Marx, DeriveApprodi, 2020.
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