“Eva virale”: intervista ad Angela Balzano

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Grazie Angela per aver accettato la proposta di questa intervista per Filosofemme. Partirei dal 28 settembre scorso, Giornata per l’aborto libero, sicuro e gratuito. Siamo ben consapevoli che le associazioni anti-scelta, con l’aiuto del governo, stanno occupando con sempre maggiore forza quegli spazi che dovrebbero essere di cura per le donne e le soggettività gestanti. A questo proposito, recentemente sei stata criticata dal senatore Pillon per le tue posizioni sostenute in “Per farla finita con la famiglia. Dall’aborto alle parentele postumane” (Meltemi 2021) nonostante, come anche tu hai fatto notare, “Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie e nazione” (Meltemi 2024) fosse la tua pubblicazione più recente. Secondo te la scelta del senatore è ricaduta sul tuo primo libro per ragioni mediatiche? E a questo proposito ti chiederei anche se puoi spiegare qual è il significato del titolo “Eva virale”.

Io sono diventata ricercatrice perché sono in primis un’attivista e ho deciso di scrivere partendo da questo posizionamento. Con Non Una di Meno e con il collettivo La Malaeducaciòn (1) a Bologna ci siamo battute per la giustizia riproduttiva e Pillon ci attaccava e criticava già allora per questo, soprattutto quando il tema era l’autodeterminazione dei corpi. Ho scritto il libro Per farla finita con la famiglia nel 2021, ma Pillon se ne è accorto solo quest’anno utilizzandolo in un contesto di propaganda come è stato quello per le elezioni europee. Il titolo si presta a molte interpretazioni; chi ha familiarità con il poststrutturalismo francese può pensare a Per farla finita con il giudizio di Dio di Artaud poi ripreso Deleuze.

Vi è chiaramente un rimando anche all’agenda politica transfemminista.

Sicuramente Pillon ha interpretato il titolo a partire dal neofondamentalismo che lo contraddistingue, per cui la famiglia è il luogo privilegiato per il controllo dei corpi, soprattutto dei corpi gestanti. Dunque l’estrema destra italiana si è accorta a tre anni dalla sua pubblicazione che Per farla finita con la famiglia è un titolo da attaccare, non mi stupisce. Dichiaro sin dall’incipit che lo scopo del volume è rivendicare la piena autodeterminazione sessuale e riproduttiva di donne e persone lgbtqi+ contro il dilagare di politiche reazionarie di chiara matrice fascista, così come dichiaro che un altro scopo è quello di rivendicare l’esercizio di questa autodeterminazione in territori salubri, non devastati dall’iperproduttivismo capitalista.

A stupirmi è il fatto che non abbiano scelto di attaccare Eva virale. La vita oltre i confini di genere, specie, nazione (Meltemi 2024) se volevano una polemica pre-elettorale, dal momento che chiama in causa il governo Meloni in quanto emblematico del cinismo fascista-razzista-antiecologista: il partito che guida è l’avanguardia del neofondamentalismo italiano, inneggia alla vita del non-nato e ci satura di retoriche pro-nataliste mentre lascia morire nel Mediterraneo le persone migranti; il governo cui è a capo si contraddistingue per politiche e progetti anti-ambientalisti di cui il ponte sullo stretto è solo la più presuntuosa quanto irrazionale e contestata espressione.

    Sotto attacco non sento me stessa, né i miei libri o i miei studi, purtroppo sento sotto attacco la possibilità di vivere bene insieme, senza discriminazioni, in una terra non afflitta da riscaldamento globale e senza estinzione di massa, non violentemente segnata da crimini di guerra. Per questo la migliore risposta agli attacchi che riceviamo in quanto studiose/scrittrici/lavoratrici culturali di vario tipo non è mai quella che diamo singolarmente, ma quella che sappiamo dare insieme. In corso c’è da tempo il tentativo di delegittimare e marginalizzare gli studi di genere, gli attacchi sono troppi, rimando per questo alla lettera aperta alla Ministra Bernini scritta proprio al fine di difendere i nostri saperi dagli attacchi dei neofondamentalisti. (2)

