Il nome di Simone Weil evoca non solo il suo pensiero filosofico, ma anche la sua vicenda esistenziale, in quanto ha consegnato al mondo una dolorosa testimonianza di vita e di impegno.
In lotta al fianco dei sindacati e degli operai, e già prima del suo avvicinamento al misticismo e al cristianesimo, la sua attenzione è puntualmente rivolta agli esclusi, agli ultimi, a coloro che non trovano posto nel sistema di produzione capitalista, o che vivono ai margini della struttura sociale. Noi ne abbiamo parlato qui.
Questa attenzione, oltre ad essere alla base della sua vocazione, trova un posto ben preciso nella sua filosofia, in particolare nell’elaborazione del suo concetto di giustizia, tema principale di Curare il mondo con Simone Weil, scritto da Tommaso Greco, professore di Filosofia del diritto all’Università di Pisa, ed edito da Laterza.
Si tratta di un testo adatto sia a chi vuole esplorare sentieri di filosofia politica e del diritto che cadano fuori dalle consuete linee del giuspositivismo e giusnaturalismo classici, sia a chi vuole approcciarsi al pensiero della filosofa, attraverso la lente prospettica della sua idea di giustizia.
Ponendosi in una interessante e originale posizione al crocevia tra le più importanti domande in ambito giusfilosofico, Greco ci presenta il modo in cui Weil intende la libertà: più che come non impedimento, come non dominio.
L’imperativo che deve valere ogni qualvolta si voglia prendere sul serio l’idea di giustizia è: rinuncia ad affermarti sugli altrə, assumiti anzi la responsabilità dell’altro, e non esercitare più forza di quanto tu sia costrettə a fare.
Posto che l’uguaglianza è tutt’altro che naturale, il ruolo del diritto è di fondamentale importanza, in quanto si configura come un argine al dilagare della forza.
Il diritto impedisce la prevaricazione e permette di istituire un equilibrio.
«Emerge l’idea della forza della legge da contrapporre alla legge del più forte. È la fase nella quale Simone, tra le altre cose, facendosi assumere in fabbrica, sperimenta la condizione degli operai, che ella assimila a quella degli schiavi.» (1)
Quella di equilibrio è una nozione centrale. La giustizia, secondo Weil, è efficace laddove si riesca a ristabilire un equilibrio in una situazione che, all’apparenza, risulta irrimedialmente compromessa, sbilanciata, impari.
Quando le due parti in gioco non hanno le medesime possibilità economiche, quando le loro condizioni di vita sono radicalmente opposte, quando c’è un soggetto forte contrapposto a un debole, così debole da essere ridotto alla condizione di cosa: è proprio lì che la giustizia più autentica può fare il suo corso.
Naturalmente, ci ricorda Greco, Weil si rende conto che l’idea di giustizia così come è comunemente intesa necessita di un profondo ripensamento, per poter compiere questo salto.
All’immagine della giustizia come donna bendata, la filosofa contrappone infatti una donna con gli occhi ben aperti, che scruta e analizza il mondo, e proprio per questo è in grado di decidere equamente.
È necessario conoscere l’abbruttimento e la miseria nella quale versano molti uomini e molte donne, per poter restituire loro in termini di diritto ciò di cui la vita lə ha privatə. (2)
Due sono, dunque, gli elementi che predispongono alla giustizia: l’attenzione, e la debolezza. Nel linguaggio weilano, debolezza significa abbassamento di sé, riduzione del proprio io, che si esplica nella rinuncia ad esercitare una forza non necessaria, perché la discesa dell’io è condizione di ascesa del tu.
Proprio quest’ultimo punto conduce Greco a proporre, in chiusura del volume, un interessante parallelismo tra Weil e Norberto Bobbio, due personaggi che a ragion veduta ci appaiono molto distanti: metafisico e religioso il pensiero della prima, giuridico e politico quello del secondo. Tuttavia, nel 1993 il filosofo torinese ha pubblicato un insolito Elogio della mitezza, una riflessione di carattere morale che da molti è interpretata come un momento di svolta e di rottura nel suo pensiero.
Essere miti, in società, significa per Bobbio evitare di esercitare potere sull’altro ogni volta che se ne ha occasione, e non aspettarsi nulla in cambio. Mitezza è far essere l’altro, e al tempo stesso farsi carico dell’altro, prendersene cura: è evidente come ciò che, per Weil, era l’essenza stessa della giustizia e del vivere comune trovi un’eco quasi inaspettata in un pensatore come Bobbio. (3)
Questo parallelismo, unitamente all’impianto giusfilosofico weiliano presentato da Greco, ci testimoniano quanto sia sottovalutata la centralità dell’attenzione disinteressata e della cura compassionevole all’interno di sistemi socioeconomici complessi come il nostro.
Simone Weil, che De Beauvoir ha ricordato come «un cuore capace di battere all’unisono con il mondo intero» (4), ci insegna che – per guardare, per legiferare e decidere – è necessario vedere, prestare attenzione, non voltarci dall’altro lato.
Grazie Laterza!
Tommaso Greco, Curare il mondo con Simone Weil, Laterza, Roma-Bari, 2023.
- Ivi, p. 7.
- Ivi, pp. 76-80.
- Ivi, pp. 113-119.
- S. De Beauvoir, Memorie di una ragazza per bene, Einaudi, Torino, 2014, p. 244.
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