Il fascino moderno dei vampiri

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Il vampiro è una figura che affascina gli esseri umani da diversi secoli. 

Oggi fa parte dell’immaginario pop, è diventato “figo”, sexy e sempre meno spietato rispetto al passato. Anche i vampiri si sono adattati ai tempi, sono cambiati così come la società e l’immaginario che li ha “partoriti”. Questo dimostra che sono stati creati dal nostro immaginario: sono frutto della storia, delle pratiche e del pensiero umano. In essi convogliano umane speranze e ancora più umani tormenti ma, allo stesso tempo, da loro nascono riflessioni e interrogativi. 

È vero: queste creature ricordano altri “mostri” tipici del folklore, ma sono – rispetto a questa tradizione – qualcosa di distinto e, non a caso, è proprio attorno all’Illuminismo che inizia a nascere il vampiro come oggi lo conosciamo. 

È una figura, quindi, influenzata da una scienza e da una medicina sempre più evolute ed empiriche e da una società in grande subbuglio che suscitava non poche ansie e preoccupazioni. 

«I vampiri nacquero quando la razionalità illuminista incontrò il folklore dell’Europa Orientale – un incontro che cercò di dare loro un senso attraverso il ragionamento empirico e che, considerandoli attendibili, li rese reali.» (1) 

All’inizio del XVIII secolo i vampiri vennero riconosciuti come un fenomeno naturale e non più sovrannaturale come altri “succhia sangue” del folklore. Furono identificati come soffocatori notturni e/o responsabili del contagio di certe malattie.

Anche per coloro che non credevano nella loro effettiva esistenza, i vampiri provavano comunque la sussistenza di certi disturbi mentali, di isteria collettiva, di allucinazioni. 

Fondamentalmente i vampiri iniziarono a esistere quando medici e filosofi naturali diedero loro una definizione (2).

Con il passare del tempo, la “mania” dei vampiri si diffuse tra ecclesiasti, filosofi, scienziati, commentatori politici e scrittori, che iniziarono a parlarne sempre di più.

Tra le figure più note che scrissero di loro ci sono gli enciclopedisti, che li studiarono in chiave razionale e che da essi formularono riflessioni sulla natura umana stessa. 

Con l’arrivo del Romanticismo, i vampiri vennero descritti in maniera più irrazionale e sovrannaturale. Rimasero, comunque, legati alla scienza e al materialismo e, perciò, gli scrittori iniziarono a parlare di loro in modo sempre più sfaccettato e realistico. Divennero, insomma, figure contraddittorie, fondamentalmente più umane e, di conseguenza, iniziarono a divenire sempre più centrali nella narrativa europea. Inoltre, con il tempo fu introdotta una componente più sensuale. 

Iniziarono anche a nascere sempre più vampire, rappresentate in modi che suggeriscono l’inquietudine dell’uomo nei confronti della femminilità. La sessualità femminile destava curiosità e preoccupazione e i primi moti di emancipazione si riversarono anche nella rappresentazione letteraria di certe figure, vampiri stessi (3).

I vampiri, insomma, nascono dalle paure verso il progresso e dalla medicalizzazione della società: sono un riflesso della visione del mondo a partire dal secolo dei Lumi. 

Se già questo risulta essere interessante a livello filosofico, ancora di più lo è se consideriamo le riflessioni che queste figure suscitano riguardanti temi come la morte, l’identità, il bene e il male, l’etica, la moralità. Di seguito ne verranno citati alcuni.

Partiamo dal tema della morte: in romanzi come Dracula la non morte del protagonista, il suo vivere in eterno vengono associati alla falsità. In questo ci possiamo vedere un’argomentazione molto heideggeriana.

Infatti, come ci dice – a modo suo – il filosofo in Essere e tempo la vita senza morte è esistenzialmente priva di significato (4). 

Per Heidegger c’è un modo vero e uno falso di “essere” e senza la morte la nostra vita sarebbe inautentica, perché le nostre esperienze sarebbero finalizzate a celare la morte e la sua innegabile realtà.

Confrontarsi con la morte è un atto di coraggio.

Chi non lo fa, chi preferisce una vita inautentica, vive per sempre in una successione infinita di momenti, proprio come i vampiri. 