    Il passaggio a Eva virale avviene proprio sul piano della riappropriazione delle scienze, in particolare della biologia. Il libro ha tra i suoi discorsi portanti quello di farla finita con la biologia e la medicina cieche alle differenze di sesso e genere. Già in Per farla finita con la famiglia sostenevo che le scienze della vita possono apparire come un immenso caso di mansplaining e questo perché abbiamo ereditato e continuiamo a trasmettere un modo di spiegare la vita androcentrico. Almeno dalla scoperta del DNA nucleare negli anni Cinquanta del secolo scorso, infatti, è come se proiettassimo la modalità riproduttiva eterosessuale su tutto il vivente. Il DNA nucleare racconta però una storia parziale, troppo umana ed etero-ispirata: non è solo l’incontro tra i cromosomi maschili e quelli femminili, ovvero solo tra i cromosomi XY e XX, a farci ereditare i geni necessari a r/esistere. Sappiamo che molte altre forme di vita si riproducono fuori da questo binarismo basato sulla trasmissione verticale. La trasmissione orizzontale dei geni, mediata dai virus in particolare, gioca un ruolo altrettanto cruciale nel farsi e disfarsi della vita. Qui vediamo come filosofia e biologia stanno insieme sul piano dell’ontologia monista, sul piano di come si diviene “esistenti”.

    “Eva virale” è diventato il titolo del libro perché non è una metafora, è una figurazione che racconta che oltre il “familismo” del DNA nucleare la natura ci insegna che si diviene nei modi più queer possibili; persino noi che ci diciamo “esseri umani” siamo più simbionti batterico-virali che altro. Basti pensare al fatto che noi siamo diventate mammifere grazie a dei virus, le sincitine, che ci hanno permesso di sviluppare la placenta…o anche al fatto che in noi c’è anche il DNA mitocondriale, eredità batterica custodita e tramandata dalle sole femmine della specie. Di tutto questo tratto in Eva virale, che è per me un tentativo di tramare altre narrazioni per r/esistere in vita “con” altre specie e non “su” di esse. Non sono sola per fortuna in questo tentativo, molte altre teoriche/attiviste femministe hanno aperto questa via e molte la percorrono oggi, perciò in chiusura vorrei nominarne alcune per ringraziarle: Sadie Plant, Donna Haraway, Rosi Braidotti, Federica Timeto, Antonia Anna Ferrante…

    I detrattori del diritto all’aborto utilizzano spesso come argomentazione quella che concedere la possibilità di abortire significa incentivare il calo demografico e la diminuzione delle nascite. Questa prospettiva può essere smontata osservando la vita delle specie non-umane e post-umane, tra cui batteri, virus e cetacei, come tu spieghi in Eva virale. Secondo te, quindi, è possibile – e se sì come – apprendere dai saperi e dalle pratiche condivise dalle altre forme di vita per ostacolare l’avanzata di una narrazione antropocentrica che esclude donne, persone LGBTQIA+ e le alterità non-umana dall’accesso ai saperi e che si appropria di quest’ultimi?

      Nei miei testi insisto spesso su Linneo, sui primi passi della biologia alla metà del XVIII sec. Linneo era uno scienziato svedese, si proprio maschio e bianco, a lui dobbiamo l’invenzione della specie “homo sapiens”, a lui si fa risalire il concetto di razza anche in riferimento alla specie umana. Linneo riteneva che l’uso della ragione fosse prerogativa della sola specie umana e in particolare di una razza: quella europea e bianca.

      Il suo Systema Naturae ci influenza ancora oggi, si pensi alla sua nomenclatura binomiale.

      A metà degli anni Settanta del Novecento, però, la biologa Lynn Margulis sovverte dall’interno una biologia che da Linneo a Darwin è stata fatta da soli maschi. Lei avanza un’ipotesi affascinante: che non sia la competizione a spiegare l’evoluzione, bensì la cooperazione. Le attitudini collaborative, la simbiosi – affermava Margulis – spiegano il divenire della vita sul pianeta più delle tendenze competitive.

