Esiste una possibile relazione tra il femminismo intersezionale e il Festival di Sanremo 2024?
In particolare, con l’esibizione del rapper napoletano Geolier con la sua I p’ me, tu p’ te e Italiano vero cantata da Ghali durante la serara dedicata alle cover?
Assolutamente sì. Ma andiamo con ordine.
Già dalla conferenza stampa di apertura del Festival, tenuta da giornalistə e direttore artistico della competizione canora più seguita in Italia, è emersa una certa controversia riguardo alla partecipazione dell’artista Geolier e del suo pezzo inedito cantato (quasi) interamente in napoletano.
Una delle ragioni, e lo si intende dalle domande della sala stampa (1), riguarda il testo di I p’ me, tu p’ te, e della sua inammisibilità al Festival per il fatto di esser scritta totalmente in napoletano. Appare interessante notare l’attenzione alla questione dato che, ripensando alla storia del Festival, non è la prima volta che a Sanremo vengono presentate canzoni in dialetto o più precisamente in dialetto del Sud Italia (ma anche del Nord). Basti ricordare nel 1999 Nino D’Angelo con Senza giacca e cravatta o, nel 2014, Rocco Hunt con Nu journo buono.
Allora come mai tutta questa indignazione? Si tratta per caso di antimeridionalismo?
La mia risposta è sì. E a confermarlo non sono solo le decine di commenti di odio in rete, ma, più in generale, l’idea che Geolier presenta di sé e di Napoli.
La presenza del rapper napoletano al Festival 2024 è controversa perché Geolier non rappresenta il solito stereotipo del “buon selvaggio”.
In poche parole, l’artista presenta se stesso come un rapper italiano di grande successo: ha una fanbase molto attiva, che va da Nord a Sud e che vanta una quantità di stream e di ascolti che lo posizionano tra i più seguiti al momento.
Lungi, infatti, da essere un personaggio marginale, non rappresenta quello che, nell’immaginario comune, è il solito “cantante napoletano”, colui che fa qualche hit estiva o è autore di una canzone neomelodica scritta per una piccola fetta di pubblico.
Questo rende l’artista un personaggio scomodo: con la sua presenza al Festival, rivendica spazio, lo stesso che ha già conquistato sapendo catturare l’attenzione del pubblico italiano ed estero, e lo fa senza scendere a compromessi.
La risposta a questa rivendicazione di spazio è stata ed è tutt’ora, come si può immaginare, un forte antimeridionalismo che dilaga soprattutto nei commenti e nei post social alle sue esibizioni, che non si limitano ad atti di odio in rete, ma che sono la manifestazione di un sentire comune e diffuso in Italia, e questo non va dimenticato.
Basta scrollare sui social e leggere frasi come “Non si capisce niente… questo dovrebbe essere il Festival della musica italiana”, “C’è bisogno del traduttore per capire la canzone”, “Ma canta in italiano che l’africano non lo capiamo”, o ancora “Hanno rubato i voti, hanno falsificato tutto”, “Così a Napoli spendono i soldi del reddito di cittadinanza” e così via.
Non si tratta, infatti, solamente di commenti effimeri, ma di dinamiche di potere interiorizzate che ə meridionalə vivono ogni giorno sulla loro pelle.
Questi, infatti, sono solo alcuni esempi di come si voglia riportare l’ “ordine”; si intende, cioè, rimettere Geolier (e con lui tutto il Sud Italia) al ruolo di subalterno, ladro, pigro, sciatto e improduttivo.
L’esibizione di Geolier, così come quella di Ghali – che a sua volta merita molto spazio a parte, ma ahimè non è in questa sede, altrimenti vi sottoporrei infinite pagine -, vanno lette nella stessa ottica e, in un certo senso, portano entrambe, seppur in modo diverso, lo stesso messaggio.
Entrambi si presentano, rivendicano la loro identità, il loro spazio, il loro modo di essere artisti italiani.
In poche parole, si rivendica un’alterità: nel caso di Geolier l’esistenza di un modo altro di intendere l’italianità, che va oltre il canone di bianco, nato e cresciuto al Nord, in quello che è considerato il centro produttivo dell’Italia; nel caso di Ghali l’esistenza di quella che è percepita come alterità negativa, straniera e quindi estranea, ma che si rivendica nella sua diversità come appartenente a un insieme ugualitario, o a quello che spera diventi un sistema non discriminante
Entrambe le performance hanno, volontariamente o meno, lo stesso ruolo: destabilizzare le dinamiche di potere.
