Chi ha studiato Estetica all’università ha avuto a che fare almeno una volta nella vita con Immanuel Kant.
Chi ha studiato Estetica all’università ha – quasi sicuramente – grandi dubbi e perplessità in merito al concetto di bellezza.
Chi ha studiato Estetica all’università prova un po’ di prurito interiore quando sente parlare di “bello”.
Dopo pagine e pagine di analisi e studio sulle idee di bellezza, piacere e gusto, certe idee che ci sembravano in un certo senso scontate vengono rimesse in discussione.
Esiste qualcosa di universalmente “bello”?
La bellezza attraversa tutta la vita che ci circonda ed è qualcosa che ci riguarda direttamente, in modo intrinseco e profondo, anche quando non ci stiamo pensando e nonostante lo stereotipo ancora molto diffuso secondo il quale occuparsene sia frivolo e superficiale. Siamo abituatə a fare riferimento alla nostra idea di gusto, personale e culturale, e tendiamo ad ignorare completamente o a respingere tutto ciò che da essa di discosta, sia qualcosa che accade in una cultura lontana o anche solo nella porta accanto.
Per chiunque ami farsi trasportare dalle curiosità della storia umana, Il bello che piace di Cristina Cassese (edito da Enrico Damiani Editore) è una piccola chicca.
Un gioiellino in tutti i sensi, che ci porta alla scoperta – tramite l’analisi di strumenti di bellezza – di pensieri, esperienze e storie ricche di sapere.
L’approccio con cui l’autrice riesce a trasmettere la passione e la curiosità per oggetti e concetti di uso comune è spiazzante: senza perdersi in pomposi giri di parole, al termine della lettura ci si sente inevitabilmente più ricchə e curiosə.
Nello scrivere questo articolo, sarebbe molto interessante riportare qualche aneddoto, regalare almeno un esempio di uno dei tanti momenti di “ma dai!” provati leggendo Il bello che piace, ma questo toglierebbe inevitabilmente l’effetto sorpresa che si riesce a gustare riga dopo riga e che è uno dei molti piaceri nell’approcciare questo saggio.
Abbiamo aperto questa recensione parlando di Estetica Filosofica, una disciplina estremamente diffusa nelle facoltà di Filosofia, proprio perché è lo stesso incipit da cui prende forma questo libro.
«Per alcuni anni ho insegnato Lettere in un Istituto di Formazione Professionale e durante i primi mesi di lavoro mi capitò un episodio curioso. Chiamai la segreteria di un museo di arte contemporanea per concordare una visita guidata con una delle mie classi. La persona che si occupava delle prenotazioni mi chiese che tipo di Istituto fosse: «è una classe di Estetica», risposi. «Estetica? Ma allora sono studenti di Filosofia?», domandò la centralinista. «No», replicai, «sono studentesse di Estetica nel senso che studiano per diventare estetiste».»(1)
Il saggio di Cassese si propone proprio di creare un ponte tra questi due mondi che sembrano lontanissimi: da un lato quello di chi si occupa professionalmente della bellezza e della cura del corpo altrui, dall’altro quello di chi discute di bellezza e gusto in senso filosofico.
Contrariamente a quanto pensiamo, questi non sono universi divisi e incomunicabili, ma modi diversi di vivere e studiare questioni fondamentali per la nostra vita e il nostro benessere. L’autrice ce lo dimostra proponendoci riflessioni mai pesanti o banali che, anzi, tengono letteralmente incollatə alle pagine, riga dopo riga, svelandoci come l’antropologia sia una disciplina estremamente orizzontale e stupefacente.
E tu lo sai perché si dice che rompere uno specchio porta sfortuna o perché i filosofi hanno la barba?
Grazie a Enrico Damiani Editore!
(1) p.7
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