All the lonely people
Where do they all come from?
All the lonely people
Where do they all belong? (1)
Recita così il ritornello di Eleanor Rigby, celebre brano dei Beatles, uscito nel 1966. Il testo della canzone rende centrale il tema della solitudine, di cui mette in rilievo alcuni aspetti caratteristici, come il senso di esclusione, la lontananza dall’altrə, il desiderio perenne di contatto che induce la mente a elaborare vane illusioni.
Parlare di solitudine oggi vuol dire misurarsi con una questione molto sentita.
In una società sempre più individualista, reduce da una pandemia che ci ha costrettə a mesi di isolamento forzato, sentirsi solə e patire l’assenza di rapporti umani solidi è un fenomeno più comune di quello che si penserebbe. Paradossalmente, la condivisione di tale senso di solitudine può rappresentare il punto di partenza per risolvere questo malessere diffuso, ma non sempre si è dispostə ad aprirsi e confrontarsi su argomenti così delicati. Forse ciò avviene poiché la nostra cultura condanna la solitudine, vedendola come un fallimento sul piano personale e sociale: preferiamo, quindi, non esternare il disagio che proviamo, pur di non sentirci in difetto.
Spiegare in breve cosa sia la solitudine non è semplice: essa può riferirsi a uno stato concreto, dove l’individuo si trova oggettivamente solo, ma anche a uno interiore – uno stato d’animo, per l’appunto.
Per rimarcare le numerose sfumature di questo sentimento, la studiosa Fay Bound Alberti definisce la solitudine come un «emotion ‘cluster’», ovvero uno spettro di emozioni che oscilla dalla rabbia al risentimento, dal dolore alla gelosia, dalla vergogna fino anche all’autocommiserazione (2).
Data la sua essenza ambigua, la solitudine può manifestarsi in diversi modi. Alcune ricerche di psicoanalisi tengono a distinguere tra una «solitudine depressiva» e la sua forma opposta, la «solitudine evolutiva» (3). Nel primo caso, ci troviamo di fronte a un sentimento infelice, dove il soggetto mostra una visione negativa del mondo, dovuta alla scarsa stima di sé e alla sfiducia nelle proprie capacità. Nel secondo caso, invece, la solitudine viene vissuta come occasione per conoscersi meglio.
In questa seconda declinazione, è un sentimento positivo, mediante cui è possibile instaurare un rapporto più sincero con sé stessə, rifugiandosi dalle angustie e dalle pressioni della realtà esterna. Intesa in questi termini, la solitudine può essere un’opportunità significativa di crescita personale, che ci permette di ascoltare e riconoscere i nostri veri bisogni.
Al di là delle sue numerose sfaccettature, la solitudine è una condizione che investe sia il corpo sia la mente e può assumere un valore simbolico, soprattutto nel momento in cui esprime un nuovo orientamento nelle scelte di vita di una persona e, in quanto opzione volontaria relativa al proprio personale, quindi soggettivo, progetto, è bisognosa di rispetto anziché di giudizio.
È opportuno ricordare, però, come la solitudine non sia sempre una decisione o una via intrapresa per distaccarci da una realtà che sentiamo incompatibile con le nostre esigenze esistenziali.
La solitudine può essere anche uno stato che subiamo nostro malgrado, in contrasto con il nostro desiderio di socievolezza, e può portare a una profonda sofferenza.
In questo contrasto di luci e ombre, possiamo considerare la solitudine come un sentimento universale, che può sfiorare appena oppure attraversare con forza la vita di un individuo. Essa può aggravarsi a causa di fattori esterni di grande impatto, come quelli economici e sociali. Se non altro, però, non tutti i momenti di solitudine possono risolversi in esiti tristi: talvolta, è pur sempre possibile scrutare in essi un qualche significato che rappresenti un valore aggiunto alla nostra esistenza.
(1) The Beatles, Eleanor Rigby, 1966.
(2) Cfr. F.B. Alberti, A biography of loneliness, Oxford University Press, Oxford, 2019, p. 6.
(3) Cfr. A. Musi, Storia della solitudine. Da Aristotele ai social network, Neri Pozza, Vicenza, 2021, p. 8.
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