        È evidente, sulla base del sistema di Linneo, come agli albori delle scienze della vita in occidente razzismo, specismo e sessismo siano stati “naturalizzati”. Per almeno due secoli abbiamo inteso le differenze tra specie in senso peggiorativo, le distinzioni tra regno animale, vegetale e minerale, la divisione tra specie e razze che funzione hanno avuto se non quella di escludere chi veniva ritenuto inferiore rispetto alla specie sapiens, in particolare rispetto all’Homo?

        In concreto lo vediamo molto bene: le piante non godono degli stessi diritti degli animali e tra gli animali pochissimi godono dei diritti che l’Homo sapiens ha riservato solo a sé. Dico Homo sapiens perché non siamo neppure tra uman* capaci di universalizzare l’accesso ai diritti fondamentali. Non possiamo tacerlo oggi che in corso c’è un genocidio, se il primo diritto umano è quello alla vita, che non siamo tutt* uman* allo stesso modo. Perché la vita delle persone palestinesi non conta come umana, perché le retoriche neofondamentaliste, anche quelle degli stati-nazione occidentali, non hanno fatto altro che “animalizzare” un popolo che lotta per la sua autodeterminazione?

        Perché il neofondamentalismo, anche se oggi funziona insieme al neoliberismo, è sempre anche un suprematismo, un eccezionalismo umano che ci impedisce di riconoscerci per quello che siamo: animali tra altri animali. Il neofondamentalismo, soprattutto ai tempi del capitalismo avanzato, ha bisogno di gerarchizzare il vivente per meglio controllarlo e metterlo a valore. Ha anche bisogno di mantenere vivo lo Stato-nazione, uno Stato che si fonda ancora oggi sul controllo della sessualità cioè sull’eteronormatività, sul riconoscimento di tratti fenotipici ben chiari, sui processi di razzializzazione, sullo sfruttamento. 

        Non tutte le persone al mondo hanno lo stesso accesso alla riproduzione, per le persone palestinesi oggi non c’è giustizia riproduttiva alcuna, mentre la riproduzione dei bianchi occidentali non è messa in discussione, si direbbe sia quasi obbligata. Il controllo della sessualità (quella bandierina negli uteri di cui ci ha parlato Preciado) è un problema che riguarda tuttə perché è alla base dei processi che definiscono i sistemi sociali statali.

        Lo Stato esige la riproduzione della nazione e lo fa con diversi tipi di politiche, una tra queste è la penalizzazione dell’aborto. Guardiamo al caso specifico italiano, si direbbe che l’aborto sia legale ma la legge 194 depenalizza l’aborto solo nelle strutture del sistema sanitario nazionale e che prevedendo l’obiezione di coscienza ne ostacola di fatto l’accesso. Per questo in molte diciamo di volere molto più della 194, perché sappiamo che la legge in sé non ci ha garantito e non ci garantisce un vero diritto. Negli ultimi dieci anni in Italia, sia con il centrodestra che con il centrosinistra, si è cercato in ogni modo di ostacolare l’autodeterminazione delle persone gestanti. Fin dal governo Renzi, con la ministra della salute Lorenzin, si è iniziato a consolidare anche qui un discorso tendenzioso, già molto diffuso negli USA tra “pro-life”, ovvero quello dell’apocalisse della nazione. Questa visione molto spicciola ha fatto sì che le politiche anti-scelta venissero condivise e accettate a livello nazionale e si diffondesse l’idea che se l’aborto fosse libero allora la nostra specie si estinguerebbe. In realtà questo rischio è infondato, diversi studi dimostrano che la nostra specie è quella meno a rischio di estinzione. Chi sostiene che la specie e la nazione finiranno con l’accesso all’aborto libero, sicuro e gratuito lo afferma da una prospettiva profondamente razzista, di solito riferendosi a indicatori che non tengono in conto le nascite di chi è migrante, cioè contando le sole nascite “cittadine”.