La componente immortale dei vampiri, che tanto affascina l’essere umano che – sin dall’antichità – aspira alla vita eterna, sarebbe, in realtà, da vedere come una cosa negativa. È vero: essi hanno, in teoria, la possibilità di vivere un sacco di esperienze, di provare, apparentemente, piacere ad infinitum: ma è questa vita vera? 

Passando a questioni meno ontologiche, ma più etiche, la figura del vampiro ci porta a domandarci se essi siano responsabili di tutte le brutalità che commettono. Infatti, a differenza di altri morti viventi, come gli zombie, che divorano cervelli umani mossi da una furia cieca, i vampiri sono in grado di controllarsi: a volte catturano le vittime, le portano nei loro covi e attendono prima di bere il loro sangue e aspettano, ancora, per ucciderle. 

Insomma, i vampiri appaiono assolutamente consapevoli di ciò che fanno.

Dracula, ad esempio, fa sacrifici a breve termine per guadagnare qualcosa di meglio in futuro (5). Questo li renderebbe esseri immorali in quanto pienamente responsabili. 

La questione, però, non è così semplice. Difatti, non tutti i vampiri, almeno in apparenza, sono cattivi e alcuni soffrono molto per la propria condizione. In Intervista col vampiro di Anne Rice, Louis si sente in colpa a bere sangue umano e, di conseguenza, prova quello di ratto o di altri piccoli animali. Oltre alla questione della responsabilità più in linea generale, è interessante pensare anche a cosa significhi sacrificare una vita per il proprio nutrimento.

In questo, la filosofia che sta dietro al vegetarianesimo non è così lontana da quella dei vampiri che decidono di non bere più sangue umano.

Fondamentalmente, a modo loro, essi decidono di creare meno dolore possibile, un po’ come chi sceglie di non mangiare più animali, optando per nutrirsi di vegetali che, per quanto siano esseri viventi, non posseggono il sistema nervoso (6). 

È vero, succhiare sangue per i vampiri e, in particolare, quello umano, procura loro molto piacere:che piacere è però? 

Questo ci permette di introdurre un’altra interessante tematica filosofica. 

I vampiri vivono centinaia di migliaia di vite e, per tutta la loro (non) esistenza, inseguono fondamentalmente solo il proprio piacere. Non vivono per altro, si concedono tutto il concedibile, soddisfano tutti i loro desideri. A volte, però, come si nota da vari racconti, finiscono con l’annoiarsi terribilmente. 

Anche per noi umanə questo sentimento può essere comprensibile.

Inseguire solo il piacere fisico può essere frustrante, poiché offre poche e/o limitate soddisfazioni. Una volta ottenuto ciò che volevi e una volta che ne hai goduto, tutto finisce lì. Puoi voler ripetere il tutto, ma è desiderio a breve termine, di facile realizzazione e, di conseguenza, poco soddisfacente (7). Una vita così è fondamentalmente molto triste, perché non ci sono né profondi aneliti né vere speranze.

A riguardo John Stuart Mill si espresse in modo semplice ma incisivo:

«Sono felici quelli che tengono il pensiero fisso su altro, diverso dal proprio piacere… mirando così a qualcos’altro, trovano la felicità lungo la strada…chiedetevi se siete felici e smetterete di esserlo» (8).

La figura del vampiro, insomma, interessa anche noi filosofə perché, pur essendo creature non vive e non umane, lo sono – in realtà – moltissimo.

Come dei puzzle, sono stati creati e continuano a concretizzarsi attraverso i pezzi delle nostre speranze, delle nostre paure, dei nostri desideri irrealizzabili e delle nostre preoccupazioni verso le minacce che, di volta in volta, risvegliano la nostra componente irrazionale.

Fonti:

(1) N. Groom, Vampiri. Una nuova storia, Milano, Il Saggiatore, 2019, p. 252.

(2) Cfr. Ivi, p. 864.

(3) Cfr. Ivi, p. 4563.

(4) Cfr. AA.VV. (a cura di A cura di Richard Greene, K. Silem Mohammad), La filosofia di zombie e vampiri. Una nuova vita per i non morti, Milano, Mimesis, p. 1451.

(5) Cfr. Ivi, p. 2315.

(6) Cfr. Ivi, p. 2692.

(7)  Cfr. Ivi, p. 2914.

(8) J.S. Mill, Autobiografia, Laterza, Roma-Bari, 1976 citato in Ivi, p. 2914.