Che non si nasca donna, ma che lo si diventi è un presupposto fondativo del discorso femminista.
La risposta più immediata rispetto a chi produce e definisce la Donna è naturalmente l’Uomo, inteso come referente primario e universale del discorso storico-culturale.
È nel clima mutato dalle due guerre mondiali, sul frastuono delle lotte operaie e studentesche del lungo ’68, che il femminismo inizia a uscire dal terreno politico della rivendicazione dell’uguaglianza, rivelatosi insufficiente su ogni fronte sociale, per battere ora una strada separata e di assoluta rottura.
Il congedo radicale dall’universalismo maschile e lo smascheramento di tutta la sua parzialità nell’occultare rapporti di dominio sessualmente determinati viene compiuto in Italia dalle donne di Rivolta Femminile, di cui Carla Lonzi è sicuramente la voce più nota.
Il manifesto fondativo del collettivo pubblicato nel 1970 sancisce chiaramente questo punto di rottura definitivo con la cultura maschile, che ha teorizzato per millenni l’inferiorità della donna facendola apparire come naturale.
Se dietro ogni ideologia e produzione filosofica si cela una chiara gerarchia tra i sessi, è attraverso l’esperienza storica femminista che «la donna si è manifestata interrompendo per la prima volta il monologo della civiltà patriarcale» (1): la sfida è quella di riscrivere l’altra metà della storia. Quella in cui il soggetto è vittima di una mutilazione che viene perpetuata attraverso le istituzioni quali la legge e il diritto e attraverso il principio di uguaglianza che, sancendo l’equa ripartizione del potere e della sua disponibilità, in realtà si impone come omologazione forzata alle condizioni di esistenza e continuità nel tempo di un potere fatto su misura per l’uomo.
È un taglio netto quello operato da Lonzi, che prende provocatoriamente forma nello scritto Sputiamo su Hegel:
«L’oppressione della donna non si risolve nell’uccisione dell’uomo. Non si risolve nell’uguaglianza, ma prosegue nell’uguaglianza» (2).
Al mondo della sopraffazione legalizzata dell’uguaglianza si contrappone una lotta portata avanti da chi ha fatto esperienza della sconfitta e dell’oppressione e che vede nella differenza il principio di svalutazione globale del potere maschile.
Prendere Hegel come bersaglio polemico ha quindi un grande significato simbolico: Hegel esclude dalla dialettica servo-padrone, massimo momento di lotta per il riconoscimento e la presa di potere, il dissidio uomo-donna che viene presentato come un dato naturale, così che egli razionalizza, «più insidiosamente degli altri» (3), il potere patriarcale su presunta base metafisica naturale che prevede tanto l’opposizione quanto la riunificazione dei sessi.
Da un lato, infatti, la donna è incastrata nella sua essenza privata e ferma allo stadio della soggettività e dell’immanenza; dall’altro, è condizione di esistenza dell’universale e della trascendenza, nella misura in cui il suo destino è dettato dalla sua funzione procreatrice.
Risulta problematica quindi la sua esclusione dalla sfera pubblica: quella che Hegel definisce “eterna ironia della comunità” diventa allora per Lonzi il Soggetto Imprevisto dal monologo della società patriarcale, che si introduce nel mondo maschile «per rompere la continuità storica del protagonista» (4) in un processo di svalutazione globale.
Esclusa dalla dialettica servo-padrone, la figura della donna si spinge quindi ben oltre rispetto al principio rivoluzionario incarnato dal servo, nella misura in cui a essere in gioco non è più una lotta per la presa del potere: il traguardo finale della lotta al sistema patriarcale è la dissoluzione del potere stesso e della sua produzione storica.
Affermare che «la donna non va definita in rapporto all’uomo» (5) e vedere nella sua oppressione la radice di ogni forma di gerarchia significa quindi contestare l’omologazione patriarcale della sua differenza al dominio maschile e di conseguenza confutare l’essenza privata determinata dalla sua funzione procreativa e giustificata filosoficamente nella Fenomenologia dello Spirito di Hegel.
D’altra parte, però, la definizione separatista della donna come soggetto imprevisto incarna una specifica differenza antropologica femminile, che sancisce la totale estraneità della donna dal potere e dall’aggressività connaturati alla figura dell’uomo, tracciando così la linea di divisione dei sessi sulla linea di una presunta differenza naturale.
Il rischio è di reiterare quel determinismo biologico che si vuole invece contestare, finendo per considerare a fatica l’invariante metastorica (ovvero la costante che attraversa tutte le configurazioni storiche) del dominio maschile come un fatto storico.
Nel seppellire l’universale politico maschile, Lonzi rischia di metterne al mondo un altro, che non è in grado di dar conto delle differenze interne e delle particolarità delle esperienze dei soggetti che vorrebbe rappresentare, finendo in una dimensione separata ma astorica e spoliticizzata.
Il contributo che Lonzi ha dato agli sviluppi teorico-politici del movimento femminista globale resta comunque innegabile: abbiamo sputato su Hegel, senza rimpianti per l’universale maschile che abbiamo congedato facendo valere la nostra differenza, ma quel monologo che ancora permane non può essere interrotto mediante un “semplice” gesto di sottrazione e separazione.
Ora si tratta di far valere questa differenza in un costante lavoro di storicizzazione che frantumi l’unità del concetto di uomo come referente del discorso, dando voce alla pluralità delle varie esperienze femminili fuori da ogni loro omologante congelamento essenzialistico.
- Carla Lonzi, Sputiamo su Hegel. La donna clitoridea e la donna vaginale e altri scritti, Milano, Edizioni Rivolta Femminile, 1974, p. 14.
- Ivi, p. 20.
- Ivi, p. 25.
- Ivi, p. 56.
- Ivi, p. 11.
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