        Non c’è nessun calo demografico in occidente se anche le persone migranti contano, non c’è nessuna apocalisse delle nascite, tutt’altro: a livello globale si registra nell’ultimo secolo una crescita esponenziale della specie umana. Mi preoccuperei dunque più per il fatto che siamo passat* dai 1.6 milioni di persone del 1900 agli 8 miliardi odierni – quasi 6 miliardi in più in meno di un secolo. Mi piace immaginare che senza ingerenze di economie capitaliste-Stati-religioni, redistribuendo tra i generi gli oneri riproduttivi come la contraccezione e rendendo l’aborto davvero accessibile, la nostra specie troverà un suo equilibrio, magari tendendo a una decrescita riproduttiva che permetta alle altre specie di prosperare. Ci sono altre creature al mondo che attuano da sempre meccanismi di decrescita riproduttiva e che mi rincuorano molto.

        Le diatomee (3) sono forme di vita che riescono ad accordarsi in modo tale da non riprodursi in eccesso, abbandonano la riproduzione sessuale passando a quella clonale e diventando così sempre più piccole. In questo modo arrivano a una grandezza talmente infinitesimale che non possono più riprodursi e restano in questa condizione fino a quando anche le altre specie non prosperano. Le diatomee hanno molto da dirci anche sulla cooperazione transpecie, sono capaci di collaborare con virus, funghi e batteri in ecosistemi di frontiera.

        A differenza degli umani occidentali, queste specie vivono i confini non come zone da pattugliare per escludere, ma come territori da rigenerare a beneficio di tutt*. Ho scelto per questo di chiudere Eva virale sulla riva insieme alle diatomee che, dopo aver migrato di notte, si depositano sul bagnasciuga per unirsi ai funghi e secernere un biofilm capace di funzionare al contempo come compost per le piante alofile, cibo per uccelli e cemento per le fasce costiere. In mezzo ma ai margini, i litorali sono ecosistemi-approdi organico-inorganici dove la differenza non funziona come principio gerarchizzante-inferiorizzante e la giustizia riproduttiva fluisce senza bisogno di essere spiegata.

        Se è vero, come scrivi nel libro, che «in una lotta interstellare bisogna scegliere da che parte stare» (Eva virale, p. 14), e tra gli umani occidentali e bianchi e capitalisti e i virus e batteri sarebbe bene scegliere quest’ultimi, è anche vero che la prospettiva di un’alleanza transpecie sottende il rischio di un atteggiamento colonizzatore della specie umana oltre la specie e oltre la terra (come evidenziato dalla massima di Donna Haraway “chi parla per il giaguaro?”). Secondo te, in questa prospettiva, l’etica materialista, l’epistemologia e la biologia transfemminista possono essere un modo per resistere, ancora una volta, a una deriva antropocentrica di portata postumana e, letteralmente, interstellare?

          Il rischio che menzioni esiste già, cioè gli umani industrializzati hanno già colonizzato oltre la Terra, si pensi al differimento dei rifiuti nello spazio o all’affondamento delle scorie nucleari nei fondali oceanici. Se le alleanze transpecie servono la causa della liberazione animale, non credo ci sia da temere una deriva antropocentrica, in primo luogo perché animali siamo anche noi. Si tratta, come suggerisce Timeto (4), di partire dall’alterità che è già in noi, non fuori da noi. Si tratta di imparare ad ascoltare, meglio ancora a sentire le altre forme di vita, capaci di vere e proprie forme di lotta. 

          Mi viene in mente l’intervento del rifugio antispecista Agripunk (5) durante il festival No Ponte Aunni Annari (6) che si è svolto questa estate, sulle storie di resistenza animale (7). Penso che chi vede eccessi di antropocentrismo in questo riconoscimento della potenza transpecie non abbia contezza di cosa avviene nel complesso dei mondi animali e vegetali e per questo l’unico modo, a mio avviso, per ridurre la tendenza degli umani occidentali a ritenersi gli unici dotati di capacità intellettive e decisionali, è invitarli a mettersi in ascolto. Invitiamoli ad ascoltare i canti dei cetacei, ad ascoltare le megattere quando usano le barriere coralline come casse di risonanza per il loro canto.