Qui, si capisce, il legame con il femminismo intersezionale emerge in maniera leggibile.
Riconoscere e tracciare i contorni identitari di un’alterità, darle valore, reclamarla è ciò a cui il movimento intersezionale punta.
Come farlo? Cantando sul palco più guardato d’Italia è senz’altro un privilegio. Questo non toglie l’importanza di ciò che si sta affermando: che altri modi di intendersi italianə e artistə sono possibili. Geolier, Ghali, così come tantissimə altrə artistə – tra cui è importante sottolineare Big Mama, rapper e cantautrice italiana vicina alle istanze queer e di body positivity, e anche qui servirebbe un trattato – rivendicano il loro spazio, escono dal silenzio e dalla marginalità dei corpi e dei significati che abitano, e raccontano loro stessə, le loro storie.
Luce Irigaray, in Speculum, ci ha insegnato che niente fa più paura, ad un uomo, di una donna che parla.
Perché parlando, lei in prima persona e non lasciandosi parlare, come accade sempre a chi è marginalizzatə, si rivendica spazio (2).
Ecco, voglio chiudere così: non c’è niente che faccia più paura al potere che accorgersi di esser stato sovvertito.
- Luce Irigaray, Speculum, l’altra donna, Feltrinelli, Milano, 1998, dove a pag. 9 si legge: «Signore e Signori… Sull’enigma della femminilità gli uomini si sono lambiccati in ogni epoca il cervello… Neanche voi, in quanto uomini, vi sarete sottratti a questo rompicapo; dalle signore qui presenti non ci aspettiamo questo: esse stesse sono l’enigma di cui noi parliamo. Si tratta dunque per voi, uomini, di parlare tra voi, uomini, della donna, la quale non può essere interessata ad ascoltare o produrre un discorso riguardante l’enigma, il logogrifo, che rappresenta per voi. Il mistero che la donna è, costituisce dunque l’obiettivo, l’oggetto e la posta in giuoco d’un discorso maschile, d’un dibattito tra uomini che non dovrebbe interessarla, coinvolgerla. Del quale, al limite, non dovrebbe saper niente». Ma anche pagg. 238-248, in I Dialoghi, dove si legge: “Come è naturale, alcuni portatori parlano, altri tacciono.” […] Se tutti parlassero e parlassero insieme, il silenzio degli altri non servirebbe più da sfondo all’emergere, al distinguersi delle parole degli uni, di uno. Che ogni affermazione e logica siano determinate da qualcosa che in esse può esser nominato soltanto grazie ad una (de)negazione, non fa che dare nuovo interesse alla partita già in corso. Fino a quando non sorgeranno dei dubbi sull’efficacia d’una simile operazione. Fino a quando non si interpreterà l’equivoco di un simile formalismo che dovrebbe consentire di alzare i veli, in particolare quelli della dimenticanza, dell’errore, della menzogna. Del fantasma. […] Se il fondo della caverna, pro-getto che ribalta la non rappresentabile origine, sfondo di ogni rappresentazione, avesse per di più un’eco? In tal caso i fantasmi che esso ospita, ai quali si offre come schermo di riflessione con il liscio biancore della propria superficie, comincerebbero ad emettere i suoni e le parole pronunciati dai maghi. […] Le proiezioni di emblemi pietrificati di corpi umani possono essere chiamate verità soltanto se si può loro attribuire delle voci, echi sonori delle parole pronunciate dai maghi portatori di immagini. Per mettere le cose in chiaro, risulta che servono effigi di corpi d’uomini, parole di uomini, sguardi di uomini […] al fine di stabilire ciò che è vero o falso».
L’immagine di sfondo è parte di uno screenshot relativo al programma televisivo menzionato. Si ritiene che esso possa essere riprodotto su questo sito, limitatamente all’articolo qui presente che riguarda solo contestualmente l’opera poiché trattasi di «riassunto, […] citazione o […] riproduzione di brani o di parti di opera […]» utilizzati «per uso di critica o di discussione», per mere finalità illustrative e per fini non commerciali, in quanto la presenza sul presente sito non costituisce «concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera» e nessun provento economico viene realizzato da esso. La redazione rimane a disposizione.
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