          Come si fa di fronte alla capacità delle megattere di darsi appuntamento cantando ad affermare che riconoscere la loro cultura vuol dire antropomorfizzarle?

          In questo senso credo che se ci si mette in ascolto è difficile parlare di antropocentrismo ed è solo sentendo che ci rendiamo conto che intelligenza e cultura ci travalicano. Le intelligenze e le culture più che umane per fortuna esistono e non è detto che ci somiglino! L’intelligenza delle diatomee ad esempio è diffusa e collettiva, come pare lo sia quella dei batteri distribuita nell’intera colonia. Se riconoscere l’esistenza di intelligenze e culture più che umane vuol dire antropomorfizzare, penso correrò il rischio, perché ho chiaro lo scopo: quello di redistribuire le capacità di cui alcuni uomini si sono appropriati come specie privilegiata.

          Il logos non è proprio della sola specie sapiens.

          Se essere capaci di logos vuol dire sia saper parlare che saper contare, come da suo significato in greco antico, allora non possiamo che redistribuire questa capacità anche ad altri esseri. In Eva virale ascolto per questo i cetacei, esseri capaci di auto-localizzarli, così come di localizzare altro, grazie al suono, di darsi un nome a vicenda e riconoscersi come individui sempre parte di un gruppo che conserva un suo specifico dialetto di una lingua transoceanica comune.

          Eppure alcuni tra i sapiens li hanno quasi sterminati, non solo perché incapaci di riconoscerne l’agency, ma anche perché accecati dal profitto. Sia chiaro che per me, anche laddove non si scorga nulla di simile a delle capacità agentive, il profitto non varrebbe mai come fine il cui mezzo può essere la sopraffazione. È questa la differenza, intesa in positivo, tra la specie sapiens e tutte le altre: nessun’altra specie se non quella che si è detta sapiens dall’Olocene a oggi si è riprodotta con così tanta violenza a scapito di tutte le altre.

          Per fortuna qui non c’è antropomorfizzazione alcuna: la specie sapiens non sembra saper far funzionare le sue capacità cooperative come le altre e ha solo da imparare da un universo di forme di vita che diviene per condivisione e per messa in comune, non per competizione e separazione. 

            Grazie ad Angela Balzano e a Meltemi!

            1. La Malaeducaciòn è un collettivo transfemminista dell’Università di Bologna nato nel 2017. Insieme al collettivo viene fondata anche La MalaConsilia, consultoria autogestita dallə studentə (https://www.instagram.com/lamalaeducacion_/). 
            1. https://www.change.org/p/lettera-aperta-alla-ministra-dell-universit%C3%A0-e-della-ricerca-anna-maria-bernini?signed=true
            1. Le diatomee sono alghe unicellulari che vivono sia in mare che in acque dolci (https://www.treccani.it/enciclopedia/diatomee/)
            1. Federica Timeto è docente di Sociologia dei processi culturali presso il Dipartimento di Filosofia e Beni Culturali dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Tra i suoi testi: Culture della differenza (Utet, 2008), Diffractive Technospaces (Routledge, 2015) e Bestiario HarawayPer un femminismo multispecie (Mimesis, 2020).
            1. Agripunk ONLUS è un rifugio antispecista con sede in Toscana (https://www.agripunk.com/).
            1. Aunni Annari è una rassegna di eventi che si è tenuta tra il 24 e il 25 agosto 2024 presso il parco Horcynus Orca di Torrefaro (Messina) nell’ambito della mobilitazione contro la costruzione del ponte sullo Stretto organizzato dal comitato Giovani No Ponte (https://www.instagram.com/giovaninoponte/).
            2. Tra le storie raccontate da Agripunk ricordiamo quella della mucca Scilla che, dopo essersi gettata da una nave che stava trasportando il bestiame verso le coste del Nord Africa per essere macellata, è stata avvistata nuotare nelle acque dello Stretto e tratta in salvo. Il rifugio Agripunk si è occupato di accoglierla nei propri spazi. Marco Reggio approfondisce nel suo Cospirazione animale, uscito per Meltemi nel 2022.